Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 gennaio 2016, n. 5721

Tributi - Reati tributari - Omessa dichiarazione ex art. 5, co. 1, D.Lgs. n. 74 del 2000 - Provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca - Assenza della richiesta del P.m. - Nullità assoluta del provvedimento - Rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 28 maggio 2015, il Tribunale di Cuneo, in funzione di riesame, ha rigettato l'istanza di riesame proposta da B. S. A. avverso il decreto di sequestro per equivalente emesso dal G.i.p. in data 14.4.2015 in relazione al reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 (sebbene l'ordinanza del Tribunale indichi altresì l'art. 2, comma 3, d.lgs. 74 del 2000).

 

Il provvedimento impugnato concerne un'ipotesi di falsa "esterovestizione" di attività imprenditoriale personale, fondata sul domicilio di fatto dell'odierno ricorrente presso gli stabilimenti della RHIBO s.p.a. in Ceva, e sull'attività di management da questi svolta in via continuativa per conto della predetta società.

2. Avverso tale provvedimento il difensore dell'indagato, Avv. T. S., ha proposto ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc. pen., deducendone il vizio di violazione di legge per mancanza di motivazione.

Il ricorrente ha articolato tre motivi di censura, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: 1) motivazione illogica per "illegittima manomissione" del decreto di sequestro mediante apposizione, in sede di esecuzione, di tre diversi "..." da parte del pubblico ministero, nonché per l'omesso deposito della richiesta della misura reale, che non consente di valutare la necessaria correlazione tra il petitum della richiesta e il decreto di sequestro; 2) motivazione apparente ed erronea in ordine al fumus commissi delieti, avendo il Tribunale ignorato le corpose allegazioni difensive prodotte in merito alla residenza del ricorrente nella Repubblica Ceca ed in ordine alla applicabilità della Convenzione tra Repubblica Italiana e Repubblica Ceca, stipulata il 5 maggio 1981, per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito; in particolare, ai sensi dell'art. 4, comma 2, della citata Convenzione, ai fini dell'individuazione della residenza fiscale di una persona fisica residente in entrambi gli Stati contraenti, essa "è considerata residente nello Stato contraente nel quale ha una abitazione permanente; se dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette"; al riguardo, il ricorrente risiede da oltre 13 anni nella Repubblica Ceca, ove vive con la compagna e la figlia minore, prestando attività di mera consulenza professionale esterna con la società italiana RHIBO s.p.a. di Ceva, ove usufruisce di un alloggio all'interno dello stabilimento industriale come mero "punto di appoggio"; la mancanza di motivazione viene censurata anche con riferimento al motivo di ricorso riguardante il dolo di evasione, e gli ampi margini di errore sulla norma tributaria, ex art. 15 d.lgs. 74 del 2000; 3) motivazione apparente e manifestamente illogica in ordine al superamento delle soglie di punibilità; con riferimento al periodo di imposta 2010, infatti, non sarebbe stata superata la soglia di € 77.468,53 (all'epoca rilevante), essendo stata contestata un'evasione pari ad € 47.814,00; con riferimento agli altri periodi di imposta, il superamento della soglia è stata determinata sulla base delle sole somme fatturate, senza alcuna considerazione delle detrazioni e dei costi sostenuti.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato.

2. È pacifico che in materia cautelare reale il ricorso per cassazione contro ordinanze di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele).

Peraltro, l'intera materia cautelare è governata dal principio generale della domanda cautelare, alla stregua del quale l'adozione di misure cautelari (personali e reali) da parte del giudice non può prescindere dalla richiesta del pubblico ministero, che attiva una sorta di procedimento devolutivo della cognizione - essendo il pubblico ministero a scegliere "gli elementi su cui la richiesta si fonda" (art. 291 cod. proc. pen.) - e della decisione dell'organo giudicante adito (Sez. U, n. 8388 del 22/01/2009, Novi, ha espressamente affermato: "alla domanda della parte pubblica corrisponde la genesi di un fenomeno devolutivo, che assegna al giudice un potere decisorio che, pur integro in tutti i suoi connotati e secondo gli ordinari parametri delibativi, resta circoscritto all'interno dei confini tracciati dal devolutum. Nel senso che va coerentemente esclusa la possibilità non solo che il giudice applichi ex officio una misura cautelare in mancanza di domanda del pubblico ministero (extra petita), ma anche che egli adotti una misura, non già meno severa, bensì, in peius, più grave di quella richiesta (ultra petita)").

Anche in materia cautelare reale, del resto, il principio è fondato sulla lettera dell'art. 321 cod. proc. pen., che, al comma 1, prevede che il giudice competente dispone il sequestro (preventivo) "a richiesta del pubblico ministero" (Sez. 6, n. 2658 del 20/12/2013, dep. 2014, Saà, Rv. 257791: "L’applicazione del sequestro preventivo postula come indefettibile presupposto la domanda del pubblico ministero").

La mancanza della richiesta cautelare, pertanto, integra una nullità di ordine generale riguardante l'osservanza delle disposizioni concernenti l'iniziativa del

pubblico ministero (art. 178, lett. b), cod. proc. pen.) (Sez. U, n. 8388 del 22/01/2009, Novi: "E, ove si verifichi l'inosservanza della preclusione nascente dal principio della domanda cautelare, si configura, sul piano interpretativo, la nullità - di ordine generale ed assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento - dell'ordinanza del giudice, riferita, ai sensi degli artt. 178 lett. b) e 179 comma 1 c.p.p., all'iniziativa indefettibile e riservata in via esclusiva al pubblico ministero nell'esercizio dell'azione cautelare").

3. Nel caso in esame va dunque ritenuto fondato il motivo di ricorso concernente l'omesso deposito della richiesta cautelare, atteso che, anche nel fascicolo processuale, non si rinviene documentazione dell'iniziativa del pubblico ministero.

Né appare conferente l'argomentazione svolta nel provvedimento impugnato, secondo la quale l'eccezione difensiva è infondata, in quanto sarebbe stato già notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari: invero, a prescindere dal rilievo che l'avviso ex art. 415 bis c.p.p. determina, tra l'altro, la discovery del materiale d'indagine, nondimeno il deposito della richiesta cautelare - che è un atto di iniziativa procedimentale, non già un atto di indagine - è indispensabile proprio per consentire una valutazione dei limiti cognitivi e decisori dell'organo giudicante adito, anche con riferimento all'individuazione dei beni sottoposti a vincolo reale (Sez. 3, n. 33200 del 04/07/2013, Curinga, Rv. 256851: "La richiesta del P.M. è presupposto dell'ordinanza del Gip di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche in relazione all'individuazione, ove contenuta nella richiesta, dei beni da sottoporre a sequestro").

Nel caso in esame, non soltanto non risulta depositata la richiesta cautelare, venendo così meno la prova del rispetto del principio della domanda cautelare, ma il decreto di sequestro risulta comunicato all'indagato mediante apposizione di tre "...", siglati dal pubblico ministero procedente in sede di esecuzione.

Invero, il potere di oscuramento parziale del contenuto di atti investigativi, a salvaguardia del segreto investigativo, viene senz'altro riconosciuto con riferimento agli atti promananti dal pubblico ministero, che può ad esempio apporre gli "..." a parti di verbali di dichiarazioni di collaboratori di giustizia o di altri atti di indagine, per salvaguardare la segretezza di ulteriori sviluppi investigativi in corso (in tal senso, ex piurimis, Sez. 6, n. 50949 del 19/09/2014, Pasculli, Rv. 261371: "In tema di richiesta di applicazione di misure cautelari personali, il P.M. non ha l'obbligo di mettere a disposizione del giudice gli atti di indagine nella loro integralità, ma può anche trasmettere semplici stralci di verbali o oscurarne parte del contenuto con "...", al fine di garantire il segreto investigativo senza impedire lo sviluppo del contraddittorio"; Sez. 2, n. 26266 del 07/06/2007, Viapiana, Rv. 237266: "In materia di misure cautelari, la trasmissione al tribunale del riesame di atti di indagine e in particolare di verbali di dichiarazioni, posti a fondamento della richiesta cautelare, nei quali non compaiano, perché sostituiti con "...", i nomi delle persone che hanno reso le dichiarazioni non viola i diritti difensivi, non impedendo il contraddittorio relativo all'entità e alla rilevanza degli elementi e degli indizi posti alla base del provvedimento impugnato").

Ma un tale potere, connesso a quello di selezionare "gli elementi su cui la richiesta si fonda" (art. 291, comma 1, cod. proc. pen.), non può essere esercitato, da parte del pubblico ministero, su un atto - come il sequestro preventivo - adottato da un altro organo giudiziario, per di più in sede di esecuzione.

Qualora vi fossero stati elementi investigativi sensibili per la salvaguardia del segreto investigativo, il pubblico ministero ben avrebbe potuto trasmettere, con la richiesta cautelare, soltanto gli elementi suscettibili, senza pregiudizio per lo sviluppo delle indagini, di discovery; ma, una volta adottato da parte del giudice il provvedimento richiesto, anche sulla base di elementi probatori ritenuti in grado di pregiudicare il segreto investigativo, non può il pubblico ministero oscurarli, mediante apposizione di "...", impedendo un reale contraddittorio sulla prova in sede di eventuale riesame; oltretutto su un provvedimento non adottato dal proprio ufficio, bensì dall'organo giudicante investito della richiesta.

Peraltro, nel caso di specie due degli "..." apposti riguardano proprio i beni oggetto di richiesta cautelare (p. 1 del decreto di sequestro del G.i.p. presso il Tribunale di Cuneo) e del conseguente decreto (p. 6); in tal senso impedendo anche quella verifica di conformità al devolutum già obliterata dall'omesso deposito della richiesta cautelare.

Anche il terzo "...", del resto, concerne il corpo della motivazione, e riguarda una parte non irrilevante della pagina 5 del decreto di sequestro.

4. Va, peraltro, accolta anche la censura riguardante la motivazione apparente in ordine al fumus commissi delieti.

Al riguardo, è stato affermato che in tema di impugnazione di misure cautelari reali, l’omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l'emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325, comma primo cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011; altresì, Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314, secondo cui "La motivazione dell'ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente - quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge - quando le argomentazioni in ordine al "fumus" del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto).

4.1. Nel caso di specie il provvedimento impugnato ha confermato il decreto di sequestro, respingendo l'istanza di riesame proposta, sul rilievo che B. S. A. dovesse ritenersi, sulla base di una serie di indici fattuali, fiscalmente residente in Italia, anziché nella Repubblica Ceca.

Tuttavia, la Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica (all'epoca) Cecoslovacca per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e prevenire le evasioni fiscali, firmata a Praga il 5 maggio 1981, e ratificata con legge del 2 maggio 1983, n. 303, definisce, all'art. 4, le persone residenti ai fini fiscali: "1. Ai fini della presente Convenzione, l'espressione "residente di uno Stato contraente" designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono imponibili in questo Stato soltanto per il reddito che esse ricavano da fonti situate in detto Stato. 2. Quando, In base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione è determinata nel seguente modo: a. detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale ha una abitazione permanente; se dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali); b. se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha una abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente; c. se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di assi, essa è considerata residente dello Stato contraente del quale ha la nazionalità; (...)".

Ebbene, il provvedimento impugnato non risulta avere motivato con riferimento al profilo, dedotto in sede di riesame, dell'individuazione della residenza fiscale sulla base dell'art. 4 della Convenzione; invero, l'odierno ricorrente, pur risiedendo in entrambi gli Stati (in Italia per ragioni lavorative ed in Repubblica Ceca per ragioni essenzialmente familiari), risulta abitare nella Repubblica Ceca da circa tredici anni, unitamente al proprio nucleo familiare (moglie e figlia minore), ove, peraltro, intrattiene i propri rapporti bancari (come si evince dalla circostanza che gli emolumenti venivano versati sul conto corrente tenuto presso un Istituto di Credito in Repubblica Ceca).

Il provvedimento impugnato, al contrario, non risulta avere motivato su tali elementi, che pure appaiono indici di una residenza fiscale, ai sensi dell'art. 4 della Convenzione citata, individuabile, sulla base del "centro degli interessi vitali", nella Repubblica Ceca, ove l'odierno ricorrente ha radicato le proprie relazioni personali e familiari più strette.

Al riguardo, va osservato che il richiamo, pure contenuto nel decreto di sequestro genetico, alla giurisprudenza di legittimità in materia di individuazione della residenza fiscale non appare conferente, atteso che esso riguarda i redditi delle società, per le quali rileva la diversa nozione di "stabile organizzazione", non già di "centro degli interessi vitali", che, per le persone fisiche, viene individuato con riferimento (anche) alle relazioni personali intrattenute.

Del resto, che non sia pertinente l'individuazione della "stabile organizzazione" lo si evince altresì dal rilievo che l'art. 7 della medesima Convenzione citata adopera tale criterio per regolare la diversa ipotesi dell'individuazione della residenza fiscale con riferimento agli "utili delle imprese".

Al contrario, il provvedimento impugnato non si è pronunciato sui criteri di residenza stabiliti dall'art. 4 della Convenzione, laddove l'ordinanza genetica di sequestro si è limitata ad un richiamo all'art. 14 della medesima Convenzione, la cui rubrica è "professionisti indipendenti", e che consente la doppia imposizione solo nel caso in cui la persona fisica "disponga abitualmente nell'altro Stato contraente di una base fissa per l'esercizio delle sue attività", ma senza approfondire i rapporti tra le due norme e l'astratta applicabilità al caso di specie.

Invero, il comma 2 dell'art. 14 citato limita l'ambito di operatività della norma ai casi di "attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili", e l'attività svolta dal B. - management e area commerciale - non sembra rientrare nell'ambito di quelle suscettibili di doppia imposizione ai sensi dell'art. 14.

4.2. L'ordinanza impugnata, peraltro, risulta avere altresì omesso ogni valutazione in ordine al quantum dell'evasione di imposta contestata, e, di conseguenza, del vincolo disposto per equivalente sui beni dell'indagato.

Invero, risulta che con riferimento al periodo di imposta 2010 non sia stata superata la soglia di € 77.468,53 (all'epoca rilevante), essendo stata contestata un'evasione pari ad € 47.814,00.

La conseguenza di tale omessa valutazione si riflette sul quantum del sequestro per equivalente disposto sui beni dell'indagato, individuato nell'ordinanza genetica in € 200.558,00, e che deve invece essere decurtato della somma di € 47.814,00.

5. L'ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio al Tribunale di Cuneo.

 

P.Q.M.

 

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Cuneo.