Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2622

Tributi - Cartella notificata dal fisco - Recupero imposte dirette ed IVA derivanti dal controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza 24 ottobre 2008 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate nei confronti dell'avv. S.O. e così dichiarava inammissibile il ricorso avverso la cartella notificata il 16 settembre 2005, con la quale il fisco aveva recuperato imposte dirette ed IVA derivanti dal controllo automatizzato della dichiarazione Unico-2001 per l'anno 2000.

2. Il contribuente, dinanzi alla C.t.p. di Roma, aveva eccepito la tardività e il difetto di motivazione della cartella, nonché l'assenza dei presupposti per l'applicazione dell'IRAP; il fisco aveva replicato che la cartella era stata tempestivamente notificata nel termine previsto dall'art. 1, comma 5-bis, d.l. 106/2005 e che l'IRAP era dovuta. Il primo giudice aveva accolto il ricorso con decisione riformata in appello. La C.t.r. osservava che, avendo l'amministrazione documentato il condono tombale operato dal contribuente, questi non poteva più coltivare le contestazioni all'impugnata cartella.

3. Per la cassazione di tale decisione, l'avv. S.O. ha proposto ricorso affidato a tre motivi. L'amministrazione resiste con controricorso. Il contribuente replica con memoria.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la nullità del giudizio d'appello per violazione del litisconsorzio processuale (artt. 102 e 331 cod. proc. civ.), stante la mancata notifica del gravame al concessionario delle riscossione che era stato parte del giudizio di primo grado.

La censura non è fondata.

In primo luogo si osserva che il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un'evidente ragione d'infondatezza del ricorso (vedasi infra), di definire con immediatezza il procedimento, senza che rilevi ogni questione sulla integrazione del contraddittorio nei confronti di eventuali litisconsorti necessari, trattandosi di un'attività processuale del tutto ininfluente sull'esito del giudizi (Cass. nn. 12995 e 15106 del 2013).

Per completezza si aggiunga che, in tesi generale, la tardività della notificazione della cartella e le altre ragioni di opposizione fatte valere dal contribuente non costituiscono vizi propri della cartella. La legittimazione passiva spetta, dunque, all'ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, senza che sia configurabile un litisconsorzio necessario con riflessi di natura processuale (Cass n. 10477 del 2014 e n. 22939 del 2007; conf. Sez. Un. n. 16412 del 2007). Infatti, nella sua qualità di soggetto legittimato per legge a ricevere il pagamento del contribuente al posto dell'ente creditore, il concessionario della riscossione è di per sé stesso vincolato alla decisione del giudice tributario nei confronti dello stesso ente (Cass. n. 97 del 2015).

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza d'appello laddove consente al fisco d'introdurre in appello il rilievo dell'intervenuto condono tombale e denuncia violazione dell'artt. 57 proc. trib., art. 345 cod. proc. civ., 2969 cod. civ..

Il motivo non è fondato.

Infatti, con riferimento alle forme di definizione previste dalla legge finanziaria 2003 (n. 289 del 2002), la sanatoria fiscale può essere fatta valere per la prima volta anche in grado di appello, atteso che gli effetti del condono, per il rilievo pubblicistico dell'elisione dell'originario rapporto sostanziale (e se del caso processuale) del contribuente col fisco, non rientra tra le nuove eccezioni in senso tecnico, precluse dell'art. 57 proc. trib. ma tra le eccezioni improprie che il giudice stesso è tenuto a rilevare d'ufficio se risultanti dagli atti di causa anche a seguito della produzione di nuovi documenti effettuata in appello in forza dell'art. 58 proc. trib..

Si segnalano, in tal senso, numerosissime decisioni di legittimità che, dal 2007 sino ad epoca anche recentissima, si rifanno a tale principio di diritto (sent. nn. 20650, 11992, 3392 del 2015; nn. 20695, 17657, 15019, 12454, 12170, 11132, 9772, 7611, 2597, 1573, 1572 del 2014; nn. 24006, 21326, 13301, 13300, 13299, 13298, 12507, 11657, 8960, 3759 del 2013), approdato da ultimo anche nella giurisprudenza delle sezioni unite (dec. ud. 1.12.2015, in causa n. 27191/2008) riguardo alla definizione degli avvisi di accertamento (art. 15 della legge cit.) con estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere (art. 46 proc. trib.).

3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza d'appello laddove conferisce all'intervenuto condono tombale efficacia preclusiva dinanzi a pretese opposte al fisco dal contribuente e denuncia, a tale fine, la violazione dell'art. 9 della legge finanziaria 2003.

Il motivo non è fondato.

Le sanatorie fiscali pongono il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti che non si intersecano fra loro: (a) coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo quanto di ragione e, se del caso, rimborsi di somme indebitamente pagate o deduzione/detrazioni comunque spettanti, oppure (b) corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza la possibilità di riflessi o interferenze con quanto dovuto sulla linea del procedimento fiscale ordinario (Cass. n. 16034 del 2015). Quindi per i soggetti che hanno aderito al concordato per gli anni pregressi ex art. 7 o al condono tombale ex art. 9, la definizione automatica rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione restando intangibile per il contribuente il quantum dichiarato rispetto ad evenienze successive (Cass. n. 21639 del 2009).

Tale conclusione è avvalorata dalla Corte costituzionale che, nell'ordinanza n. 340 del 2005, dapprima richiama l'art. 9, comma 9 della legge finanziaria 2003 (n. 289 del 2002), laddove nel terzo periodo si limita a stabilire che la definizione delle imposte non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta regionale sulle attività produttive; poi precisa che l'art. 9, comma 10, lett. a), della stessa legge dispone soltanto la preclusione di ogni accertamento tributario nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, nel caso di perfezionamento della definizione automatica delle imposte.

Ciò significa che i periodi d'imposta coperti da condono non possono più essere rivisitati proprio a causa della scelta fatta dal contribuente di avvalersi del condono, rinunciando, implicitamente, ad ogni pretesa che, direttamente o indirettamente, trovi fondamento in fatti relativi agli anni condonati (Cass. n. 6699 del 2014). Di contro non è impedito al fisco di accertare l'inesistenza di crediti, data la natura propria dei condono, che incide sui debiti tributari dei contribuenti e non sui loro crediti (ult. cit.; conf. ex plurimis Sez. Un. n. 14828 del 2008; v. Cass. n. 20433 del 2014 e n. 11429 del 2015).

4. Da ultimo, riguardo all'IVA, si osserva che l'art. 9 cit. va comunque disapplicato, stante il suo preminente contrasto con gli obblighi previsti in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri, secondo l'interpretazione resa dalla Corte di giustizia che ascrive a dette norme comunitarie (artt. 2 e 22 della sesta direttiva; art. 10 del Trattato) portata generale e ritiene il condono tombale idoneo a pregiudicare seriamente il funzionamento del sistema comune dell'imposizione sul valore aggiunto (C. giust., 17 luglio 2008, causa C-132/06; conf. ex plurimis Cass. 2915 del 2013 e n. 20435 del 2014).

5. Il ricorso deve, dunque, essere rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 5200 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.