Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2606

Definizione dei ritardati od omessi versamenti - art. 9-bis l. 27.12.2002, n. 289 - Ritardo per l'ultima rata dell’importo dovuto a titolo di condono

 

Svolgimento del processo

 

 

1. L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza 111/1/08 del 10.12.2008 con la quale la CTR Lombardia, rigettando l’appello dell'ufficio, ha confermato la decisione che in primo grado aveva ritenuto che l’efficacia dell’istanza di definizione ex art. 9-bis l. 27.12.2002, n. 289 non venga meno nel caso in cui come nella specie il contribuente abbia pagato in ritardo l'ultima rata dell’importo dovuto a titolo di condono.

La CTR ha motivato il proprio deliberato osservando, sul rilievo che nella disciplina dettata dalla l. 289/02 l'omesso versamento di alcune rate non comporta la perdita del beneficio, che "la mancata reiterazione di queste disposizioni nel contesto dell'art. 9-bis non trova giustificazione nella circostanza che non essendo contemplata alcuna riduzione d'imposta rispetto a quelle effettivamente dovute, il mancato pagamento di una o più rate ripristini automaticamente la sanzione prevista originariamente".

Il ricorso è affidato ad unico motivo.

Non ha svolto attività difensiva la parte.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso, svolto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. l’Agenzia ricorrente deduce errore di diritto in relazione all’art. 9- bis l. 289/02 in quanto, contrariamente all’asserto fatto proprio dalla CTR, il mancato pagamento nei termini di legge dell'importo dovuto a titolo di condono, sia esso dipendente dall'omesso versamento della prima ed unica rata ovvero delle successive, "esclude ipso iure il perfezionamento delle condizioni necessarie per beneficiare dell'agevolazione a non può non determinare quindi la decadenza del condono medesimo, con conseguente applicazione delle sanzioni dovute in base all'art. 13 D.lg. 471/92 per l'omesso o ritardato versamento".

2.2. Il motivo, sebbene per ragioni pregiudiziali rispetto a quelle fatte valere dall'ufficio - e al cui rilievo, come si dirà, il collegio può provvedere d'ufficio - è fondato.

2.3. Premesso invero che il carico tributario di cui si discute concerne un omesso versamento in materia di IVA, è noto, come questa Corte ha già puntualizzato, che le misure demenziali recate dalla l. 289/02, in quanto comportanti una rinuncia definitiva dell'amministrazione alla riscossione di un credito già accertato, non sono estensibili all'area dei tributi armonizzati e, segnatamente, contrastano con la 6a direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, in data 17.5.77, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17.7.08, in causa C - 132/06. Secondo tale decisione, invero, la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della predetta sesta direttiva del Consiglio, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di IVA, per avere previsto, con la L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, una rinuncia generale ed indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, cosi pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto (24505/15; 24009/15; 20068/09).

Ebbene - come si è precisato - deve ritenersi che detta pronuncia abbia una portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale (a carattere sia legislativo che amministrativo), con la quale lo Stato membro rinunci in via generale, o in modo indiscriminato, all'accertamento e/o alla riscossione di tutto o parte dell'imposta dovuta, oltre che delle sanzioni per la relativa violazione, trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto comunitario. Ne discende che va disapplicato, per contrasto con il menzionato diritto comunitario cogente, sebbene con riferimento alla sola IVA, l’art. 9-bis, che, consentendo di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo, comporta una rinuncia definitiva alle sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo, oltre che repressivo, incidono sui corretto adempimento dell'obbligo di pagamento del tributo principale (20467/15; 25133/15; 19546/11).

2.4. Né può dubitarsi del fatto che la disapplicazione del diritto nazionale confliggente con le norme del diritto comunitario cogente debba essere operata, pure d'ufficio, anche nel presente giudizio di legittimità, onde assicurare la piena applicazione delle norme comunitarie aventi un rango preminente rispetto a quelle del singoli Stati membri. A tanto induce, invero, il principio di effettività, enunciato nei Trattati istitutivi della Comunità prima e dell'Unione poi, che comporta l'obbligo per il giudice nazionale di applicare il diritto comunitario in qualsiasi stato e grado del processo, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o - nella specie - il carattere chiuso del giudizio di cassazione (SS.UU. 26948/06)).

3. Il ricorso va dunque accolto, la sentenza impugnata andrà conseguentemente cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa potrà essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., secondo comma, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

4.Le spese si regolano secondo la soccombenza in questo giudizio, possono andare compensate quanto ai gradi di merito essendosi stabilizzato il quadro interpretativo successivamente.

 

P.Q.M.

 

Pronunciando sul ricorso, cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite che liquida nella somma di euro 1.000,00=, oltre alle somme prenotate a debito e agli accessori; compensa le spese di lite quanto ai gradi di merito.