Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2635

Tributi - IVA - Imposta assolta in relazione alle spese di acquisto di beni e servizi concernenti autovetture - Indetraibilità ai sensi dell’art. 19-bis 1, del DPR n. 633/1972 - Rimborso dell’imposta non detratta - Legittimità

 

Fatto

 

La società ha presentato, in data 8 luglio 2004, istanza di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto assolta negli anni d'imposta dal 2002 al 2004, in relazione alle spese di acquisto di beni e servizi concernenti autovetture, oltre agli interessi dovuti per legge, che non era stata detratta, in virtù dell’art. 19-bis 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a tenore del quale, in deroga alle disposizioni di cui all’art. 19 del medesimo decreto, non era ammessa in detrazione (salvo che per gli agenti o rappresentanti di commercio): - l'imposta relativa all'acquisto o alla importazione di ciclomotori, di motocicli e di autovetture ed autoveicoli indicati nel d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, articolo 54, lettera a) e c) (codice della strada), non compresi nella tabella B all. al d.P.R. n. 633 del 1972, e non adibiti ad uso pubblico, che non formano oggetto dell'attività propria dell'impresa, e dei relativi componenti e ricambi, nonché alle prestazioni di servizi dipendenti da contratti d'opera, di appalto e simili che hanno per oggetto la produzione di beni e per quelle dipendenti da contratti di locazione finanziaria, di noleggio e simili ed a quelle di impiego, custodia, manutenzione e riparazione relative ai beni stessi (lettera c); - l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad autovetture e veicoli, aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto qualora non sia ammessa in detrazione l'imposta relativa all'acquisto, all'importazione o all'acquisizione mediante contratti di locazione finanziaria, di noleggio e simili di dette autovetture, veicoli, aeromobili e natanti (lettera d).

All’istanza fece seguito il silenzio-rifiuto dell’amministrazione, che la contribuente impugnò. Nel corso del giudizio di primo grado è stata depositata la sentenza, con la quale la Corte di giustizia, nella causa C-228/05, ha stabilito che l'articolo 17, n. 7, prima frase, direttiva del consiglio 17 maggio 1977 n. 77/388/Cee (sesta direttiva iva) deve essere interpretato nel senso che esso non autorizza uno stato membro ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni dell'iva senza previa consultazione del comitato consultivo dell'iva, istituito dall'art. 29, stessa direttiva e che la detta disposizione non autorizza nemmeno uno stato membro ad adottare provvedimenti che escludano alcuni beni dal regime delle detrazioni di tale imposta, ove siano privi di indicazioni quanto alla loro limitazione temporale e/o facciano parte di un insieme di provvedimenti di adattamento strutturale miranti a ridurre il disavanzo di bilancio e a consentire il rimborso del debito pubblico.

La Commissione tributaria provinciale ha quindi parzialmente accolto il ricorso, limitatamente ai rimborsi per i quali non era decorso il termine contemplato dall’art. 21 del d.lgs. 546/92.

Quella regionale ha respinto l’appello principale dell’ufficio (nonché quello incidentale della società), sostenendo che sia doveroso presumere che tutti i beni siano utilizzati per il raggiungimento degli scopi sociali e considerando che il termine previsto dall’art. 19 del d.P.R. 633/72 si riferisce alla detrazione e non già al rimborso dell’iva.

Avverso questa sentenza propone ricorso l'Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a sei motivi, cui la società non replica.

 

Diritto

 

1. - Col primo e col secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché inerenti alla medesima censura, l’Agenzia si duole, in entrambi i casi ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.:

- della violazione dell’art. 54 del d.lgs 546/92, là dove il giudice d’appello, pur a fronte di una rinuncia agli atti formulata dalla società ed accettata dall’amministrazione, concernente il rimborso riguardante il periodo dall’ 1 gennaio 2003 in poi, si è pronunciato nel merito, trascurando di dichiarare l’estinzione in parte qua - primo motivo,

- della violazione dell’art. 100 c.p.c., essendo intervenuta la pronuncia di merito nonostante l’intervenuta rinuncia, seguita da accettazione - secondo motivo.

La censura è fondata.

L’Agenzia dà conto dell’allegazione della rinuncia e dell’accettazione in appello, oggetto anche delle controdeduzioni svolte nella fase di gravame dalla società e la narrativa della sentenza riferisce della conclusione dell’ufficio appellante di estinzione parziale del processo, nonché della contestazione della contribuente, la quale «...precisa di aver rinunciato alla pregressa istanza solo per poter chiedere il rimborso in via forfettaria, senza perciò alcuna definitività del diniego relativo alla precedente istanza».

Manca in sentenza la pronuncia sull’istanza di estinzione parziale della quale il giudice d’appello pure dà conto, non potendo ravvisarsi tale pronuncia nell’ermetica affermazione che «le parti hanno eseguito e prodotto tutti gli atti riguardanti l’appello e pertanto il contenzioso è ancora in corso». Al cospetto di tale omissione e delle contestazioni della società che emergono dalla narrativa, la sentenza va sul punto cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto, affinché esamini la rinuncia ed interpreti la volontà della parte che l’ha compiuta.

2. - Col terzo motivo, l’Agenzia si duole, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione degli art. 19, 19 bis 1 del d.P.R. 633/72 e dell’art. 1 del d.l. 258/2006, convertito dalla l. 278/2006, là dove il giudice d’appello ha affermato la sussistenza del diritto al rimborso dell’iva assolta e non detratta in relazione agli autoveicoli che ha assunto destinati all’attività d’impresa, senza accertare la sussistenza dei requisiti documentali contemplati dall’art. 1 del d.l. n. 258/06.

La censura è infondata.

La Corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass. 10 aprile 2015, n. 7229), che, in tema di rimborsi iva, l’inosservanza delle formalità previste dal d.l. 15 settembre 2006 n. 258, convertito dalla l. 10 novembre 2006 n. 278, in adeguamento alla sentenza della corte di giustizia 14 settembre 2006, nella causa C-228/2005, non può comportare la perdita del diritto del contribuente che, anteriormente a detta pronuncia, avesse già presentato istanza di rimborso e ricorso giudiziario avverso il diniego espresso o tacito dell’amministrazione finanziaria, atteso che, da un lato, il suo diritto non trova fondamento nella disciplina sopravvenuta, ma nella riespansione dell’art. 19 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, cui il legislatore italiano ha illegittimamente derogato, mentre, dall’altro, non vi è alcuna disposizione implicante l’improcedibilità delle domande già formulate, per le quali si pone al più un’esigenza di completamento istruttorio. Difatti, l’art. 1 del d.l. 15 settembre 2006, n. 258, convertito con legge 10 novembre 2006, n. 278, al fine di disciplinare il rimborso dell’imposta indebitamente pagata per gli acquisti e le importazioni di beni e servizi indicati nell’art. 19-bisI, 1° comma, lett. c) e d), del d.P.R. 633/72, dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, ha costituito, in deroga al principio dell’efficacia retroattiva delle sentenze del giudice europeo, un nuovo diritto alla ripetizione, con il relativo termine di esercizio, ma ha fatto salvo il diritto dei contribuenti che non abbiano aderito alla procedura di rimborso forfetario (o che non abbiano presentato l’istanza entro il 15 aprile 2007) di chiedere la restituzione dell’intera imposta, purché la relativa domanda sia stata proposta nel termine di decadenza stabilito dall’art. 21, comma 2, del d.leg. 31 dicembre 1992, n. 546, in base alle regole, anche documentali, all’epoca vigente (vedi Cass. 6 maggio 2015, n. 8628).

2. - Fondati sono, invece, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché frammentazione della medesima questione con i quali, rispettivamente, l’Agenzia lamenta, in entrambi i casi ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e con riferimento all’iva assolta dall’8 luglio 2002 al 2004:

- la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633/72, là dove il giudice d’appello ha trascurato che la detrazione spetta soltanto per i beni o i servizi per i quali sia stata dimostrata l’inerenza con l’attività d’impresa - quarto motivo;

- la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 21 del d.lgs. 546/92, là dove la Commissione tributaria regionale ha affermato che l’onere di provare l’utilizzo ai fini aziendali degli acquisiti di autovetture e dei servizi ad esse relativi spetti all’amministrazione e non già alla contribuente - quinto motivo.

La complessiva censura va risolta in base al principio di diritto, che emerge dalla compatta giurisprudenza della Corte, secondo il quale, in tema di iva, l'art. 19, primo comma, del d.P.R. 633/72, consentendo al compratore di portare in detrazione l'imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell'esercizio di impresa, richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell'acquirente, l'inerenza del bene acquistato all'attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso, ed inoltre non introduce deroga ai comuni criteri in tema di onere della prova, lasciando la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell'interessato (tra varie, vedi Cass. 31 gennaio 2013, n. 2362). Dunque, la valutazione della strumentalità di un acquisto rispetto all’attività imprenditoriale va effettuata in concreto, tenendo conto dell’effettiva natura del bene, in correlazione agli scopi dell’impresa (Cass. 29 aprile 2015, n. 8628).

3. - Infondato è, infine, il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., là dove il giudice d’appello ha omesso di pronunciarsi sul capo dell’appello col quale l’ufficio aveva chiesto che dagli importi di rimborsare fossero sottratte le somme risparmiate dalla società sotto forma di minori imposte dirette ed irap dovute all’erario.

L’omissione di pronuncia, anche se sussistente, non è rilevante. Il che comporta, in base ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all'articolo 111 Cost., comma 2, nonché in base ad una lettura costituzionalmente orientata dell'articolo 384 c.p.c., la possibilità di omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, esaminando il merito del ricorso, essendo inutile il ritorno della causa in fase di merito, risultando evidente che la pronuncia da rendere, che non richieda ulteriori accertamenti di fatto, debba andare a confermare sul punto il dispositivo della sentenza di appello (Cass., ord. 11 aprile 2012, n. 5729; 21 marzo 2014, n. 6663).

3.1. - Nel caso in esame, va fatta difatti applicazione del principio stabilito dalla Corte di giustizia (con sentenza 16 maggio 2013, causa C- 191/12, Alakor; nella giurisprudenza interna, Cass. 15 novembre 2013, n. 25668), secondo il quale il diritto di ottenere il rimborso delle imposte riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni del diritto dell’Unione, nell’interpretazione loro data dalla Corte. Gli Stati membri sono quindi tenuti, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

Di conseguenza, ha statuito la corte, in linea di principio lo Stato membro deve rimborsare integralmente l’IVA che il soggetto passivo non ha potuto detrarre in violazione del diritto dell’Unione. Ciò in quanto il diritto alla ripetizione dell’indebito è inteso a rimediare alle conseguenze dell’incompatibilità dell’imposta con il diritto dell’Unione, neutralizzando l’onere economico che ha indebitamente gravato l’operatore che, in definitiva, lo ha effettivamente sopportato (sentenza del 20 ottobre 2011, Danfoss e Sauer-Danfoss, C-94/10, Racc. pag. 1-9963, punto 23).

La pretesa dell’amministrazione di decurtare dall’importo da rimborsare l’ammontare dei costi dedotti è, allora, da ritenere infondata, perché in contrasto con le suddette statuizioni.

4. - La sentenza va in conseguenza cassata, in relazione ai profili dinanzi specificati, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto, affinché riesamini la fattispecie e regoli le spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo di rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.