Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 febbraio 2016, n. 3128

Professionisti - Studi professionali associati - Prestazioni professionali - Assenza di mandato professionale allo studio associato - Automatica legittimazione dell'associazione ad agire in giudizio per il recupero dei crediti professionali - Esclusione - Prestazioni riconducibili ai singoli professionisti che le hanno effettuate

 

Rilevato che

 

1. La controversia ha per oggetto l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla società (...) (...) s.r.l. cui è stato ingiunto il pagamento del corrispettivo richiesto dall'associazione professionale tra commercialisti, (...) (...) (...), per prestazioni contabili effettuate in favore della società opponente.

2. Il Tribunale di Milano ha accolto l'opposizione rilevando la fondatezza dell'eccezione sollevata da parte della società (...) s.r.l. di difetto di legittimazione attiva dell'associazione professionale.

3. La Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado ritenendo non provato che il rapporto d'opera professionale sia intercorso tra la società conferente e l'associazione professionale, essendo invece le prestazioni contabili riconducibili unicamente ai singoli professionisti che le hanno effettuate.

4. Ricorre per cassazione l'associazione professionale affidandosi a quattro motivi di impugnazione, illustrati con memoria difensiva.

5. Si difende con controricorso (...) s.r.l.

 

Ritenuto che

 

6. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. ("per extra o ultra petizione nonché a fronte della proposizione in appello di domanda nuova"). L'associazione ricorrente lamenta che il Tribunale abbia deciso ultra petita, ravvisando un difetto di legittimazione attiva dell'associazione professionale senza che la relativa eccezione risultasse tempestivamente sollevata dalla parte opponente nell'atto di opposizione e senza che i termini per il deposito di memorie ex art. 184, comma 5 n. 1, c.p.c., fossero stati richiesti dalle parti e concessi dal giudice. Conseguentemente, secondo l'associazione ricorrente, l'eccezione non poteva più essere proposta nella prima udienza di trattazione. L'associazione ricorrente lamenta quindi che la Corte d'appello abbia omesso di rilevare tale vizio e sia incorsa in un ulteriore vizio di ultra o extra petizione identificando il difetto di legittimazione non, come aveva fatto il Tribunale, in relazione alla natura della associazione professionale, perché inidonea all'imputazione di attività che presuppongono l'iscrizione a un ordine professionale, quanto piuttosto ed esclusivamente, per il fatto che, nella specie, mancherebbe sia la dimostrazione del mandato, in forza del quale lo studio ricorrente avrebbe dovuto fornire le sue prestazioni professionali, sia la prova dello svolgimento personale dell'attività di consulenza da parte del socio indicato dallo studio professionale come referente e esecutore di tale attività.

Il motivo è inammissibile. Il vizio denunciato con il motivo di ricorso afferisce alla sentenza di primo grado e non risulta, dalla lettura della sentenza impugnata, né dalle stesse deduzioni dell'associazione ricorrente, che sul punto sia stato proposto un qualche motivo d'appello. Pertanto il rilievo da parte della Corte di appello non poteva avere luogo. Quanto alla pretesa violazione imputata direttamente alla Corte distrettuale e che sarebbe consistita nell'aver rilevato una diversa declinazione del difetto di legittimazione si osserva che nessun vizio di ultra o extra petizione è ravvisabile nella decisione della Corte di appello. Non è infatti scindibile la valutazione del profilo della soggettività dell'associazione professionale da quello del tipo di incarico conferito. Sotto questo profilo appare pertinente la difesa della controricorrente secondo cui la Corte di appello si è limitata a esaminare e decidere sui motivi di appello e in particolare sul primo motivo così come riassunto nella motivazione della sentenza impugnata (non aver tenuto conto del carattere impersonale assunto dalle associazioni professionali costituite nella forma degli studi associati). La Corte di appello ha rilevato che il primo giudice lungi dall'escludere in capo all'associazione la qualità di centro autonomo di imputazione di interessi giuridici, si è limitato a non ravvisarne la legittimazione attiva rispetto allo specifico rapporto di prestazione d'opera con la (...). in definitiva deve ritenersi che sia in primo che secondo grado l'indagine del giudice di merito non ha investito il difetto di legittimazione attiva in senso proprio, bensì l'inesistenza della titolarità del rapporto e del diritto azionato sul presupposto che il rapporto dedotto in lite non ha fatto capo all'associazione professionale che ha agito in giudizio. Carenza questa della titolarità del rapporto che è rilevabile d'ufficio perché attiene ad una condizione di fondatezza della domanda.

8. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell'art. 2332 c.c. per avere erroneamente la Corte d'appello affermato che le prestazioni dei professionisti associati non possano che essere eseguite personalmente dai medesimi e non anche da sostituti e ausiliari degli stessi.

9. La censura non coglie la ratio decidendi, non avendo affatto la Corte distrettuale formulato un tale principio di diritto, bensì soltanto escluso che, nella specie, le prestazioni fossero state eseguite dai professionisti in nome e per conto dell'associazione.

10. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un fatto decisivo per il giudizio e cioè la sussistenza dell'incarico professionale allo (...) nonché la violazione dell'art. 1325 n. 4 c.c.

L'associazione ricorrente rileva la erronea disamina della documentazione, in atti, da cui, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, emergerebbe l'esistenza di un contratto di consulenza fra la società (...) e lo (...). La ricorrente cita, in particolare la documentazione prodotta in giudizio dalla società opponente come prova inconfutabile dell'esistenza di un mandato professionale. In secondo luogo la associazione ricorrente rileva che il mandato professionale può essere conferito anche in forma verbale, dovendo in tal caso la relativa prova risultare in via presuntiva da idonei indizi plurimi, precisi e concordanti. A tale proposito viene ritenuta la motivazione della Corte di appello in contrasto con l'art. 1325 n. 4 c.c. perché avrebbe ristretto la possibilità di provare il mandato professionale solo mediante la produzione di un accordo scritto. Infine la ricorrente rileva la contraddittorietà della motivazione secondo cui non vi fu conferimento di mandato allo studio professionale dato che l'attività fu svolta dall'altro socio e non da quello che lo (...) avrebbe delegato e indicato come proprio rappresentante ed esecutore dell'attività di consulenza.

11. Il motivo è infondato sotto tutti i profili in cui è stato articolato. La valutazione sulla documentazione agli atti è un profilo prettamente di merito che non può essere sindacato in questa sede se non con riferimento a vizi motivazionali che non ricorrono nel caso in esame e che non sono stati denunciati specificamente anche con riguardo ai documenti espressamente citati dalla ricorrente. L'aver affermato la Corte di appello che la documentazione agli atti non consente di rinvenire un contratto di prestazione professionale fra le parti in causa non significa evidentemente che la Corte di appello ha ritenuto necessaria la forma scritta di tale contratto. Per quanto riguarda poi la pretesa contraddittorietà della motivazione relativa alla prestazione da parte del socio (...) anziché da parte del socio (...) designato dallo Studio si deve rilevare come il senso della motivazione della Corte di appello appare travisato perché il giudice del gravame ha escluso, in base alle risultanze istruttorie, che fosse provato un elemento su cui l'associazione aveva fondato la deduzione di un mandato professionale fra le parti. Mentre la ricorrente ha ricostruito tale passaggio motivazionale come contraddittoria affermazione della infungibilità della prestazione professionale anche all'interno di un mandato intercorrente fra il cliente e una associazione professionale. Ciò non è in quanto la Corte ha usato come parametri di riferimento i connotati costitutivi dell'associazione professionale citando sia la giurisprudenza secondo cui "i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all’associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d'opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale" (Cass. civ. sezione I, n. 6994 del 22 marzo 2007) sia la giurisprudenza che rileva come "l'articolo 36 del codice civile stabilisca che l'ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati" (Cass. civ. sezione I, n. 15694 del 15 luglio 2011). Secondo la giurisprudenza citata dalla Corte distrettuale "ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato - cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi". Ma nel caso in esame il giudice dell'appello non ritenuto raggiunta la prova in questione.

12. Con il quarto motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo costituito dall'esecuzione delle prestazioni oggetto dell'incarico professionale conferito dalla (...) allo (...) da parte di un socio di quest'ultima e comunque la violazione e falsa applicazione della legge 7 agosto 1997 n. 266 che, abolendo il divieto di costituire società fra professionisti, ha riconosciuto la legittimità dell'attività svolta da queste ultime per il tramite dei propri associati, pur nel rispetto dell'obbligo di esecuzione da parte dei professionisti delle prestazioni che richiedono particolari titoli di abilitazione.

13. Anche questo motivo del ricorso sembra divergere dalle ragioni che hanno determinato la decisione della Corte di appello. Si è detto come la parte della motivazione che riguarda il ruolo del rag. (...) nel rapporto con la società (...) abbia una rilevanza marginale. Invece di affermare o ispirarsi a un criterio distintivo della prestazione professionale associata essa è piuttosto intesa a smentire, sotto il profilo della valutazione del materiale probatorio, uno degli elementi assertivi della difesa della odierna ricorrente. La valutazione della effettività della prestazione dell'attività professionale da parte del (...) è quindi un profilo prettamente di merito rispetto al quale la ricorrente propone una lettura del materiale probatorio alternativa a quella della Corte ma senza che tale censura integri i requisiti propri del sindacato di legittimità. Non è invece condivisibile una lettura della legge n. 266/1997 nel senso dell'equiparazione automatica fra soggettività associata e riferimento delle prestazioni professionali svolte all'associazione. Non appare infine pertinente, rispetto alla decisione e alle motivazioni della Corte di appello, il richiamo della normativa e giurisprudenza che consente l'espletamento, da parte di non professionisti, dell'attività non protetta e specularmente il necessario ricorso ai professionisti per l'ipotesi inversa. Si tratta infatti di una tematica che non ha avuto alcun rilievo nella decisione impugnata.

14. Il ricorso va pertanto respinto con condanna alle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 5.200 euro, di cui 200 per spese.