Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 febbraio 2016, n. 5703

Tributi - Reati tributari - Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti - Pericolo di reiterazione di reati - Ordinanza di divieto di dimora nella Regione sede dell’attività - Sussiste

 

Ritenuto in fatto

 

1 Con ordinanza del 14 luglio 2015 il Tribunale di Campobasso, in parziale accoglimento della richiesta di riesame avanzata dall'indagato avverso l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Isernia del 12 giugno 2015, ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliati applicata all'indagato con tale ordinanza, in quanto sottoposto ad indagini preliminari per aver violato l'art. 2 del D.Lgs. 74/2000, con quella del divieto di dimora nella Regione Molise.

2. Ha ritenuto il Tribunale, investito dalla richiesta di riesame dell'indagato, all'esito della ricostruzione in fatto delle indagini svolte nei confronti dell'indagato, sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, evidenziando come la E.E. S.p.a., di cui l'indagato G.S. era procuratore con poteri di amministrazione, avesse indicato nelle dichiarazioni annuali ai fini I.V.A. elementi passivi fittizi, avvalendosi di centinaia di fatture contraffatte concernenti gli anni di imposta 2011, 2012 e 2013, beneficiando in tal modo di indebite di detrazioni di imposta per oltre un milione di euro nell'arco di tre anni.

Evidenziando il numero delle fatture relative ad operazioni inesistenti utilizzate dalla società amministrata dall'indagato, l'arco temporale di commissione di tali condotte e l'importo dei crediti di imposta fittizi ed indebitamente detratti, il Tribunale ha ritenuto che quella contestata all'indagato fosse una modalità ordinaria di gestione della società, con la conseguente sussistenza delle esigenze cautelari.

Inoltre il Tribunale ha sottolineato la presenza di elementi indiziari comprovanti la prosecuzione di tali condotte anche nel corso del 2014 e fino al 4 febbraio 2015, tra cui il rinvenimento negli uffici amministrativi della E. S.r.l. di 26 fatture emesse nei confronti della E. S.p.a. tra il settembre ed il dicembre 2014, e di 36 fatture emesse dalla ditta Z.H., per un periodo compreso tra il 4 ottobre 2014 ed il 3 gennaio 2015, con timbro di avvenuto pagamento, di cui era stata accertata la natura fittizia.

Il Tribunale ha quindi evidenziato come, nonostante l'inizio degli accertamenti da parte della Guardia di Finanza, fosse ipotizzabile la prosecuzione delle attività illecite, accertate dai dati contabili, mediante utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti.

3. Sulla base di tali elementi il Tribunale del riesame ha ravvisato il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, in ragione della veste di amministratore di fatto della E.E. S.p.a. in capo all'indagato, escludendo che la revoca della qualità di procuratore della E.S.r.l., la revoca di un contributo regionale e la rinunzia ad ottenerne uno ulteriore, potessero consentire di ritenere venuto meno il pericolo di reiterazione di reati dello stesso genere, ritenendo che tale pericolo possa essere fronteggiato mediante la misura del divieto di reingresso nella Regione Molise, considerato sufficiente ostacolo alla prosecuzione delle attività illecite, fondate anche su rapporti personali e interventi diretti dell'indagato.

Ha ritenuto, infatti, insufficiente la misura del divieto di dimora in Sesto Campano, sede di tutte le società facenti capo alla famiglia dello S., in considerazione della presenza su tutto il territorio regionale di vari punti operativi di riferimento che consentirebbero all'indagato di proseguire la gestione diretta della società.

Ha escluso, inoltre, il Tribunale l'applicabilità della misura di cui all'art. 290 cod. proc. pen., in ragione della veste di amministratore di fatto ravvisata in capo all'indagato, ed anche la possibilità di formulare una prognosi favorevole, tale da consentire di ipotizzare la concessione della sospensione condizionale della pena.

4. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per l'annullamento della stessa l'indagato, a mezzo del suo difensore, affidandolo ad un unico articolato motivo, prospettando violazione di legge penale (art. 606, lett. b, cod. proc. pen.), per violazione dell'art. 2 del D.lgs. 74/2000, con la conseguente nullità della ordinanza impugnata, e manifesta illogicità e carenza della motivazione (art. 606, lett. e, cod. proc. pen.).

Ha affermato, in particolare, che le condotte contestate all'indagato, come peraltro già sostenuto nel ricorso proposto al Tribunale di Campobasso, dovevano essere qualificate come violazioni rientranti nella previsione dell'art. 10 quater del D.lgs. 74/2000, non essendo state utilizzate fatture relative ad operazioni inesistenti, bensì documenti materialmente falsi, realizzati dallo stesso utilizzatore, allo scopo di conseguire un indebito credito di imposta I.V.A., da utilizzare in compensazione rispetto alla stessa e ad altre imposte.

Nonostante ciò il Tribunale, pur avendo riconosciuto che le fatture erano state confezionate a scopo fraudolento negli uffici della stessa società amministrata dal ricorrente, ha ritenuto trattarsi di fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti, errando circa la qualificazione giuridica del fatto, richiedendo l'art. 2 del D.lgs. 74/2000 una dichiarazione fraudolenta compiuta utilizzando fatture emesse ma relative a operazioni inesistenti, dovendo intendersi per fatture emesse quelle provenienti da un soggetto terzo rispetto al loro utilizzatore, non potendo considerarsi tali quelle artificiosamente emesse dallo stesso utilizzatore.

Ciò avrebbe determinato un errore nella qualificazione giuridica del fatto contestato al ricorrente, da ricondurre alla ipotesi di cui all'art. 10 quater del medesimo D.lgs. 74/2000, con la conseguente annullabilità della ordinanza impugnata e revoca della misura applicata.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato e deve, quindi, essere respinto, risultando corretta la qualificazione del fatto contestato all'indagato e non condivisibile la diversa interpretazione dallo stesso proposta.

2. Questa Corte ha costantemente affermato, sulla scorta di un orientamento formatosi già prima dell'entrata in vigore del D.lgs. n. 74 del 2000 (Sez. 3, n. 1969 del 21/01/1997, Basile, Rv. 206945), che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia nell'ipotesi di inesistenza relativa (ovvero quando l'operazione vi sia stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine, nell'ipotesi di sovrafatturazione "qualitativa" (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.

Tale orientamento è stato ribadito anche con riferimento alla nuova figura, del D.lgs. n. 74 del 2000, art. 2, (Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, Figura, Rv. 238547), rilevando che ai sensi dell'art. 1, lett. a), nella nozione di fatture per operazioni inesistenti devono ricondursi le fatture emesse "a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte", ovvero indicanti "i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale", ovvero riferenti l'operazione "a soggetti diversi da quelli effettivi".

Inoltre la giurisprudenza di questa Corte si è inizialmente espressa nel senso che l'utilizzazione di un documento materialmente falso non può farsi rientrare nella fattispecie di cui all'art. 2 del D.lgs. n. 74 del 2000, perché "strutturalmente diversa" dall'ipotesi tipica prevista da tale fattispecie, diversamente integrandosi una ipotesi di interpretazione analogica non consentita in sede penale (Sez. 3, n. 30896 del 25/06/2001, Giandolfo, Rv. 219935; Sez. 3, n. 32493 del 20/02/2004, Barduca, Rv. 229282; Sez. 3, n. 12720 del 14/11/2007, Carbone, Rv. 239340).

Un diverso indirizzo ha però affermato che la previsione dell'art. 2 del D.lgs. n. 74 del 2000 deve ritenersi applicabile ad entrambe le tipologie di falso (ideologico e materiale, e dunque anche all'ipotesi di formazione della fattura materialmente falsa da parte dello stesso utilizzatore, risultando irrilevante l'autore della contraffazione), tenuto conto che la frode sanzionata da tale norma si distingue da quella di cui all'art. 3 non per la natura del falso ma per il rapporto di specialità reciproca esistente tra le due disposizioni legislative: ad un nucleo comune, costituito dalla dichiarazione infedele, si aggiungono, in chiave specializzante, nell'art. 2, l'utilizzazione di fatture e documenti equiparabili relativi ad operazioni inesistenti e, nell'art. 3, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l'utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e la previsione di una soglia minima di punibilità (Cass., sez. 3, n. 12284 del 07/02/2007, Argento, Rv. 236812; sez.3, n. 9673 del 09/02/2011, Chen, Rv. 249613).

Ritiene allora il Collegio di aderire a questo secondo orientamento (ormai consolidato, come evidenziato, nelle decisioni più recenti), tenendo anzitutto conto del fatto che, già nel contesto della precedente L. n. 516 del 1982, l'art. 4, sanzionava, alla lett. a), il falso materiale e, alla lett. d), il falso ideologico, assoggettando entrambe le condotte illecite all'identico regime sanzionatorio.

La condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti presenta infatti una "struttura bifasica", in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, da vita ad un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, può avere ad oggetto sia documenti contenutisticamente falsi emessi da altri in favore dell'utilizzatore sia documenti materialmente falsi, cioè contraffatti o alterati (anche dallo stesso utilizzatore del documento).

In relazione al mezzo fraudolento di cui l'agente si avvale per l'indicazione di elementi passivi fittizi, la lettera dell'art. 2 del D.lgs. n. 74 del 2000, si riferisce a "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" e l'art. 1, lett. a), dello stesso decreto legislativo, specifica che tale locuzione inerisce a quelle fatture o documenti che sono emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. Gli altri documenti che vengono in rilievo sono, dunque, quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (documenti tipici fiscali previsti espressamente dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 21). Tali sono, ad esempio, oltre alle ricevute fiscali e simili, quei documenti da cui risultino spese deducibili dall'imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, le schede carburanti etc. (documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici). Qualora le spese documentate siano deducibili dall'imposta, la indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato, per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi. La falsità può cadere sul contenuto della fattura o del documento contabile rilevante, attestandosi che è stata eseguita una operazione in realtà non eseguita oppure che l'importo dell’operazione è superiore a quello reale, ma può cadere anche sulla indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l'operazione. A tale riguardo "soggetti diversi da quelli effettivi" sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all'operazione e sono invece indicati nel documento. Non vi è alcun fondamento razionale, tuttavia, nell'affermare che l'ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia), o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 27392 del 27/04/2012, P.M. in proc. Bosco e altro, Rv. 253055).

Nè elementi in senso contrario possono trarsi dalla prospettata correlazione con la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 10 quater del D.lgs. n. 74 del 2000, che attiene alla indebita compensazione tra imposte dovute e crediti non spettanti o inesistenti, perché il delitto di cui all'art. 2 di detto D.lgs. (nella cui struttura la condotta si incentra sul momento dichiarativo) contiene nella sua struttura un elemento ulteriore e specificativo, e cioè l'utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e l'indicazione in una delle dichiarazioni annuali di elementi passivi fittizi, e dunque si pone in rapporto di specialità rispetto all'invocata previsione dell'art. 10 quater citato, con la conseguenza che ricorrendone i presupposti in fatto risulta corretta la qualificazione giuridica compiuta dal giudice di merito, rivestendo carattere residuale la previsione dell'art. 10 quater invocata dal ricorrente.

In conclusione il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.