Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 febbraio 2016, n. 2903

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente bancario - Accordo diretto a consentire le cd. "partite bilanciate" - Esclusione della revoca - Necessità di forma scritta dell’accordo - Esclusione

 

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

 

1.- Con la sentenza impugnata (depositata il 29.12.2008) la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione del tribunale con la quale era stata rigettata la domanda di revoca di rimesse bancarie solutorie eseguite in periodo sospetto proposta dal curatore del fallimento della s.p.a. I. nei confronti del Banco di Napoli (cui, poi, è succeduta Intesa San Paolo).

La domanda era riferita a tre versamenti su conto scoperto (oltre i limiti dell'affidato). I primi due sono stati ritenuti privi di natura solutoria perché finalizzate a costituire provvista subito utilizzata dalla società per il pagamento di debiti vari. La corte di merito ha ritenuto che dall'andamento del conto si potesse trarre la prova dell'accordo diretto a consentire le c.d. "partite bilanciate" in deroga all'art. 7 NBU.

Il terzo versamento - pari a lire 831.290.440 - di cui era stata chiesta la revoca per la parte eccedente la somma di lire 500.000.000, pari all'apertura di credito, non era revocabile perché eseguito dall'amministratore della società ad estinzione della propria obbligazione quale fideiussore della fallita. Non vi era prova dell'utilizzo di somme di spettanza della società (anzi vi era la prova dell'addebito della somma sul c/c personale dell'amministratore) né che il solvens avesse esercitato il regresso contro la debitrice principale. Infine, era pacifico che l'amministratore avesse prestato fideiussione in favore della fallita.

Contro la sentenza di appello il curatore del fallimento ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso la s.p.a. Intesa Sanpaolo.

Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. le parti hanno depositato memorie.

2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 67 l. fall., anche in relazione all'art. 7 NBU nonché vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. - applicabile ratione temporis - il seguente quesito di diritto: «se l'onere probatorio avente ad oggetto la esistenza del collegamento funzionale fra le operazioni contrapposte eseguite su di un conto corrente scoperto - collegamento idoneo a qualificare le operazioni medesime come bilanciate e a sottrarle alla disciplina contemplata dall'art. 67 II co. l. fall. - possa ritenersi assolto dalla sola analisi dell'andamento del conto; o se invece la banca, sulla quale grava il menzionato onere, sia tenuta alla allegazione di una specifica convenzione derogatoria dell'art. 7 delle Norme Bancarie Uniformi, la quale impedisca al credito della banca di essere esigibile e alla rimessa di assumere la funzione di pagamento>>.

Il motivo - inammissibile nella parte in cui denuncia vizio di motivazione senza formulare la prescritta sintesi ex art. 366 bis c.p.c. - è infondato perché secondo la giurisprudenza della S.C. in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente bancario, per potersi escludere la revocabilità di rimesse affluite su un conto scoperto, in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, è necessario il venir meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra il "solvens" e "l’accipiens", che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di prelievo o di pagamenti mirati in favore di terzi, così da potersi escludere che la banca abbia beneficiato dell'operazione sia prima, all'atto della rimessa, sia dopo, all'atto del suo impiego (Sez. 1, Sentenza n. 17195 del 29/07/2014) e la prova dei predetti accordi può risultare anche da "facta concludentia" (Cass. n. 1834/2011), nella concreta fattispecie ritenuti sussistenti dalla corte di merito con accertamento in fatto non censurato ritualmente.

2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 67 l. fall, in relazione agli artt. 1180 e 2697 c.c. Formula il seguente quesito di diritto: «se, in caso di rimessa solutoria eseguita sul conto della fallita dal legale rappresentante/garante della debitrice, sia onere della banca convenuta - la quale eccepisca la irrevocabilità del versamento in quanto finalizzato all'adempimento di un obbligo di garanzia - fornire la prova della natura del pagamento e quindi fornire la prova della natura non solutoria della rimessa, mediante la allegazione di elementi opponibili alla curatela>>.

Deduce che avrebbe dovuto essere accertata una espressa dichiarazione del solvens che ricollegasse il giroconto alla garanzia piuttosto che a un finanziamento. L'amministratore era il dominus dell'intero gruppo e si comportava come imprenditore individuale. E' mancata l'escussione della garanzia.

Il motivo - là dove non è inammissibile perché veicola censure in fatto - è infondato perché secondo la giurisprudenza di legittimità in tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, quando risulti che attraverso la rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma - senza utilizzare una provvista del debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento- ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l'obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice. Infatti, in questa ipotesi il pagamento è effettuato dal garante allo scopo di adempiere l'obbligazione di garanzia, autonoma, ancorché accessoria e di contenuto identico rispetto all'obbligazione principale, per evitare le conseguenze cui resterebbe esposto per effetto dell'inadempimento, mentre la modalità del pagamento non determina, di per sé, l'acquisizione della disponibilità della somma da parte del titolare del conto corrente perché essa è soltanto contabile ed è priva di autonomia rispetto all'estinzione del debito da parte del terzo-, non incide sulla provenienza della somma dal terzo e sulla causa del pagamento (estinzione dell'obbligazione fideiussoria, in difetto di una diversa imputazione) e perciò non viola la "par condicio creditorum" (Sez. U, Sentenza n. 16874 del 12/08/2005). Principio correttamente applicato dalla corte di merito.

Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 8.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.