Giurisprudenza - TRIBUNALE DI ROMA - Sentenza 09 febbraio 2016, n. 1170

Lavoro - Referendum - Irregolarità della tornata referendaria - Ripetizione

 

Fatto e diritto

 

I ricorrenti, tutti dipendenti dell'E. spa prevalentemente con mansioni di controllori del traffico aereo, hanno chiesto al giudice del lavoro di Roma di dichiarare "la nullità e/o annullabilità e/o illegittimità e/o irregolaria della tornata referendaria e del risultato del settore Assocontrol e della relativa proclamazione nonché, se del caso, di ordinare la ripetizione del referendum".

Il riferimento 6 al referendum da parte dei lavoratori interessati svoltosi nulle giornate dal 9 al 15 dicembre 2014 (escluso it 14) e relativo all'approvazione delle intese sottoscritte relative alla Parte Generale del contratto collettivo del trasporto aereo ed a 4 delle 5 sezioni specifiche e cioè Assocontrol, Assaereo, Assocatering e Assaeroporti.

E rispetto ad Assocontrol e pacifici che l'esito è stato il seguente: 1346 SI, 1316 NO, 5 schede bianche, 6 schede nulle, 0 schede contestate (doe. n. 6).

Dopo avere chiarito non essere loro intenzione contestare la legittimità del c.d. testo unico della rappresentanza sindacale, gli stessi ricorrenti finiscono per "discettare" su questioni in parte anche irrilevanti rispetto alla domanda proposta, avanzando sospetti con allegazioni di carattere meramente esplorativo, pur avendo il Si vinto con un margine di 30 voti, ciò che, come riconosciuto nello stesso ricorso, "non può essere un motivo di impugnazione".

Sospetti ed insinuazioni che finiscono per riguardare persino la procedura del seggio di Alghero dove pure la larga maggioranza dei votanti ha votato no all’approvazione del CCNL (17 su 21, come risulta dal doc. n. 3 delle resistenti).

In sintesi, i ricorrenti allegano che la "clamorosa assenza di schede contestate"sarebbe conseguenza di una "gestione quantomeno partigiana del referendum stesso" e che non sarebbe stato consentito ai lavoratori non aderenti a CGIL, CISL, UIL e UGL di partecipare alle Commissioni elettorali. Inoltre tutti gli scrutatori si sarebbero limitati a verificare l’identità del votante senza trascrivere sul registro gli estremi del documento, rendendo così "possibile" una doppia votazione e i contenitori delle schede votate non sarebbero stati sigillati mentre, in alcuni non meglio precisati casi, l’urna sarebbe stata lasciata incustodita, ciò che sarebbe attestato da un filmato di cui è stata chiesta la produzione.

Per queste ragioni dovrebbe ritenersi provata l’assenza di certificazione del referendum, non risultando peraltro il numero delle schede stampate e consegnate ai singoli seggi.

E’ agevole per il giudice rilevare che gli stessi ricorrenti, che non hanno proposto alcuna domanda nei confronti del datore di lavoro E. e non hanno in realtà nemmeno specificatamente allegato di aderire ad un sindacato "escluso", non hanno alcuna legittimazione a far valere la presunta illegittimità o irregolarità della tornata referendaria.

La domanda avrebbe dovuto essere proposta semmai dai sindacati esclusi dalla partecipazione.

Non ignora il giudicante che una condotta illegittima può ledere contemporaneamente l’interesse individuale del lavoratore e quello collettivo del sindacato.

Ma a tal fine si richiede appunto la lesione di uno specifico diritto del dipendente e relativo al suo rapporto individuale di lavoro che deve essere tempestivamente allegata in ricorso, secondo le regole del processo del lavoro.

Non basta cioè allegare che, in mancanza della certificazione, il ccnl risulterebbe inapplicabile erga omnes e non basta l’interesse che i lavoratori hanno di fatto al regolare svolgimento della procedura referendaria su cui ha molto insistito il difensore dei ricorrenti in sede di discussione orale.

Ne deriva che, in ogni caso, difetta clamorosamente l’interesse (giuridico) ad agire dei lavoratori che, come si è visto, non hanno chiesto di invalidare il ccnl ma solo la procedura referendaria di approvazione, pur essendo noto che il referendum non costituisce atto dispositivo di diritti soggettivi individuali e senza nemmeno allegare una lesione attuale di un qualche loro specifico diritto (da non confondersi con quello del sindacato) e quindi un danno alla propria sfera giuridica che l’azione giudiziaria potrebbe evitare.

In effetti si tratta, in assenza di idonee e tempestive allegazioni, solo di un mero interesse di fatto dei lavoratori che non determina una legittimazione ad agire ex art. 100 c.p.c. che avrebbe avuto invece il solo sindacato escluso, come UNICA.

Le esposte considerazioni risultano di carattere assorbente.

Peraltro, al di là delle considerazioni dal vago sapore politico giuridicamente irrilevanti e delle allegazioni istruttorie di carattere esplorativo, i ricorrenti non hanno nemmeno spiegato in base a quale norma o principio di diritto i lavoratori non aderenti alle 4 organizzazioni convenute avrebbero avuto il diritto di essere membri delle Commissioni e quindi perché, avendo legittime rappresentanze sindacali all’interno dell’Azienda, ANPACT, LICTA e UNICA avrebbero avuto il diritto di partecipare ai comitati rispetto al referendum di cui non sono state promotrici.

Il ccnl E. era stato in precedenza disdettato in data 10.1.2014 (docc. nn. 4 e 5 delle resistenti) e dal citato regolamento emerge che le commissioni Elettorali dovevano essere composte proprio e unicamente dagli appartenenti alle O.O. S.S. firmatarie del contratto collettivo sottoposto a consultazione certificata.

Mentre è pacifico che i sindacati cui fa riferimento il ricorso con l’evidente ed inammissibile intento di sostenerne le ragioni da parte dei singoli lavoratori non hanno sottoscritto il nuovo CCNL.

Ma anche a voler ritenere che la citata disciplina regolamentare sia illegittima discriminando i sindacati esclusi, solo quest’ultimi avrebbero potuto dolersene in giudizio.

In effetti, e più in generale, i ricorrenti pretendono di sostituirsi a dette organizzazioni facendo valere prerogative esclusive di quest'ultime senza avere alcun titolo e in totale assenza, di argomenti in diritto spendibili, assumendo, per il resto, come illegittimi comportamenti che non sono neanche tali (come il fatto che gli scrutatori si sarebbero limitati a verificare l’identità del volante senza trascrivere sul registro gli estremi del documento o che i dipendenti di T.S. e di C.S., lavoratori cui si applica il ccnl Metalmeccanici ancora in vigore all’epoca del referendum, non avrebbero potuto partecipare al referendum e persino la mancata specificazione del numero delle schede stampate e consegnate ai singoli seggi con l’elenco degli aventi diritto).

Essendo vero invece che le resistenti hanno applicato il regolamento delle modalità attuative del referendum (doc. n. 1 delle organizzazioni convenute), semplicemente ignorato in ricorso, che, per quanto concerne le operazioni di voto, prevede che "per l’identificazione dei votanti è sufficiente la tessera aziendale o un documento di riconoscimento".

In ogni caso le allegazioni e deduzioni istruttorie dei ricorrenti non sono assolutamente idonee a superare la c.d. "prova di resistenza" dimostrando che, in assenza dei comportamenti denunciati, l’esito del referendum sarebbe stato diverso.

Per le esposte ragioni, ed in primo luogo per l’evidente difetto di legittimazione e di interesse giuridico ad agire dei ricorrenti, il ricorso deve essere respinto senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti delle altre organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il contratto collettivo nazionale (diverse da quelle resistenti).

Integrazione che non appare necessaria rispetto al tipo di domanda proposta nei confronti delle organizzazioni sindacali che si sarebbero rese responsabili della presunta illegittimità/nullità/irregolarità della tornata referendaria da loro gestita (senza chiedere di annullare il contratto collettivo o parti di esso).

Né può rilevare in contrario l’effetto riflesso che ne potrebbe derivare in termini di "delegittimazione del contratto collettivo nazionale e del ruolo di tutte le parti che lo hanno sottoscritto" e quindi l’interesse di fatto che quest’ultime potrebbero avere a partecipare al giudizio.

Integrazione che comunque non appare necessaria in base ai principi generali.

Infatti, secondo il principio, di elaborazione dottrinaria e ormai recepito dalla giurisprudenza, della c.d. "ragione più liquida", il giudice, in sede decisoria, non è tenuto a rispettare rigorosamente l’ordine logico delle questioni da trattare (art. 276 c.p.c.), ove sia più rapido ed agevole risolvere la controversia in base ad una questione che, pur se logicamente subordinata ad altre, sia più evidente e più rapidamente risolvibile. Alla luce di tale principio il Giudice può e deve trovare la soluzione che gli permetta la più agevole soluzione del processo, affrontando subito, per decidere la causa, in deroga all'art. 276, secondo comma, cod. proc. civ., quelle questioni il cui esame è più agevole per risolvere la materia del contendere, anche se sarebbe logicamente successivo rispetto ad altre.

Si tratta di un principio pienamente rispondente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ormai anche costituzionalizzate ai sensi dell'art. 111 Cost., fondato su una visione dell'attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale, ma come un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli.

Come chiarito dalla Suprema Corte "Il principio della "ragione più liquida", imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare, di cui all'art. 276 cod. proc. civ., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall'art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione - anche se logicamente subordinata - senza che sia necessario esaminare previamente le altre" (Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n. 12002 del 28 maggio 2014 e nello stesso senso Cass. civ. Sez. Unite, Sentenza n. 9936 dell’8 maggio 2014).

Pertanto, nella fattispecie in esame, se necessario anche in ragione del principio della ragione più liquida, la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente e di più agevole e rapido scrutinio (difetto di legittimazione e comunque di interesse ad agire).

Dovendosi in questo quadro anche ricordare, quanto alle prove richieste dalla parti, che "La regola, costituzionalizzata ed immanente nel processo, della sua ragionevole durata sconsiglia l'esercizio di attività istruitone che non risultino decisive" (cfr. Cass. n. 878 del 16/1/2013).

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando: respinge il ricorso;

- condanna i ricorrenti a rifondere alle organizzazioni sindacali resistenti le spese processuali liquidate in euro 3000.00, oltre iva e cpa.