Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 22 febbraio 2016, n. 3471

Professionisti - Medico - Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato - Assoggettamento ad ordini o direttive del datore di lavoro - Prova

 

Ragioni di fatto e di diritto

 

1 - La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 cod. proc. civ., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che ha concluso per il rigetto del ricorso, condivisa dal Collegio.

2 - Con sentenza n. 7329/2012, depositata in data 15 gennaio 2013, la Corte di appello di Roma, pronunciando sull’impugnazione proposta da M. P. nei confronti della Casa di Cura Villa T. s.r.l., confermava la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda della P. (che per la Casa di Cura aveva svolto attività di medico di guardia) intesa ad ottenere il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo dal dicembre 2001 al maggio 2004 nonché la declaratoria della nullità, illegittimità, inefficacia del licenziamento intimatole in data 31/5/2004, con tutte le conseguenze reintegratone e risarcitone. Riteneva la Corte territoriale che, sulla base delle risultanze istruttorie, non potesse dirsi dimostrato il carattere subordinato delle prestazioni lavorative rese dalla P., non essendo emersi elementi deponenti per una diretta collaborazione della ricorrente con il Responsabile della struttura o con il suo aiuto, per un assoggettamento ad ordini o direttive, per una imposizione dei turni e non potendo ricavarsi l’asserita sottoposizione della stessa al potere disciplinare datoriale dal contenuto della lettera del 25/6/2003 con la quale la società aveva solo chiesto chiarimenti in merito ad un ritardo, da parte del medico di guardia, segnalato da un paziente.

Avverso tale sentenza M. P. ricorre per cassazione con tre motivi.

Resiste con controricorso la Villa T. s.r.l.

Con comparsa di costituzione del 29 dicembre 2015 è intervenuta in giudizio l’Amministrazione Straordinaria della Villa T. s.r.l. (decreto del Tribunale di Roma dell’1/10/2014 e decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 22/10/2014) ed ha chiesto dichiararsi l’incompetenza funzionale del giudice del lavoro in favore del Tribunale di Roma, sez. Fallimentare e conseguentemente l’improcedibilità del giudizio nei confronti dell’odierna resistente.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ..

3 - Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità dell’intervento dell’Amministrazione Straordinaria della Villa T. s.r.l.

Nel giudizio di cassazione, essendo ininfluente la sopravvenuta morte della parte (id est l’intervenuto fallimento ovvero l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria), il successore che intenda prendervi parte, può farlo con atto avente natura sostanziale di atto di intervento (nel quale può essere rilasciata la procura a difensore iscritto nell’albo speciale) che deve essere notificato alla controparte, in vista dell’assicurazione del contraddittorio sulla nuova manifesta legittimazione, non potendo l’intervento detto aver luogo con il mero deposito di un atto nella cancelleria della S.C. e stante l’esigenza di assicurare a tale atto una forma simile a quella del ricorso e del controricorso. La nullità derivante dall’omissione della notificazione è sanata solo se le controparti costituite accettino il contraddittorio senza eccezioni (cfr. Cass. 31 marzo 2011, n. 7441; Cass. 25 ottobre 2010, n. 21836; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4233).

Nella specie l’Amministrazione Straordinaria della Villa T. s.r.l. ha depositato una "memoria di costituzione" con procura speciale a margine senza però che la stessa risulti notificata. Tale memoria (rispetto alla quale la ricorrente, lungi dall’accettare il contraddittorio, ha chiesto termine per contro dedurre) è perciò inidonea a far assumere all’autore la qualità di parte.

4 - Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ., errata valutazione degli elementi di subordinazione. Lamenta che la Corte di appello abbia solo singolarmente valutato gli elementi c.d. complementari e sussidiari per l’individuazione della subordinazione senza procedere ad una valutazione globale degli stessi.

5- Il motivo è manifestamente infondato.

Nel percorso argomentativo la Corte capitolina ha escluso ogni valenza, ancorché meramente indiziaria, di ciascuno degli elementi singolarmente valutati ed in ipotesi integranti altrettanti indici suscettibili di apprezzamento unitario nei casi di difficile qualificazione del rapporto a causa della natura intellettuale dell’attività svolta (come quello dell’attività lavorativa prestata da un esercente la professione medica in favore di una organizzazione imprenditoriale). Nella ricostruzione dei giudici di appello, infatti, nessuno dei suddetti elementi era stato caratterizzato da una connotazione sintomaticamente ovvero anche solo dubitativamente riconducibile ad un rapporto subordinato essendosi, al contrario, decisamente negata l’esistenza di ogni diretta collaborazione della P. con i responsabili della Casa di Cura e non essendo risultati provati l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la sottoposizione a specifiche direttive nonché a controlli sulle prestazioni rese ovvero al potere disciplinare, la percezione di una retribuzione fissa mensile, la necessità di autorizzazione per giustificare le assenze dal lavoro.

6 - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che dall’esame delle ricevute in atti fosse emerso che la P. non era retribuita in misura fissa laddove, al contrario, il compenso rapportato ad una cifra oraria fissa e corrisposto con cadenza mensile era stato ammesso dalla stessa convenuta nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado. Inoltre erroneamente sarebbe stato ritenuto il difetto di elementi probatori in ordine all’orario di prestazione del servizio in presenza di testi e documenti che portavano a differenti considerazioni.

7- Il motivo è inammissibile.

Non trascrive la ricorrente il contenuto della comparsa di costituzione ovvero quello (completo) delle deposizioni testimoniali (asseritamente contrastanti con il giudizio espresso dalla Corte territoriale) su cui fonda i rilievi, non consentendo così a questa Corte di apprezzarne la decisività.

In ogni caso la dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è mal formulata, ove si consideri che un’autonoma violazione o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può configurarsi unicamente nel caso in cui il giudice di merito decida in base a prove non dedotte dalle parti ed ammesse d’ufficio al di fuori dei casi in cui ciò è consentito dalla legge, o ricorra alla propria scienza privata ovvero ancora ritenga necessitanti di prova fatti dati per pacifici.

Nella specie, invece, premessa la norma, la censura ne trae in maniera incongrua e apodittica la violazione dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito.

8 - Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta la mancata considerazione dell’identità di trattamento riservato dalla società convenuta alla ricorrente rispetto a medici sicuramente legati da rapporto di lavoro subordinato alla clinica Villa T. s.r.l. che era stata specificamente dedotta ed aveva trovato riscontro nel corso dell’istruttoria di primo grado.

9 - Anche tale motivo è inammissibile.

Sotto la vana tutela di un’intitolazione conforme al testo attuale del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., come modificato dal D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, il motivo mira a provocare, in realtà, non solo il controllo sulla motivazione della sentenza, non più consentito da detta norma, ma un rinnovato esame del materiale probatorio e della sua idoneità a fondare la pretesa; esame, questo, inammissibile anche in passato.

Come è noto, la riformulazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/14).

L’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica - e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente - che possa denunciarsi ex art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ. anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti. A sua volta deve trattarsi di un fatto processualmente esistente, per esso intendendosi non un fatto storicamente accertato, ma un fatto che in sede di merito sia stato allegato dalle parti: tale allegazione può emergere già soltanto dal testo della sentenza impugnata (e allora si parlerà di rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza del dato extra-testuale).

Nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte capitolina; sicché non di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla parte odierna ricorrente.

10 - Invero la ricorrente con la corposa memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ. tenta di ovviare alle sopra evidenziate carenze (tutte già prospettate in sede di relazione) con una più analitica ricostruzione delle fasi del processo ed altresì riproducendo le deposizioni testimoniali nelle parti di interesse ed i documenti in base al cui contenuto ha formulato le censure (compresa la sentenza del Tribunale di Roma rispetto alla quale assume la totale carenza di una motivazione "propria" della Corte territoriale che risulterebbe sostanzialmente appiattita su quella del giudice di primo grado).

Tuttavia va osservato che, nel giudizio di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 cod. proc. civ., destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione ed a confutare le tesi avversarie, non è possibile specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non fossero state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo, e tanto meno, per dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 15 maggio 2006, n. 11097).

Nel caso in esame il suddetto inammissibile ampliamento è stato realizzato dalla ricorrente attraverso il riferimento, nella memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ. - avente funzione sostanzialmente omologa rispetto a quelle di cui all’art. 378 cod. proc. civ., al contenuto di deposizioni testimoniali giammai prima puntualmente e specificamente indicate ovvero di atti presenti nel giudizio di merito e non in precedenza allegati al ricorso per cassazione né in questo espressamente indicati, prospettandosi, sulla base di tali atti, argomentazioni giammai in precedenza sviluppate e comunque offrendosi a posteriori un riscontro fattuale rispetto a deduzioni previamente svolte che, però, ne erano rimaste prive.

Quanto alla prospettata sussistenza di una motivazione meramente apparente, va anche precisato che la stessa sussiste solo quando la motivazione si estrinsechi in argomentazioni non idonee a rivelare la "ratio decidendi". Ne consegue che non può ritenersi affetta da nullità la sentenza per il solo fatto che si limiti a recepire, trascrivendola, la motivazione di un altro provvedimento giudiziale adottato sulla medesima questione, ferma la necessità che la motivazione trascritta non presenti, essa stessa, i vizi della motivazione apparente - cfr. Cass. 8 gennaio 2009, n. 161 -. Nella specie le argomentazioni di cui alla sentenza impugnata sono del tutto idonee a rivelare la ratio decidendi evincendosi chiaramente dalla stessa che l’istruttoria svolta non aveva fornito alcun riscontro alle allegazioni della ricorrente circa il carattere subordinato della prestazione resa, non essendo in particolare emersi elementi deponenti per una diretta collaborazione della P. con il Responsabile della struttura o con il suo aiuto ovvero per un suo assoggettamento ad ordini o direttive, per una imposizione dei turni.

11 - Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.

12 - Conseguentemente, il ricorso va rigettato.

13 - La regolamentazione delle spese nel rapporto tra la ricorrente e la Villa T. s.r.l. segue la soccombenza.

Nulla va disposto per le spese dell’Amministrazione Straordinaria della Villa T. s.r.l.

14- Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: "Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso".

 

P.Q.M.

 

Dichiarato inammissibile l’intervento dell’Amministrazione Straordinaria della Villa T. s.r.l., rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater; del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.