Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 febbraio 2016, n. 2933

Rapporto di agenzia - Recesso per giusta causa - Gravi violazioni degli obblighi contrattuali - Conclusione del contratto di assicurazione mediante la "messa in cassa" della polizza - Prassi di settore - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

1. In forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Torre Annunziata, la s.p.a. M.A. Assicurazioni chiese a L.V. il pagamento della somma di € 22.577,80 a titolo di restituzione del saldo a debito verificato alla chiusura del rapporto di agenzia con lui intercorso. Il decreto ingiuntivo fu opposto dall’agente il quale, oltre ad eccepire l’insussistenza del suo debito, oppose in compensazione un suo controcredito, costituito dalle somme a lui dovute a titolo di risarcimento del danno per l’improvvisa risoluzione del rapporto. Il Tribunale rigettò l’opposizione e la domanda riconvenzionale proposta dal V., che condannò al pagamento delle spese del giudizio. Il giudice ritenne che il V. non avesse contestato il rendiconto da lui stesso sottoscritto; quanto alla domanda riconvenzionale avente ad oggetto le somme richieste a titolo risarcitorio, ritenne che i fatti contestati dalla società all’agente e posti a base del recesso per giusta causa fossero stati provati, sicché era infondata la pretesa dell’opponente.

2. Contro la sentenza il V. propose appello alla Corte d’appello di Napoli la quale, con sentenza depositata in data 21/12/2010, lo ha rigettato ed ha compensato le spese del grado.

3. La Corte territoriale ha delineato i termini della vicenda, costituiti dal recesso per giusta causa esercitato dalla società di assicurazione nei confronti del suo agente a causa di gravi violazioni degli obblighi contrattuali. Tali violazioni erano consistite nel fatto che il V. aveva stipulato un contratto di assicurazione che copriva la responsabilità sua e dei fratelli quali committenti dei lavori di ricostruzione di un palazzo di loro proprietà, sottoscrivendo illegittimamente la polizza con se stesso, anche quale agente procuratore della compagnia, malgrado non fosse stato a ciò autorizzato a norma dell’art. 1395 cod.civ.; inoltre non aveva comunicato alla società che l’impresa esecutrice dei lavori ed il direttore dei lavori erano assicurati per la responsabilità civile con la medesima società. L’agente aveva contestato tale assunto, ritenendo che il contratto doveva ritenersi concluso nel momento in cui egli, quale agente, aveva messo in cassa la polizza, seguendo le disposizioni della compagnia di assicurazione, a norma dell’art. 1327 cod.civ.

4. Nell’esaminare i motivi di appello, la Corte ha ritenuto che il primo, fondato su una presunta prassi delle compagnie di assicurazione di ritenere concluso il contratto con l’emissione della polizza, ossia con l’immediata esecuzione del contratto, e non anche con la sua sottoscrizione, era inammissibile in quanto il richiamo degli usi o della prassi aziendale introduceva un diverso tema di indagine; ha comunque ritenuto il motivo infondato in quanto non era stato fornito alcun elemento di prova circa l’effettiva sussistenza e applicazione tra le parti della richiamata prassi e considerato che la stessa, nel caso in esame, era stata esplicitamente derogata, avendo la società assicuratrice richiesto proprio in occasione della stipula di quel contratto l’invio dei "simpli" per la firma da parte di un procuratore della società. Quanto al secondo motivo, la Corte territoriale ha ritenuto che la prova testimoniale avesse confermato l’assunto della società, secondo cui essa non era stata informata del fatto che l’impresa esecutrice dei lavori era assicurata per la responsabilità per danni con la stessa compagnia di assicurazione, circostanza quest’ultima che, se conosciuta, avrebbe imposto altre condizioni o addirittura escluso la stipulazione del contratto.

5. Contro la sentenza, il V. propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, cui resiste la U. assicurazioni s.p.a., già U.G.F. Assicurazioni s.p.a., quale società incorporante la A. assicurazioni s.p.a., che a sua volta ha incorporato la M.A. s.p.a. La controricorrente deposita memoria ex art. 378 cod.proc.civ.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso il V. censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 437 cod. proc. civ. e degli artt. 1326 e 1327 cod. civ., nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Assume che il contratto di assicurazione stipulato nel suo interesse in occasione dei lavori di ristrutturazione del palazzo di sua proprietà era stato validamente stipulato e previamente autorizzato, attraverso il fax del 14 giugno 2000. La circostanza che nel fax si richiedeva l’invio dei "simpli contrattuali" per la firma era stata erroneamente interpretata dal giudice del merito, il quale non aveva considerato che l’autorizzazione all’emissione della polizza contenuta nel detto fax equivaleva ad autorizzare la stipulazione del contratto medesimo. Sul punto, la motivazione era carente, non avendo peraltro esaminato ulteriori circostanze, ossia l’autorizzazione all’emissione della polizza e la sua registrazione, il pagamento del premio, l’assenza di contestazioni svolte in merito alla polizza da parte della società. Il richiamo alla prassi nel settore non costituiva un nuovo elemento di fatto, ma solo un’ulteriore argomentazione difensiva.

2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 2702, 2712 e 2722 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Assume che la testimonianza resa dal teste P. era lacunosa, generica, insufficiente e compiacente, sì da rendere la sua deposizione inattendibile. Inoltre la prova testimoniale era inammissibile ai sensi dell’art. 2722 cod. civ. in presenza di un documento, come il fax, che comprovava l’esatto contrario di quanto emerso dalla prova per testi.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Rileva che il giudice di merito ha ritenuto sussistente la giusta causa di recesso senza tuttavia valutare la gravità, la proporzionalità e la tempestività del recesso rispetto al fatto addebitato, realizzando una palese violazione della norma citata.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del "principio della compensazione impropria o atecnica", e rileva che in caso di accertamento dell’inesistenza della giusta causa di recesso egli diventava creditore non già debitore nei confronti dell’impresa preponente, perché l’importo delle indennità spettanti in caso di recesso non sorretto da giusta causa superava dell’importo del credito vantato dalla società. Ciò imponeva una compensazione impropria, con la conseguente declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo opposto.

5. I primi due motivi che si affrontano congiuntamente per la connessione che li lega sono infondati, oltre a presentare plurimi profili di inammissibilità.

Deve invero ricordarsi, sotto il profilo della inammissibilità del motivo attinente alla violazione di legge, l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità alla cui stregua "In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa" (Cfr. al riguardo, ex plurimis: Cass., 26 marzo 2010, n. 7394). Si aggiunge che la denuncia della violazione di legge deve accompagnarsi a pena di inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell'art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di "errori di diritto" individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, (cfr. Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 31 maggio 2006, n. 12984; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106; Cass., 19 gennaio 2005, n. 1063).

5.1. Nel caso in esame, la denuncia di violazione delle norme sulla conclusione del contratto, oltre a non essere accompagnata dalla specifica indicazione delle affermazioni della Corte in contrasto con le norme citate nel senso su evidenziato, si fonda sulla non condivisa valutazione compiuta dal giudice del merito circa il contenuto del fax del 14 giugno 2000 da cui, secondo la Corte, emerge la prova che la società aveva richiesto l’invio del contratto e della polizza perché fosse firmato da un procuratore della società, escludendo così espressamente la volontà della società assicuratrice di ritenere concluso il contratto attraverso la sua esecuzione. Si è fuori dunque dall’ambito segnato dal numero 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., attenendo la censura esclusivamente alla sfera della valutazione delle emergenze istruttorie da parte del giudice del merito. Sotto tale profilo il motivo è inammissibile.

5.2. Le stesse considerazioni valgono per quanto riguarda i denunciati vizi motivazionali, in mancanza di indicazioni di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basa la decisione, ovvero di illogicità delle stesse, consistenti nell'aver attribuito agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora di una mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi di un'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli stessi.

La decisione della Corte è invece fondata su una congrua ed esaustiva motivazione, basata su due diverse rationes decidendi, ciascuna idonea a sorreggerla: la prima costituita dalla considerazione che non è risultata provata l’esistenza di una prassi di settore che autorizzasse la conclusione del contratto di assicurazione mediante la "messa in cassa" della polizza; la seconda fondata sul fatto che, anche a volerla ritenere esistente, essa è stata espressamente derogata dalla società preponente, nel momento in cui aveva richiesto in occasione della stipula di quella polizza l’invio del contratto per la firma da parte di un procuratore della società.

Ora, posto che le ipotesi nelle quali il contratto deve ritenersi concluso nel tempo e nel luogo in cui ne ha avuto inizio l’esecuzione sono solo quelle tassativamente indicate dal primo comma dell'art. 1327 cod. civ. (richiesta del proponente, natura dell'affare e usi commerciali), che impongono l’esecuzione della prestazione senza una preventiva risposta (Cass., 22 aprile 2002, n. 5874; Cass., ord., 12 novembre 2004, n. 21516; Cass., ord. 1° giugno 2006, n.13132), la decisione del giudice circa la mancanza di prove di un uso aziendale nel senso indicato dal ricorrente esclude che il contratto di assicurazione possa ritenersi concluso con la sua esecuzione. Sul punto la statuizione, oltre a non essere stata adeguatamente censurata è motivata e pienamente rispettosa dei principi vigenti in materia. Né possono valere a dimostrare l’esistenza della dedotta prassi gli elementi di fatto indicati dal ricorrente e riassunti sub 1- della presente sentenza, in quanto si tratta di circostanze strettamente inerenti al caso concreto che, in quanto tali, non possono valere a configurare una condotta caratterizzata da abitualità, reiterazione e generalità.

In realtà, i motivi all’esame mirano ad ottenere una diversa e più appagante ricostruzione dei fatti, risolvendosi così in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal Giudice di merito cui non può imputarsi d'avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché né l'una né l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo (cfr. tra le altre: Cass., 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., 6 marzo 2008, n. 6064; Cass., 7 marzo 2007, n. 5274; Cass., 5 marzo 2007, n. 5066).

5.3. Non può peraltro tacersi che entrambi i motivi presentano ulteriori profili di inammissibilità e improcedibilità, riscontrabili nel fatto che il ricorrente, pur trascrivendo per intero il contenuto del fax del 14 giugno 2000, non lo deposita unitamente al ricorso per cassazione, né fornisce precise indicazioni per una sua facile reperibilità nei fascicoli di parte o d’ufficio delle pregresse fasi del giudizio, così come non trascrive per intero la deposizione testimoniale della cui valutazione si duole, non la deposita unitamente al ricorso, né indica la precisa ed attuale collocazione del verbale in cui essa è stata raccolta. In tal modo la parte non rispetta il duplice onere imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4 cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., 15 luglio 2015, n. 14784; Cass.,9 aprile 2013, n. 8569).

6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, giacché della questione relativa gravità, proporzionalità, immediatezza della contestazione non vi è traccia nella sentenza impugnata ed era pertanto onere del ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, specificare in che termini ed in quale atto difensivo o verbale di causa tali questioni sarebbero state sottoposte al giudice del merito (Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675).

7. Il quarto motivo è del pari inammissibile, perché la possibilità di una compensazione atecnica o giudiziale suppone logicamente l’accoglimento dei primi motivi del ricorso, che invece è stato escluso per le considerazioni su svolte.

8. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 100,00 per esborsi e € 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.