Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 febbraio 2016, n. 2336

Inpgi - Lavoro subordinato - Accertamento - Elementi della subordinazione - Contribuzione - Sanzioni

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 11532 del 2008 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dalla S.E.E. s.p.a. (d’ora in avanti SEE) avverso il decreto ingiuntivo 1846/2003: dichiarava cessata la materia del contendere relativamente alla posizione di S.G.; dichiarava infondata la pretesa dell’INPGI per contributi e sanzioni relativamente alla posizione di S.G.; riteneva fondata la pretesa dell’INPGI relativamente alla posizione di G.F.; revocava il decreto ingiuntivo opposto condannava la SEE a pagare all’INPGI euro 109.397,02 per contributi e sanzioni maturate al 30-11-2001 relativi alla posizione del G.; condannava la SEE a pagare all’INPGI i due terzi delle spese, compensando il residuo e compensando integralmente le spese tra SEE e INPS.

L’INPGI proponeva appello avverso la detta sentenza lamentandone l’erroneità con riguardo alla posizione dello S.

La SEE resisteva e proponeva appello incidentale, lamentando che il primo giudice non aveva esplicitato nel dispositivo la (pur ritenuta in motivazione) cessazione della materia del contendere anche con riguardo alla pretesa concernente i buoni pasto e che erroneamente aveva ritenuto che il G. fosse lavoratore subordinato.

L’INPS si costituiva e chiedeva la conferma della sentenza di primo grado.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 12-9-2013, respingeva l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, in parziale riforma della sentenza impugnata, respingeva anche le domande dell’INPGI accolte dal primo giudice e dichiarava la sopravvenuta cessazione della materia del contendere anche con riguardo ai contributi e sanzioni rivendicati per "rimborsi buoni pasto". Condannava infine l’INPGI a rimborsare le spese del doppio grado alla SEE, compensando le stesse tra la SEE e l’INPS.

In sintesi la Corte territoriale rilevava che nel rapporto tra la SEE e il G. non sussistevano gli elementi della subordinazione, atteso che dall’istruttoria era emerso che il rapporto in questione, già sulla base della programmazione negoziale, era stato voluto e definito quale rapporto di lavoro autonomo, ed in considerazione dell’assenza di "direttive specifiche e tassative sulle prestazioni da svolgere", da parte dei responsabili della testata giornalistica, essendo pacifico, inoltre, che il G. non lavorava in redazione ed ivi non si recava quotidianamente, ma tre o quattro volte al mese, secondo la stessa allegazione dell’INPGI, ed essendo altresì emerso che lo stesso veniva pagato forfettariamente un tanto ad articolo.

Per la cassazione di tale sentenza l’INPGI ha proposto ricorso con tre motivi.

La SEE ha resistito con controricorso.

L’INPS ha depositato procura.

L’INPGI e la SEE hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia, ex art. 360 comma primo, n. 4 e 5, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 132 n. 4, 277 c.p.c., per avere la Corte territoriale svolto una motivazione del tutto generica e priva di qualsivoglia riferimento alla particolarità delle mansioni espletate dal G. (il quale teneva rubriche settimanali tra cui la Posta dei lettori e compilava articoli di commento e opinioni di politica sportiva con una media di dieci/dodici al mese, con rapporti diretti con il direttore e con il vicedirettore, e con subordinazione "attenuata" propria del "collaboratore fisso").

Con il secondo motivo si denuncia, ex art. 360 comma primo, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2094, 1362 e 1363 c.c., dell’art. 2 CCNLG (d.P.R. 153/1961) e degli artt. 115, 421, 437 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello tenuto conto di quanto stabilito dall’art. 2 del CCNLG ai fini del riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso (da un lato omettendo di controllare se sussistessero gli specifici indici di riconoscimento dell’inserimento del giornalista nell’attività della redazione, con apporto professionale stabile o consolidato, e dall’altro escludendo la subordinazione sulla base di elementi non determinanti quali la assenza di precisi vincoli orari e la non quotidianità della prestazione).

Con il terzo motivo l’Istituto ricorrente denuncia, ex art. 360 comma primo n.ri 3, 4 e 5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 421 e 437 c.p.c., rilevando che qualsiasi dubbio in ordine alla effettiva sussistenza della subordinazione avrebbe potuto essere risolto sulla base di ulteriori deposizioni testimoniali e lamenta il mancato completamento dell’istruttoria e la mancata escussione degli ulteriori testi, già ammessi, come richiesto dall’Istituto stesso.

Osserva il Collegio che il terzo motivo risulta inammissibile in quanto, come è stato chiarito da questa Corte, "la riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, ed esercitabile anche nel corso dell'espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l'esame di tutti i testi ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l'ulteriore assunzione della prova. Tale ultima valutazione non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal complesso della motivazione della sentenza." (v. Cass. 22-4-2009 n. 9551, Cass. 16-8-2004 n. 15955). Tanto meno, poi, potrebbe lamentarsi al riguardo un vizio di motivazione nel vigore del nuovo testo dell’art. 370 comma primo n. 5 c.p.c. (che va applicato nella specie ratione temporis) (v. per tutte Cass. S.U. 7-4- 2014 n. 8053).

I primi due motivi, poi, connessi tra loro, in parte sono inammissibili e in parte risultano infondati.

In materia di attività giornalistica, questa Corte ha costantemente affermato che "il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa, nonché per la natura prettamente intellettuale dell'attività stessa, con la conseguenza che, ai fini dell'individuazione del vincolo, rileva specificamente l'inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell'organizzazione d'impresa" (v. Cass. 7-10-2013 n. 22785) e che "la subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni, essendo invece determinante che il giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell'editore, anche nell'intervallo fra una prestazione e l'altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive ed istruzioni, e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia" (v. Cass. 7-9-2006 n. 19231, Cass. 12-2-2008 n. 3320).

Peraltro è stato anche precisato che "nel giudizio di cassazione è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto - incensurabile in tale sede ove congruamente motivata - la relativa valutazione" (v. Cass. n. 22785/2013 cit.).

In particolare, poi, all’interno del lavoro giornalistico subordinato, questa Corte ha costantemente affermato che "ai fini della integrazione della qualifica di redattore e della sua distinzione dalle altre figure di giornalisti, è imprescindibile il requisito della quotidianità della prestazione in contrapposizione alla semplice sua continuità, caratterizzante la figura del collaboratore fisso; nei confronti di quest'ultimo il requisito della responsabilità del servizio deve essere inteso come l'impegno del giornalista di trattare con continuità di prestazioni uno specifico settore o specifici argomenti di informazioni: deve quindi ritenersi collaboratore fisso colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell'informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell'impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell'intervallo tra una prestazione e l'altra." (v. Cass. 20-1-2001 n. 833, Cass. 9- 3-2004 n. 4797, Cass. 20-5-2014 n. 11065).

Orbene, rileva il Collegio che nel caso in esame la Corte territoriale ha escluso la subordinazione, pur con specifico riguardo alla figura del collaboratore fisso prospettata dall’INPGI.

In particolare la Corte di merito ha rilevato che già le allegazioni in fatto dell’INPGI (vedi memoria di costituzione in primo grado) in ordine alle modalità del lavoro svolto dal G. erano "insufficienti a far ritenere la instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, in difformità dalla originaria previsione negoziale, difettando in radice l’assoggettamento in termini sufficientemente specifici e concreti al potere direttivo, organizzativo e conformativo della prestazione e di controllo, della parte datoriale, nonché, con specifico riferimento alla fattispecie di cui all’art. 2 del CCNLG invocato dall’INGPGI, quanto meno il permanere "dell’impegno ...di porre a disposizione la propria opera...tra una prestazione e l’altra in relazione agli obblighi degli orari, legati alla specifica prestazione e alle esigenze di produzione, e di circostanza derivanti dal mandato conferitogli".

La Corte territoriale, inoltre, richiamando specificamente le risultanze della prova testimoniale, ha aggiunto che "non più concludenti circostanze di fatto deponenti per la dedotta subordinazione sono venute dalla pur espletata istruttoria".

Tale accertamento di fatto, congruamente motivato, risulta conforme ai principi di diritto sopra ribaditi e resiste alle censure dell’Istituto ricorrente.

In particolare:

- sul primo motivo va rilevato che la motivazione è tutt’ altro che generica;

- sul secondo motivo va evidenziato che la Corte di merito ha considerato specificamente quanto previsto dall’art. 2 del CCNLG ed ha riscontrato la mancanza, nella fattispecie, del requisito del vincolo della disponibilità tra una prestazione ed un’altra.

Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese in favore della società controricorrente e dell’INPS (per quest’ultimo relative alla sola discussione).

Infine, trattandosi di ricorso notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della citata legge n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese alla società controricorrente e all’INPS, liquidate per la prima in euro 100,00 per esborsi e euro 5.000,00 per compensi e per il secondo in euro 100,00 per esborsi e euro 1.500,00 per compensi, oltre, per entrambi, spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.