Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2629

Tributi - Associazione senza scopo di lucro - Somministrazione di pasti e bevande - Esercizio di attività commerciale - Criteri distintivi

 

Svolgimento del processo

 

Vennero notificati due avvisi di accertamento, per gli anni 2002 e 2003, all'associazione "E.B. Steak House & Wine Club" sulla base di un p.v.c. del giugno 2005 di contestazione di attività commerciale. I ricorsi della contribuente vennero accolti dalla CTP. L'appello dell'Ufficio venne accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania sulla base della seguente motivazione.

"Perché non venga considerata prestazione fatta nell'esercizio di una attività commerciale, la somministrazione di pasti e bevande non basta che avvenga all'interno dell'associazione, ma occorre che la predetta attività sia conforme alle finalità istituzionali dell'Ente, e strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali. Orbene nella fattispecie non sembra che ciò corrisponda alla realtà riscontrata, in quanto dal p.v.c. della G. di F. si evince che presso la predetta Associazione veniva svolta attività di ristorazione e che all'atto dell'accesso venivano rinvenute presso la sede persone non socie, le quali dopo aver pranzato pagavano un corrispettivo dietro emissione di regolare ricevuta fiscale, mentre non era presente alcun socio intento alle attività ricreative. Altri elementi poi confortano la tesi dell'appellante: la mancanza di libri sociali da cui si potevano dedurre la natura dell'attività e le circostanze relative alla vita sociale (variazione dei soci, verbali delle assemblee, alternarsi dei responsabili, programmazione, ecc.), circostanza questa che fa sorgere gravi dubbi sulla effettiva esistenza di una vita associativa; l'ubicazione e l'accesso incontrollato che, in presenza di una insegna che pubblicizza il locale, costituiscono ulteriori indizi di una attività orientata più verso clienti esterni che ad attrarre soci. A ciò aggiungasi la circostanza che successivamente negli stessi locali e con lo stesso nome è stata posta in essere l'attività commerciale di ristorazione da parte della s.a.s. di D.F.L. (già presidente dell'Associazione)".

Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR ha presunto, sulla base di un accesso del 2004 in cui furono colti avventori non soci, la natura di attività commerciale fin dalla costituzione dell'Associazione (2002), nonostante che il principio dell'annualità dell'imposizione impedisca di estendere l'accertamento ad anni precedenti. Aggiunge che dall'esame delle movimentazioni bancarie nulla era emerso e che la CTR afferma di avere esaminato tutta la documentazione prodotta in giudizio senza dire alcunché sui documenti in questione. Osserva altresì che la CTR nulla ha detto in merito al fatto che l'Associazione aveva comunicato all'Ufficio SIAE di volersi avvalere delle agevolazioni per le associazioni senza scopo di lucro.

Il motivo è inammissibile. La censura attiene per un aspetto, quello dell'estensione ad anni precedenti all'attività accertativa, ad una denuncia di errore di diritto, e non ad un vizio motivazionale, senza che però vi corrisponda un autonomo quesito di diritto. Per il resto il motivo non rispetta i principi di autosufficienza del ricorso e di decisività della censura. Circa la mancata argomentazione in ordine ai documenti prodotti in giudizio la ricorrente non indica specificatamente a quali documenti la censura faccia riferimento, in modo da poter apprezzare la decisività della medesima censura. Anche con riferimento alla circostanza della comunicazione all'Ufficio SIAE/non risultano dedotte le ragioni di decisività del rilievo in relazione al contenuto della motivazione della sentenza impugnata. Inoltre in violazione del principio di autosufficienza la ricorrente non ha indicato in modo specifico la sede processuale della deduzione della circostanza, essendosi limitata ad un generico richiamo agli atti di primo e secondo grado. Infine il riferimento alla movimentazione bancaria costituisce apprezzamento di merito precluso nella presente sede di legittimità.

Con il secondo motivo si denuncia erronea applicazione degli artt. 4, comma 4, d.p.r. n. 633/1972 e 111 d.p.r. n. 917/1986, in relazione all'art. 360 n.3 c.p.c. Osserva la ricorrente che è mancata una verifica dell'attività effettivamente svolta da parte dell'Ufficio alla luce della normativa secondo cui l'attività commerciale deve essere servente rispetto alle finalità istituzionali dell'ente.

Il motivo è inammissibile. Il motivo va valutato nei limiti in cui risulta formulato il quesito di diritto. Il quesito recita quanto segue: dica la Corte se "nel caso in esame possa ritenersi l'esercizio di somministrazione di alimenti e bevande conforme alle finalità stabilite in mancanza di una verifica dell'effettiva attività svolta". Il quesito implica un accertamento di fatto in ordine alla conformità della somministrazione di alimenti e bevande alle finalità associative che è precluso nella presente sede di legittimità, come anche precluso è nella presente sede accertare se vi sia stata una verifica dell'effettiva attività svolta.

Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell'art. 2214 c.c. ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che l'Ufficio ha qualificato i redditi presuntivamente accertati quali redditi d'impresa, implicitamente riconoscendo la natura di società di capitale dell'associazione, e che l'errore è stato avallato dalla CTR, che ha ritenuto elementi confortanti la tesi dell'Ufficio la mancanza di libri sociali, ecc.. Aggiunge che può parlarsi di società di persone e non di società di capitali.

Il motivo è inammissibile. Il motivo muove da un presupposto, e cioè che la CTR, "avallando" così un errore dell'Ufficio, abbia riconosciuto per implicito l'esistenza di una società di capitali. Trattasi di presupposto di fatto rispetto al quale non si evince un corrispondente accertamento, sia pure per implicito, nella sentenza impugnata. Il motivo non coglie pertanto la ratio decidendi della sentenza.

Va infine rilevato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Economia e delle Finanze cui la ricorrente ha pure notificato il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 3.645,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.