Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2628

Accertamento fiscale - Avvocato - Avviso di accertamento in rettifica dei compensi dichiarati per l'anno d'imposta

 

Svolgimento del processo

 

Nei confronti dell'avv. V.P. venne notificato in data 7 dicembre 2015 avviso di accertamento in rettifica dei compensi dichiarati per l'anno d'imposta 1999 (da £18.470.000 a £61.279.000). Il ricorso del contribuente fu disatteso dalla CTP.

L'appello fu parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che determinò i compensi in €20.000,00 sulla base della seguente motivazione.

Le risultanze dei parametri, per avere efficacia, devono trovare conferma anche in altri elementi probatori; allo stesso tempo il contribuente deve dimostrare l'inaffidabilità del sistema di accertamento sulla base di specifiche situazioni di fatto. Nella specie il contribuente invoca l'applicazione degli studi di settore più aderenti alla realtà. Tenuto conto che al contribuente non è stato dato un congruo termine per presentarsi all'Ufficio (nell'invito al contraddittorio, notificato il 31 ottobre 2005, il contribuente era stato invitato a presentarsi il giorno 2 novembre 2005, dopo solo due giorni, di cui uno festivo, e dunque il giorno dopo), "si ritiene di accogliere sostanzialmente la sua richiesta subordinata e di rettificare, di conseguenza, i compensi dichiarati determinandoli in € 20.000,00 in luogo di quelli dichiarati in £18.470,00 ed accertati in £61.269.000".

Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 5 d. leg. n. 218/1997. Osserva il ricorrente che la CTR ha riconosciuto la non congruità del termine fissato per il contraddittorio, ma non ne ha tratto le dovute conseguenze, e cioè la nullità dell'invito senza il rispetto di un termine non minore di quindici giorni.

Il motivo è infondato. In linea generale, nel procedimento di accertamento per adesione previsto dagli artt. 5 ss. d.leg. n. 218/1997 l'instaurazione del contraddittorio preventivo da parte del fisco è del tutto facoltativa avendo solo la funzione di garantire la necessaria trasparenza dell'azione amministrativa e di consentire al contribuente una immediata cognizione delle questioni sul tappeto (Cass. 14 gennaio 2015, n. 444). L'attivazione del procedimento non riveste, dunque, carattere di obbligatorietà essendo l'attivazione stessa lasciata in tutti i casi alla valutazione degli uffici. Peraltro l'art. 6, comma 2 prevede la possibilità per il contribuente, al quale sia stato notificato un avviso di accertamento o di rettifica non preceduto dall'invito di cui all'art. 5, di attivare, a sua volta, il procedimento di definizione mediante la presentazione di una istanza apposita. L'invito riveste, dunque, carattere unicamente informativo della possibilità di aderire e la disposizione dell'art. 5 non richiede l'osservanza di particolari modalità. Solo ai fini di quanto previsto dall'art. 6, comma 2, l'invito al contribuente è normalmente comunicato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o notificato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.

Nel caso di specie l'accertamento è stato tuttavia effettuato mediante l'applicazione dei parametri. La censura non ha ad oggetto la questione circa l'efficacia presuntiva del parametro nonostante il termine indicato come non congruo, ma esclusivamente la questione del mancato rispetto del termine prescritto. Nel caso degli accertamenti fondati sugli studi di settore la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3-bis, introdotto con l'art. 1, comma 409, I. n. 311/2004, prescrive che nelle ipotesi di cui al comma 1, cioè quelle riguardanti gli accertamenti basati sugli studi di settore, l'ufficio, prima della notifica dell'avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5. La medesima I. n. 311/2004 ha però disposto (con l'art. 1, comma 410) che le disposizioni del comma 3-bis abbiano effetto a decorrere solo dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004. Trattandosi nel caso di specie dell'anno d'imposta 1999 la prescrizione menzionata non può trovare applicazione.

Va peraltro precisato, in omaggio a quanto affermato da Cass. s.u. 9 dicembre 2015, n. 24823, che, con riferimento all'IVA, tributo armonizzato, il contribuente non ha assolto l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere nel caso in cui il termine fosse stato più lungo di quello nella specie assegnato.

Con il secondo motivo (indicato sub b, in realtà secondo motivo, come si evince anche dal fatto che il successivo motivo è indicato come terzo) si denuncia violazione degli artt. 3, comma 181, I. n. 549/1995 e 39, comma 1, lett. d) d.p.r. n. 600/1973. Osserva il ricorrente che l'avviso di accertamento è fondato solo sul calcolo matematico dei parametri e non contiene in motivazione gli elementi necessari a sorreggere le presunzioni (semplici), le quali devono tenere conto della realtà effettiva in cui si svolge l'attività.

Il motivo è inammissibile. Risultano indicati due quesiti di diritto, entrambi incongrui rispetto al contenuto della censura. Con il primo quesito si chiede se i parametri abbiano il valore di presunzione semplice e se l'Ufficio è tenuto a provarne l'applicabilità al caso concreto. Con riferimento all'articolazione del motivo il quesito è congruo solo in relazione all'aderenza al caso concreto del parametro; la censura è però inammissibile perché incentrata su un apprezzamento di fatto, il riferimento nell'atto impositivo solo ad un calcolo matematico e la mancanza di motivazione, rispetto al quale manca un corrispondente accertamento del giudice di merito, sicché la relativa indagine è preclusa nella presente sede di legittimità. Il secondo quesito è nel senso che la mancanza di un congruo termine fra invito al contraddittorio e data fissata dall'Ufficio non permette al contribuente di difendersi. Trattasi di quesito privo di collegamento con l'articolazione del motivo.

Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 113 c.p.c. Lamenta il ricorrente che la CTR ha determinato in modo illogico e arbitrario l'ammontare dei redditi senza tenere conto delle risultanze degli studi di settore indicate dal ricorrente e che il difetto assoluto di motivazione non consente il controllo di legittimità sotto il profilo logico-giuridico.

Il motivo è inammissibile. Nei due quesiti di diritto si fa riferimento alla necessità che la statuizione giudiziale sia espressione di norme e non di equità. La CTR ha determinato il reddito conseguito dalla contribuente non facendo applicazione dell'equità di cui all'art. 113 c.p.c. (giudizio di equità c.d. formativa o sostitutiva, non correttiva o integrativa, da svolgere alla stregua tuttavia dei medesimi principi espressi dalla disciplina positiva - cfr. Corte cost. n. 206 del 2004), ma deve intendersi in base alla norma di diritto secondo cui il contribuente ha, nel giudizio relativo all'impugnazione dell'atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, ed il giudice può liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall'ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente. In questo quadro la CTR ha "sostanzialmente" accolto l'istanza subordinata del contribuente, come si legge in motivazione, considerando anche il carattere non congruo del termine concesso per la presentazione all'Ufficio. Il motivo di ricorso, in conclusione, non è pertinente alla motivazione della decisione impugnata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali, che liquida in euro 1.467,50 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.