Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 febbraio 2016, n. 2798

Tributi - Attività di intermediazione e commercio di autoveicoli usati - Cessioni delle auto usate affidate dai clienti acquirenti di altre auto con procure a vendere stipulate in connessione con lo sconto sul prezzo dell'auto acquistata - Componente attivio di reddito di impresa

 

Svolgimento del processo

 

L’Agenzia delle Entrate prepone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, accogliendo parzialmente l'appello di (...), esercente attività di intermediazione e commercio di autoveicoli usati, nel giudizio promosso con l'impugnazione dell'avviso di accertamento ai fini dell'IRPEF, dell'IRAP e dell'IVA per il 1998, ha annullato, per quanto ancora interessa, le riprese a tassazione relativa a tre rilievi: costi per ricambi auto, ritenuti indeducibili in quanto non inerenti; ricavi non documentati e non registrati, "cosi come desunti dall'esame dei dati comunicati dai clienti richiesti a mezzo questionari o desunti da pratiche di finanziamento"; ricavi non documentati e non registrati, "così come desunti dalla vendita di autovetture senza emissione di fattura perché eseguite in nome e per conto di terzi mediante procura a vendere, ed il cui valore, talvolta, è stato definito dai verificatori mediante il ricorso alle quotazioni portate da riviste specializzate nel settore automobilistico".

La contribuente resiste con controricorso, preponendo ricorso incidentale articolato in quattro motivi, cui replica con controricorso l'Agenzia delle entrate, e depositando successivamente memoria.

 

Motivi della decisione

 

Il Collegio preliminarmente rileva che il tempestivo deposito, da parte della contribuente, di memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ., ha sanato la mancata notificazione dell’avviso di udienza.

Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione dell'art. 75 del tuir e dell'art. 2697 cod. civ., l’amministrazione censura la decisione per aver "ritenuto indimostrata dall'ufficio la non inerenza di fatture per acquisto di ricambi per auto non indicanti la targa del veicolo destinatario, anziché dare atto dell'assenza, in tali circostanze, della specifica prova della loro positiva inerenza, spettante alla parte".

Il motivo è infondato, ove si consideri che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, "in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l'inerenza all'attività di impresa delle singole spese e dei costi affrontati (elemento indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 75, comma terzo, del d.P.R. n. 917 del 1986), va interpretata come una relazione tra due concetti - la spesa (o il costo) e l’impresa - che implica un accostamento concettuale fra due circostanze, con la conseguenza che il costo (o la spesa) assuma rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili" (Cass. n. 1465 del 2009, n. 4041 del 2015).

Nella specie è incontroverso che le fatture esibite dalla contribuente, che svolge attività di intermediazione e commercio di autoveicoli usati, documentassero l'acquisto di parti di ricambio per autoveicoli.

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., assume che la sentenza di appello sarebbe "incorsa in extrapetizione annullando la ripresa a maggiori ricavi della differenza dichiarata dai clienti tra gli importi dei finanziamenti e i minori prezzi fatturati, per aver ritenuto indimostrato che essa fosse reale, e non derivata dall'erronea considerazione degli interessi dell'importo del finanziamento, quando la tesi dell'inesistenza del divario affermato (perché fondato su risposte errate) non era stata dedotta dalla parte nel ricorso di primo grado, ove essa si limitava a lamentare che non si fosse tenuto conto delle dichiarazioni che a suo dire negavano quel divario, confermando i prezzi fatturati".

Con il terzo motivo, denunciando la violazione dell'art. 2699 cod. civ., sostiene che "la CTR, negando fede all'attestazione del p.v.c. circa il contrasto tra le affermazioni di alcuni clienti e l'atto di finanziamento, e ciò per la mancata produzione di tali atti, ritenuta necessaria per verificare l'effettività dell'attestato contrasto ed escludere che nascesse un malinteso da parte dei clienti, avrebbe messo in discussione l'esattezza dell'attestazione dei verbalizzanti così violando la fede privilegiata dell'atto pubblico, la quale suppone che le affermazioni in esso contenute siano formulate in base a presupposti correttamente verificati dai verbalizzanti".

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

L'ufficio aveva infatti contestato con l'avviso la sottofatturazione di numerose operazioni di vendita di auto usate, sottofatturazione "constatata" dai verificatori sulla base dell'esame dei dati comunicati dai clienti della contribuente richiesti a mezzo questionari - "una serie di clienti hanno risposto ai questionari in maniera infedele, nel senso che hanno confermato le risultanze delle fatture emesse dalla ditta nei loro confronti" -, dati posti a confronto con le pratiche di finanziamento (dell'acquisto di autoveicoli), dalle quali si ritraevano, appunto, "importi maggiori rispetto a quelli fatturati".

II giudice di merito, con riguardo alla contestata sottofatturazione di numerose operazioni di vendita di auto usate, non ha condiviso l'individuazione del dato espresso dalle pratiche di finanziamento come il reale prezzo di vendita, ma ha effettuato un apprezzamento in ordine allo scarto fra le cifre poste a confronto, e segnatamente in ordine ai valori emergenti dalle pratiche di finanziamento. Ha infatti osservato in proposito che "quanto sostenuto dai verificatori è censurabile perché non è dato conoscere le condizioni alle quali i finanziamenti sono stati concessi dalle Aziende finanziarie, il trattamento degli interessi previsti, comunque a carico del cliente finanziato, e soprattutto non è dato conoscere se il cliente finanziato abbia considerato anche gli interessi alla stregua di parte del prezzo dell'autoveicolo piuttosto che onere relativo all'approvvigionamento monetario. Dunque i verificatori non hanno dimostrato che il prezzo pagato fosse diverso dal prezzo fatturato, inferiore a quello e quindi da recuperare a imposizione".

La mancata assunzione del dato delle pratiche di finanziamento come indiscutibile indicatore degli effettivi ricavi, vale a dire la valutazione critica dell'ipotesi dell'ufficio, per un verso non sembra possa configurare il vizio di ultrapetizione dedotto, a fronte, del resto, dei motivi 5 e 6 dell'appello, involgenti gli elementi posti a base della pretesa impositiva, il mancato vaglio critico del verbale di constatazione e così via; e, per altro verso, una siffatta, motivata valutazione del giudice di merito è escluso possa rivestire il carattere di violazione della fede privilegiata dell'atto pubblico.

Con riguardo al rilievo relativo ad altri ricavi non documentati e non registrati, desunti dalla vendita di autovetture senza emissione di fattura perché eseguita in nome e per conto di terzi mediante procura a vendere, il cui valore era stato talvolta definito dai verificatori mediante il ricorso alle quotazioni portate da riviste specializzate nel settore automobilistico, l'ufficio censura la decisione d'appello con i due motivi che seguono.

Con il quarto motivo, denunciando violazione dell'art. 6 del d.P.R. n. 917 del 1986 e degli artt. 2727 seguenti cod. civ. deduce che illegittimamente la CTR avrebbe "negato l'imputabilità a reddito di impresa delle somme ottenute dalla ditta accertata come corrispettivo delle cessioni delle auto usate, affidatele dai clienti acquirenti di altre auto con procure a vendere stipulate in connessione (affermata dalla parte per la maggior parte di tali contratti) con lo sconto sul prezzo dell'auto acquistata, avendo fatto ciò in difetto della prova contraria, incombente alla parte, alla presunzione di inerenza all'impresa venditrice dei corrispettivi ricavati da simili vendite connesse a nuovi acquisti, e quindi di loro imponibilità in capo ad essa".

Il motivo è fondato, alla luce del principio affermato da questa Corte, secondo cui "in tema di imposte sui redditi, nel mandato non oneroso a vendere autoveicoli usati, conferito ad una società commerciale come "corrispettivo" dello sconto concesso sull’acquisto di autoveicoli nuovi, senza obbligo di rendiconto e senza rimessione al mandante di quanto il mandatario abbia realizzato in esecuzione del mandato, il ricavato delle vendite inerisce alla gestione sociale, costituendo, quindi, posta attiva dei componenti del reddito ai fini del prelievo fiscale dell’IRPEG e dell'ILOR" (Cass. n. 16937 del 2005, nonché n. 11008 del 2001 in motivazione).

Con il quinto motivo, denunciando ''violazione degli artt. 2727 e seguenti cod. civ. - In subordine, emessa o comunque insufficiente motivazione (in relazione all'art. 360, c. 3 o gradatamente 5, c.p.c.)", si duole che la CTR, "nel ritenere le quotazioni delle riviste specializzate (quali Quattroruote e simili) del tutto insuscettibili di fornire prova del valore delle auto usate concretamente vendute in nero dalla ditta accertata (attestato nel pvc come non documentato né riferito dalla parte né altrimenti identificabile), in quanto tali quotazioni sono frutto di medie statistiche e non aderiscono alla reale condizione dei singoli beni ceduti, avrebbe illegittimamente trascurato, in violazione degli artt. 2727 e ss. c.c., l'indubbio ed oggettivo valore almeno presuntivo apprestato alle quotazioni in parola almeno proprio dalla loro origine statistica, cui doveva riconoscersi almeno l'effetto di ribaltare sulla parte l'onere di provare, se mai, le specifiche condizioni dei beni da lei concretamente ceduti che giustificavano l'applicazione di prezzi diversi da quelli riportati dalle quotazioni stesse"; ed in subordine censura la decisione in quanto gravemente immotivata, per aver negato ogni valore alle dette quotazioni solo perché semplici inedie statistiche, senza spiegare perché tale carattere sia sufficiente ad escluderne in toto il valore probatorio.

Il motivo è sostanzialmente fondato, ove si consideri che questa Corte ha affermato che "in tema di revocatoria fallimentare, è onere della curatela provare la sproporzione tra prezzo contrattuale e valore di mercato di un bene alienato, nel periodo sospetto, dal fallito a titolo oneroso (art. 67 primo comma Legge fall.), e tale prova può dirsi legittimamente raggiunta, in caso di compravendita di un autoveicolo, mediante la produzione e l'utilizzazione in giudizio di riviste specializzate, da ritenersi mezzi di prova idonei a fondare presunzioni semplici di verità dei fatti da provare, salvo contraria dimostrazione da parte del fallito" (Cass. n. 8978 del 2000).

Con il primo motivo del ricorso incidentale la contribuente, denunciando la violazione dell'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, assume che illegittimamente la CRT avrebbe ritenuto che la sottoscrizione dell'avviso di accertamento fatta da un funzionario dell'area di controllo e non dal Capo ufficio fosse regolare, e chiede a questa Corte "se la nota di servizio prodotta nel corso del giudizio sia anch'essa regolare e permetta di accertare se detta nota è stata emessa prima o dopo l'avviso di accertamento".

Il motivo è sostanzialmente inammissibile, in quanto il giudice d'appello ha già verificato l'esistenza agli atti di una nota emessa dall'agenzia delle entrate di noto, datata 6 giugno 2002, e quindi anteriore all'avviso, emesso il 6 e notificato il successivo 9 dicembre 2002, a firma del Dirigente che delega il Direttore tributario Capo area controllo dott. (...) alla firma degli avvisi di accertamento di competenza dell'area controllo, ed ha rilevato che tale delega non indica limiti di competenza. In relazione a tale accertamento la contribuente non formula alcuna idonea censura.

Il secondo motivo, con il quale si denuncia la violazione dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990, si conclude con il quesito "se la CRT ritenendo l'atto di accertamento impugnato sufficientemente motivato ha violato" la detta norma.

Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito di diritto, alla luce dell'art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile "ratione temporis", le volte che, come nella specie, esso "si risolva in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo" (Cass., sez. un., 23 settembre 2013, n. 21672).

Analoghe considerazioni vanno svolte in ordine al quarto motivo, la cui illustrazione si chiude con il seguente quesito: "se illegittimamente la CTR abbia negato la violazione dell'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, quando ha ritenuto che l'Agenzia delle entrate ha sottoposto a vaglio critico il processo verbale della guardia di finanza sul quale ha basato l'avviso di accertamento impugnato".

Quanto al terzo motivo, con il quale la ricorrente incidentale si duole della irregolarità della notifica del verbale di constatazione, cui l'avviso impugnato fa riferimento, si osserva che, care questa corte ha già avito modo di chiarire, "l'attestazione di avvenuta consegna del verbale al contribuente, risultante dalla sottoscrizione per ricevuta, è idonea a soddisfare la medesima esigenza di certezza sottesa alla notificazione, ossia la piena conoscenza dell'atto da parte del destinatario" (Cass. n. 26702 del 2014), e nella specie il giudice di merito ha accertato che "copia del verbale fu consegnata al coniuge sig. (...), delegato a rappresentarla in ogni fase delle operazioni di verifica intraprese dalla Guardia di finanza".

In conclusione, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale devono essere accolti, mentre vanno rigettati i primi tre motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale e rigetta i primi tre motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia.