Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 febbraio 2016, n. 6118

Omesse ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti - Decreto di citazione a giudizio diretto - Notifica via pec

 

1. Il Tribunale di Milano in data 22.5.2012, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente (...), io dichiarava responsabile del reato ascrittogli di cui agli artt. 81 cpv cod. pen.e 2 della legge n. 638/83 perché, nella qualità di titolare della ditta (...) con sede in (...) e, quindi, datore di lavoro, con più omissioni esecutivi di un medesimo disegno criminoso, non versava all'INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti registrati a libro paga per complessivi euro 32.609,00 relativamente al periodo dal mese di agosto 2007 al mese di luglio 2008 (in Milano dal 16.9.2007 e permanente fino al 16.8.2008) e, unificati i reati nel vincolo della continuazione e concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi tre e giorni tre di reclusione ed euro 260,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

La Corte di appello di Milano con sentenza del 4.3.2015, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale, riduceva la pena pecuniaria ad euro 255,00 di multa, confermando nel resto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto personalmente ricorso per Cassazione, (...), articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:

a. art. 606, comma 1 lett. b) e c) cod. proc. pen.: errata e/o falsa applicazione della legge penale ed inosservanza delle norme stabilite a pena di nullità con riferimento all'art. 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen.

Il ricorrente deduce la nullità assoluta ed insanabile ai sensi degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen. della sentenza della Corte di appello di Milano e della precedente ordinanza resa all'udienza del 4.3.2015, in quanto il decreto di citazione a giudizio diretto era stato notificato all'imputato mediante spedizione di messaggio di posta elettronica (PEC) all'indirizzo del difensore nominato in atti, in violazione dell'art. 16 del d.l. 179/2012, come modificato dall'art. 1 comma 19 della legge n. 228/2012, che prevede tale forma di notifica solo per i soggetti coinvolti nel procedimento penali diversi dall'imputato e soltanto a decorrere dal 15.12.2014.

b. art. 606, comma 1 lett. b), c) e) cod. proc. pen.

Il ricorrente deduce che erroneamente ed in violazione dell'art. 8 cod. proc. pen. la Corte di appello riteneva sussistente la competenza per territorio del Tribunale di Milano in luogo di quella corretta del Tribunale di Monza.

Argomenta che costituisce principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali si consuma nel luogo in cui ha sede l'Ufficio dell'INPS che ha competenza sul territorio ove si trova la sede effettiva dell'impresa; applicando tale principio nel caso di specie, pertanto, doveva radicarsi la competenza territoriale del Tribunale di Monza in quanto l'ufficio INPS territorialmente competente rispetto agli obblighi contributivi della (...) era quello di (...) e non quello di (...).

c. art. 606, comma 1 lett. b), c) e) cod. proc. pen.

Il ricorrente deduce che la sentenza della Corte di appello, in maniera non condivisibile, avrebbe fatto derivare la prova del reato contestato semplicemente facendo riferimento agli importi delle ritenute ricavati dai modelli D.M. trasmessi, nel mentre la giurisprudenza di legittimità richiede ai fini della sussistenza del reato contestato la prova dell'effettiva corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti.

d. art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.

Il ricorrente deduce che la motivazione della Corte di appello si baserebbe su un travisamento delle risultanze probatorie perché riteneva sussistente agli atti la copia della diffida contenente l'avvertimento dell'INPS di cui all'art. 2 comma 1 bis della legge n. 638/1983, nel mentre agli atti erano presenti solo il prospetto delle inadempienze accertate e copia dell'avviso di ricevimento della racc.ta del 23.9.2009.

e. art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.

Il ricorrente lamenta che, erroneamente, la Corte di appello riteneva ritualmente notificata a mezzo del servizio postale la comunicazione dell'INPS di Milano, in ipotesi contenente l'avvertimento di sanatoria della morosità, in quanto la copia dell'avviso di ricevimento del 23.9.2009 recava in calce sottoscrizione autografa diversa da quella dell'imputato, il quale in sede di esame l'aveva espressamente disconosciuta.

f. art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.

Il ricorrente lamenta che, erroneamente, la Corte di appello riteneva sussistente l'elemento soggettivo del reato, in quanto non aveva dato rilievo agli elementi oggettivi ricavabili dall'istruttoria svolta che dimostravano la sussistenza negli anni 2007 e 2008 di un conclamato ed irrevocabile dissesto finanziario dell'impresa di cui l'imputato era legale rappresentante.

g. art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.

Il ricorrente lamenta l'eccessività della pena irrogata, notevolmente superiore al minimo edittale e la non adeguatezza della relativa motivazione, con violazione del disposto dell'art. 133 cod. pen.

h. art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.

Il ricorrente lamenta che, erroneamente, la Corte di appello denegava la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria ex art. 53 legge n. 689/81.

Chiede, pertanto, la declaratoria di nullità o, in subordine, l'annullamento della decisione impugnata, con le conseguenti statuizioni di legge.

 

Considerato in diritto

 

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il decreto di citazione a giudizio diretto è stato notificato, a mezzo PEC ed ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen, presso lo studio del difensore ove il (...) aveva eletto domicilio.

Tale forma di notificazione è valida.

Va riassunto il quadro normativo in materia di notifica a mezzo PEC al difensore dell'imputato.

Il primo intervento in tal senso è rappresentato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella L. 6 agosto 2008, n. 133, così come successivamente novellato dall’art. 4, comma 3, lett. a), del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, conv. con modificazioni nella L. 22 febbraio 2010, n. 24.

L'art. 4 comma 3 della legge n. 24 del 2010, rinviando all'art. 148 comma 2- bis cod. proc. pen., ha sancito che tali attività di notificazione possano avvenire anche mediante e-mail.

Dalla lettura di tali testi normativi emerge la scelta del mezzo telematico come strumento "normale" per la notifica di atti inerenti a procedimenti penali nei confronti dì persona diversa dall'imputato, ivi compreso il suo difensore.

Tuttavia, come risulta dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 51, l'impiego di questa specifica modalità veniva ad essere subordinata all'emanazione, ad opera del Ministro della Giustizia, di un decreto ministeriale, chiamato ad individuare gli Uffici giudiziari dotati di adeguati servizi di comunicazione. In attuazione di quest’ultima previsione era stato emanato, in data 12 settembre 2012, apposito decreto del Ministero della Giustizia.

Tale quadro normativo è stato innovato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 19 ottobre 2012, n. 45, e in vigore dal successivo 20 ottobre, convertito con modificazioni in L. 17 dicembre 2012, n. 221. Con tale previsione si torna a disporre che, per quanto concerne i procedimenti penali, le notifiche a soggetti diversi dall'imputato sono effettuate via P.E.C. dagli Uffici giudiziari individuati da un apposito decreto del Ministro della Giustizia.

Contrariamente a quanto accaduto per i procedimenti civili, non è stata inserita alcuna norma transitoria specificamente dedicata a quegli Uffici per i quali il suddetto decreto era già stato emanato sotto la vigenza del D.L. n. 112 del 2008.

Infine è intervenuto l'art. 1, comma 19, punto 1, lett. a) e b), della L. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha inserito nell'art. 16, comma 9, del D.L. n. 221 una nuova lett. c-bis), che prevede che le disposizioni che qui interessano (commi da 4 a 8) "acquistano efficacia a decorrere dal 15 dicembre 2014".

Le Sezioni Unite, con la decisione n. 32243 del 26/06/2015, Rv.264864 hanno deciso la questione se la norma che consente di utilizzare lo strumento telematico, per le notifiche relative ai procedimenti penali, soltanto a partire dal 15 dicembre 2014 debba trovare applicazione anche nei riguardi di quegli Uffici giudiziari che siano stati autorizzati a ricorrere alla notifica a mezzo P.E.C. con decreto ministeriale emanato sulla base della disciplina legislativa previgente, ossia sulla base del D.L. n. 112 del 2008.

Hanno, quindi, affermato il principio di diritto, in base al quale anche dopo l'entrata in vigore del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono valide le notificazioni per via telematica a persona diversa dall'imputato o indagato eseguite, ai sensi del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e relativa conversione in legge, dagli Uffici giudiziari già autorizzati dal decreto 1 ottobre 2012 del Ministro della Giustizia.

Hanno, inoltre, richiamato il dettato del comma 2-bis dell'art. 148 cod. proc. pen. («L'Autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. L'Ufficio che invia l'atto attesta in calce ad esso di avere trasmesso il testo originale»), affermando che non v'è ragione di ritenere che tra i "mezzi tecnici idonei" non possano essere ricompresi gli strumenti atti alla trasmissione telematica, se essi siano in grado di fornire prova della trasmissione stessa e della avvenuta ricezione, garanzie che il sistema della P.E.C. è certo in grado di assicurare.

Hanno argomentato, quindi, che, seppure non fossero mai state emanate le disposizioni normative sopra più volte richiamate (d.l. 112/2008 convertito dalla legge 133/2008, d.l. 179/2012, convertito dalla legge 245/2012, legge 221/2012), l'esplicito dettato dell'art 148 comma 2-bis del codice di rito avrebbe consentito (a far tempo dalla introduzione del comma 2-bis nell'art. 148 cod. proc. pen., vale a dire sin dal 2001) la notificazione al difensore tramite P.E.C.

Hanno richiamando il chiarissimo dictum della sentenza delle Sezioni Unite n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv 250121, per la quale la notificazione alla parte privata, se deve essere eseguita mediante consegna al difensore, ben può essere eseguita tanto a con l'uso del telefax, quanto con l'uso di altri mezzi idonei a norma dell'art. 148 comma 2-bis cod. proc. pen..

Nella predetta decisione le Sezioni Unite hanno, infatti, osservato che nell'art. 148, comma 2 bis, cod. proc. pen. il legislatore ha previsto l'uso di mezzi tecnici idonei per le notificazioni o gli avvisi ai difensori quale sistema ordinario, generalizzato, alternativo all'impiego dell'ufficiale giudiziario o di chi ne esercita le funzioni (comma 1), purché sia assicurata l'idoneità del mezzo tecnico. (Sez. 2, n. 8031 del 09/02/2010, dep. 01/03/2010, Russo).

La mancata individuazione, in sede normativa, dei mezzi tecnici idonei ad assicurare la effettiva conoscenza dell'atto (cosiddetta norma aperta) è evidentemente legata all'esigenza di non rendere necessario il continuo aggiornamento legislativo degli strumenti utilizzabili, né in qualche modo obbligatorio il loro utilizzo, tenuto conto della evoluzione scientifica e dell'effettivo grado di diffusione di nuovi mezzi tecnici di trasmissione.

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (art. 2, comma primo bis, D.L. n. 463 del 1983, conv. con modd. in L. n. 638 del 1983) si consuma nel luogo in cui devono essere versati i contributi previdenziali ed assicurativi; luogo che, in applicazione dell'art. 1182, comma secondo, cod. civ., secondo il quale le obbligazioni aventi per oggetto una somma di denaro devono essere adempiute al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza, non si identifica nella sede dell'impresa, bensì nella sede dell'istituto previdenziale ove la stessa ha aperto la propria posizione assicurativa (Sez.3, n.41530 del 09/07/2015, Rv.265037; Sez.3, n.26067 del 14/02/2007, Rv.237126; Sez.3, n. 34418 del 12/07/2006, Rv.234953).

La sentenza impugnata ha applicato correttamente con il suesposto principio di diritto.

3. E' infondato il terzo motivo di ricorso.

Questa Corte ha affermato che in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, la presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli DM 10/2 - attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e l'ammontare degli obblighi contributivi - è valutabile, in assenza di elementi di segno contrario, come prova della effettiva corresponsione degli emolumenti ai lavoratori Sez.3, n. 21619 del 14/04/2015,Rv.263665; Sez. 3, n. 37330 del 15/07/2014, Rv. 259909).

Tanto è avvenuto nella specie, come si dà atto in sentenza, con motivazione congrua ed esente da vizi logici ed in linea con il suesposto principio di diritto.

4. E' infondato il quarto motivo di ricorso.

Quanto alla notificazione dell'avviso di pagamento da parte dell'Inps, deve premettersi che - secondo quanto riconosciuto nel ricorso - lo stesso risulta indirizzato all'imputato, legale rappresentante della società, e risulta ricevuto presso il suo domicilio.

Una tale notificazione risulta pienamente idonea a realizzare la presunzione di conoscenza dell'avviso stesso in capo al destinatario, non essendo previste dalla legge particolari formalità. Infatti, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la comunicazione della contestazione dell'accertamento della violazione è a forma libera e può essere effettuata mediante un verbale di contestazione, una lettera raccomandata o una notificazione giudiziaria, ad opera sia di funzionari dell'istituto previdenziale, sia di ufficiali di polizia giudiziaria (sez. 3, 14 febbraio 2007, n. 26054, rv. 237202; sez. 3, 19 luglio 2011, n. 30566, rv. 251261). Devono ritenersi idonee a tal fine anche le notificazioni ricevute con firma illeggibile e senza indicazione della qualità del ricevente, purché correttamente indirizzate al destinatario, essendo consentito, nel caso di persone giuridiche, l'invio presso la sede della società o presso la residenza o il domicilio del suo legale rappresentante (sez. 3, febbraio 2013, n. 28113, n.m.).

Questa Corte ha, inoltre, affermato che in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, la effettiva conoscenza della contestazione dell'inadempimento contributivo può essere desunta dalla esatta indicazione del destinatario e dall'indirizzo di recapito sulla raccomandata inviata al contravventore, sicché è irrilevante la impossibilità di risalire alla identità del consegnatario del plico in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi idonei a dimostrare che la comunicazione non sia stata portata a conoscenza del destinatario senza sua colpa (Sez.3, n. 19457 del 08/04/2014,Rv.259724).

La sentenza impugnata, sul punto, ha offerto una motivazione congrua ed esente da vizi logici ed in linea con il suesposto principio di diritto.

5. E’ infondato il quinto motivo di ricorso.

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2 D.L. n. 463 del 1983, conv. in I. n. 638 del 1983) è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, sicché non rileva, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (Sez,3, n.3705 del 19/12/2013, dep.28/01/2014, Rv. 258056; conf. n. 5755/2014, non massimata).

6. E' infondato il sesto motivo di ricorso.

La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all'art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena; la Corte territoriale riguardo alla pena ha richiamato l'importo non modesto degli importi mensili e della somma indebitamente trattenuta, così che la pena irrogata in misura prossima ai minimi edittali, non è stata ritenuta suscettibile di ulteriore riduzione.

Per giurisprudenza costante di questa Suprema Corte, la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media- come avvenuto nella specie- e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 2 n 36245 del 26/06/2009, Rv. 245596; conf. sez. 2, n. 28852 dell'8.5.2013, Taurasi e altro, Rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, Rv. 255153).

7. E' infondato il settimo motivo di ricorso.

In tema di sospensione condizionale della pena, il Collegio condivide l'orientamento secondo cui il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l'obbligo dì prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (Cass. sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, Rv. 263534, Cass. sez. 3 n. 6641 del 17/11/2009, Rv. 246184; Cass. sez. 3, n. 30562 del 19/03/2014, Rv. 260136).

Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, ha dato rilievo ostativo ai precedenti penali ed al comportamento processuale dell'imputato.

Inammissibile è, infine, l'ulteriore doglianza relativa alla mancata sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria ex art. 53 legge n. 689/81.

La L. n. 689 del 1981, art. 58, conferisce al giudice un potere discrezionale di concedere o meno le sanzioni sostitutive di cui all'art. 53 stessa legge. In particolare, recita l'art. 58 cit. commi 1 e 2 che "il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., può sostituire la pena detentiva e tra le pene sostitutive sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato. Non può tuttavia sostituire la pena detentiva quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato".

La valutazione del giudice compiuta avuto riguardo ai criteri previsti dall'art. 133 c.p. e in ordine al pericolo che le prescrizioni non vengano adempiute costituisce un "accertamento di fatto", incensurabile in sede di legittimità, ove motivato in modo non manifestamente illogico.

Questa Corte ha già affermato il principio, che qui va ribadito, secondo cui "l'accertamento della sussistenza delle condizioni che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 58, consentono di far luogo alla sostituzione della pena detentiva con una delle sanzioni sostitutive di cui all'art. 53 stessa legge costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se motivato in modo non manifestamente illogico". (Sez.2, n. 13920 del 20/02/2015, Rv.263300; Sez. 2, n. 4564 del 09/02/1993, Rv. 194152).

La motivazione della Corte territoriale, che sul punto ha dato valore ostativo alle pregresse applicazioni della sostituzione richiesta senza alcun effetto preventivo deterrente ed al comportamento dell'imputato che mostrava di essere poco incline all'assolvimento degli obblighi pecuniari imposti, non è manifestamente illogica, risultando così insindacabile in sede di legittimità.

Il ricorso, pertanto, è infondato e va rigettato.

8. Va dichiarata, però, la prescrizione dei reati contestati aventi ad oggetto le omissioni protrattesi fino al gennaio 2008, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen.

Va ricordato che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali (art. 2, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638), in quanto reato omissivo istantaneo, si consuma nel momento in cui scade il termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento, attualmente fissato, dall'art. 2, comma primo, lett. b) del D.Lgs. n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi, essendo irrilevante, ai fini dell'individuazione del momento consumativo, che la data per adempiere al pagamento sia fissata nei tre mesi successivi alla contestazione della violazione, poiché la pendenza di tale termine determina esclusivamente la sospensione del corso della prescrizione per il tempo necessario a consentire al datore di lavoro di avvalersi della causa di non punibilità di cui all'art. 2, comma primo bis, del citato D.L. (Sez. 3, n. 20251 del 16/04/2009, Casciaro, Rv. 243628; Sez. 3, n. 615 del 14/12/2010, Ciampi ed altro, Rv. 249164; Sez.3, n. 26732 del 05/03/2015, Rv.264031).

Perciò - ai fini del dies a quo per il computo dei termini di prescrizione del reato previsto dal D.L. n. 463 del 1983, art. 2 conv. in L. n. 638 del 1983, come modificato dal D.Lgs. n. 211 del 1994, art. 1 - occorre considerare che il reato si consuma non alla data coincidente con il periodo cui si riferisce l'omessa contribuzione ma il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi, dovendosi poi tenere presente, quanto al computo complessivo dei termini di prescrizione, che quando al datore di lavoro sia stato notificato l'avvenuto accertamento della violazione o gli sia stata contestata la violazione, come nella specie, il corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo (tre mesi) necessario al datore di lavoro per avvalersi della causa di non punibilità.

Ai fini del computo del termine massimo di prescrizione, è necessario calcolare, poi, ai sensi dell'art. 161, comma 2 cod. pen., il prolungamento del termine nei limiti di un quarto (anni uno e mesi sei) rispetto a quello ordinario (anni sei), previsto per il reato contestato, tenuto conto degli atti interruttivi, sicché il termine massimo di prescrizione va fissato in anni sette e mesi sei.

Pertanto, nel caso di specie, il termine di prescrizione- con riferimento ai ratei fino al mese di gennaio 2008, la cui decorrenza, per quanto in precedenza precisato, deve essere fissata al 16 febbraio 2008 - sarebbe maturato il 16 novembre 2015, tenuto conto della sospensione del termine di tre mesi D.L. n. 463 del 1983, ex art. 2, comma 1-quater, conv. in L. n. 638 del 1983.

Va, poi, applicata la sospensione del decorso del termine prescrizionale, in base al disposto dell'art. 159 cod. pen., dal 20.3.2012 al 20.4.2012 per adesione del difensore ad astensione dalle udienze, e, quindi, il termine prescrizionale è definitivamente maturato in data 16.12.2015, in epoca successiva all'emanazione della sentenza impugnata.

9. La sentenza impugnata, quindi, va annullata senza rinvio limitatamente alle omissioni protrattesi fino al gennaio 2008 per essere i reati estinti per prescrizione ed il ricorso va rigettato nel resto.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alle omissioni protrattesi fino al gennaio 2008, per essere i reati estinti per prescrizione e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano per la determinazione della pena per le omissioni residue. Rigetta il ricorso nel resto.