Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 febbraio 2016, n. 2924

Lavoro - Inquadramento - Domanda di riconoscimento del superiore inquadramento

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

Con sentenza depositata l’1.6.2013 la Corte di appello di Napoli, su appello proposto da A., - (...), e in riforma della sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, ha respinto la domanda di riconoscimento del superiore inquadramento professionale del terzo livello di cui al CCNL Autoferrotranvieri.

Avverso la sentenza, il lavoratore propone ricorso per Cassazione, affidato a un motivo. L'A. resiste con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.

Il motivo è da disattendere perché invoca valutazioni non consentite in sede di legittimità.

Invero, la parte ricorrente sollecita una generale rivisitazione nel merito delle prove testimoniali acquisite agli atti, deducendo la violazione di norme di diritto (peraltro non indicate) e di contratto collettivo nazionale di lavoro (allegato A dell’accordo 27.2.1987, che detta le declaratorie di livello ed i profili professionali) nonché il vizio di motivazione per non avere la sentenza impugnata preso in considerazione il contenuto completo delle deposizioni (integralmente riportate) dei testimoni A., B. e A. (valutate, dalla Corte di appello, in maniera illogica e contraddittoria, senza considerazione dei profili di autonomia e di iniziativa assunti dal ricorrente durante le sostituzioni del Capo tecnico) e C. (considerata inattendibile).

Il ricorrente riproduce integralmente il testo delle deposizioni testimoniali che assume non considerate o insufficientemente considerate dal giudice del merito con particolare riferimento all’esame dell’autonomia e della responsabilità assunte dal ricorrente nel disimpegno delle mansioni e chiede una rinnovata valutazione.

Il ricorrente chiede, invero, al giudice di legittimità di esaminare il contenuto delle dichiarazioni dei testimoni e di verificare l’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata, ovvero è stata insufficiente o illogica.

Va, peraltro, rilevato che le norme (artt. 2697 ss. c.c.) poste dal Libro VI, Titolo II, del codice civile regolano le materie: a) dell’onere della prova; b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all'assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) della forma che ciascuno di essi deve assumere. La materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, è, viceversa, disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c. e l’erroneità su tali profili ridonda quale vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.(ex multis, Cass. 2707/2004).

L’illustrazione delle doglianze sull’apprezzamento delle risultanze testimoniali si risolve, dunque, nella proposizione di un mezzo d’impugnazione, ex art. 360 n. 5, c.p.c., inammissibile alla stregua della riforma operata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. "decreto crescita") convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, riforma applicabile ai ricorsi contro le sentenze depositate, come nella specie, dopo il giorno 11 settembre 2012.

Trova, dunque, applicazione il nuovo testo dell’ art. 360, secondo comma, n. 5, c.p.c., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per Cassazione "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. L’intervento di modifica del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.

Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconcitiabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.

Dunque, per le fattispecie ricadenti, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. ad opera dell’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge.

La legge, in questo caso, è l’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione".

Perché la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio "così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per mancanza di motivazione".

Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo "talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum".

Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta)".

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.

La citata sentenza n. 8053/14 delle S.U di questa Corte ha chiarito, riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una questio facti, che il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

In proposito, è stato altresì chiarito che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sent. cit.).

Peraltro, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione del giudice di merito in ordine all’attendibilità dei testi escussi si sottrae al controllo di legittimità in presenza di motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria.

Costituisce, inoltre, principio consolidato, quello secondo cui la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (v.t fra le altre, v. Cass. n. 11511/2014; 12988/2013).

Tanto più dopo la predetta novella dell’art. 360 n. 5, c.p.c., nella già richiamata interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità.

Ebbene, la Corte di appello ha esaminato e valutato le deposizioni di tutti i testimoni escussi in giudizio e, tenuto presente il diverso grado di autonomia e responsabilità richiesto - rispettivamente - dal livello di appartenenza del lavoratore e dal livello superiore preteso, ha ritenuto, con motivazione completa ed esauriente, correttamente attribuito il livello assegnato dall’Azienda. La sentenza impugnata ha, invero, indicato le declaratorie contrattuali relative ai livelli presi in comparazione (ossia quello assegnato e quello preteso), ha illustrato il contenuto delle mansioni svolte in concreto dai lavoratore così come risultanti dal materiale probatorio raccolto (e, in particolare, come descritte da ogni singolo testimone escusso), ha effettuato il procedimento di sussunzione di detti elementi nell’alveo del sistema di classificazione del personale dettato dal contratto collettivo applicato dall’azienda, rispettando, quindi, il procedimento logico-giuridico affermato dalla giurisprudenza consolidata in materia di domanda di riconoscimento di mansioni superiori. Il provvedimento impugnato si sottrae, pertanto, alle censure di omissione e contraddittorietà così genericamente esposte da parte ricorrente.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: "Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nonché accessori come per legge.

Dichiara dovuto dal ricorrente l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato.