Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 febbraio 2016, n. 2745

Pubblico impiego - Inquadramento - Qualifica - Mobilità volontaria - Modificazione soggettiva del rapporto di lavoro - Consenso delle parti

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza depositata il 13 agosto 2011 la Corte di appello di Taranto respingeva l'appello proposto dall'INPDAP avverso la sentenza di primo grado con cui il locale Tribunale, in accoglimento parziale della domanda proposta da A.R., aveva riconosciuto: a) il diritto del ricorrente all'inquadramento, a far data dal 1.5.2000, nell’area professionale B, posizione B1, con condanna dell'Istituto al pagamento delle relative differenze retributive fra il predetto inquadramento e la posizione economica A2; b) il diritto del ricorrente alle differenze retributive ex art. 52 d.lgs. 165/01, a decorrere dal 5.6.2000, tra il predetto inquadramento e la posizione economica B2.

Osservava la Corte di appello che l'A. era transitato il 1.5.2000, a seguito di domanda, con "passaggio diretto" a norma dell'art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001, dal Ministero per i Beni e Attività Culturali - Soprintendenza Archeologica della Puglia - doveva era inquadrato in posizione B1 CCNL Ministeri, all'INPDAP, doveva veniva inquadrato in posizione A2 CCNL Enti pubblici non economici. Il dipendente aveva contestato tale inquadramento, operato dalla Amministrazione di destinazione, in quanto non rispondente al livello di professionalità proprio della qualifica di appartenenza.

La Corte di appello osservava che il passaggio diretto fra amministrazioni diverse può avvenire solo nell'ambito della stessa qualifica di appartenenza, restando immutato il trattamento economico. Condivideva quindi la soluzione del primo giudice, che aveva concluso per la corrispondenza di qualifica tra la p.e. B1 del comparto Ministeri e quella B1 del comparto Enti pubblici non economici. Rigettava il motivo di gravame dell'Istituto riguardante il riconoscimento delle differenze retributive ex art. 52 d.lgs. n. 165/01 tra la p.e. B1 e quella B2 a far tempo dal 5.6.2000, rilevando che l'istruttoria svolta in primo grado aveva confermato la prospettazione di cui al ricorso introduttivo in merito ai compiti ai quali attendeva l'appellato. Rigettava il motivo di appello con cui era stata censurata la statuizione di primo grado riguardante il riconoscimento degli accessori sulle differenze retributive, osservando che il primo giudice aveva rispettato "la previsione della vigente normativa (che estende il divieto di cumulo agli emolumenti di natura retributiva peri quali non sia maturato il diritto entro il 21.12.94)".

Tale sentenza è impugnata dall'INPDAP, che ne chiede la cassazione formulando quattro motivi di ricorso. Resiste con controricorso l'Albano.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione (art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione all'art. 112 c.p.c.); violazione dell'art. 111 Cost. in una lettura integrata con l'art. 6 CEDU, per avere i giudici merito riconosciuto un inquadramento (p.e. B1) che, seppure inferiore alle rivendicazioni del ricorrente (riconoscimento della p.e. B2 CCNL Enti pubblici non economici), non era stato mai richiesto, sì che la sentenza aveva violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Con il secondo motivo l'INPDAP denuncia violazione di norme di diritto e di contratti collettivi nazionali di lavoro, con riferimento agli artt. 1362 e segg. c.c., all'art. 13 CCNL Enti pubblici non economici 1998/2001, alle declaratorie di cui alle Tabelle allegato A CCNL comparto Ministeri e allegato A CCNL comparto Enti pubblici non economici, nonché agli artt. 30, 52, 1, 6 e 8 d.lgs. n. 165/2001, art. 112 c.p.c.(art. 360 n. 3 c.p.c.), in relazione agli artt. 111 Cost. in una lettura integrata con l'art. 6 Cedu. Premesso che l'A. era stato originariamente inquadrato nel IV livello, poi divenuto pos. B1, deduce l'Istituto ricorrente che nel comparto Ministeri l'Area B comprende i livelli dal IV al VI, mentre nel comparto Enti pubblici non economici l'Area A accorpa le qualifiche funzionali fino alla IV e che, pertanto, il lavoratore, già inquadrato nella IV qualifica funzionale, rientrava nell'Area B del CCNL Ministeri, ma non nell'area B del CCNL Enti pubblici non economici. Contesta inoltre, quanto al trattamento economico riconosciuto ex art. 52 D.Lgs n. 165/01 per il periodo successivo al 5.6.2000, che le mansioni svolte dall'A. potessero ricondursi nella superiore posizione B2.

Con il terzo motivo l'Istituto censura la sentenza per violazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro e violazione di legge con riferimento all'art. 22, comma 36, L. n. 724/94 e 16, comma 6, L. n. 412/91, in relazione agli artt. 111 Cost. in una lettura integrata con l'art. 6 Cedu. Si sostiene che non sarebbero state rispettate le norme sul divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria sulle differenze retributive riconosciute.

Con il quarto motivo ci si duole del vizio di motivazione in ordine agli accertamenti di fatto sottesi a ciascuno dei passaggi interpretativi afferenti all'interpretazione di legge.

Il ricorso è infondato.

Quanto alla domanda tendente a contestare l'inquadramento operato dall'INPDAP a seguito di "passaggio diretto", nel contesto di mobilità extracompartimentale, va premesso che la fattispecie in esame è regolata ratione temporis dall'art. 33, nel testo risultante dalle modifiche apportare dalla Legge n. 488 del 1999, art. 20, comma 2, recepito dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 3.

L'art. 30 del d. Lgs. n. 165 del 2001, che disciplina il "passaggio diretto di 80/98 sostituì l'art. 33 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse), come segue: "1. Nell'ambito del medesimo comparto le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servigio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell’amministrazione di appartenenza. 2. Il trasferimento di personale fra comparti diversi avviene a seguito di apposito accordo stipulato fra le amministrazioni, con il quale sono indicate le modalità ed i criteri per il trasferimento dei lavoratori in possesso di specifiche professionalità, tenuto conto di quanto stabilito ai sensi del comma 3.

3.1 contratti collettivi nazionali possono definire le procedure e i criteri generali per l'attuazione di quanto previsto dai commi 1 e 2.. "

La legge 23 dicembre 1999, n. 488, art. 20, comma 2, apportò ulteriori modifiche: al comma 1 dell'articolo 33 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, sopprimendo le parole: "Nell'ambito del medesimo comparto" e abrogando, nel medesimo articolo 33, il comma 2.

Il testo dell'art. 33, come modificato dalla legge n. 488/99, ha dunque unificato le discipline, priva divergenti, tra passaggi endo ed extra compartimentali. Mentre nella disciplina di cui alla legge n. 80/98 la legge richiedeva, in caso di passaggi extracompartimentali, un apposito accordo stipulato fra le amministrazioni, con il quale dovevano essere indicate le modalità ed i criteri per il trasferimento dei lavoratori in possesso di specifiche professionalità, al fine di un'utile collocazione nella struttura di destinazione operante in un diverso settore di attività, per i passaggi endocompartimentali la legge si limitava a richiedere l'identità di qualifica, da intendere con riferimento alla posizione rivestita dal dipendente al momento del passaggio.

A seguito dell'unificazione delle due tipologie di passaggio, in mancanza di specificazione di criteri ad opera della contrattazione collettiva, la diversità delle declaratorie contrattuali dei singoli comparti involge problemi applicativi ai fini dell'inquadramento.

Seppure non applicabili alla fattispecie in esame, giova accennare alle modifiche successivamente apportate all'istituto in esame.

Con l'art. 5, comma 1-quater, del d.l. n. 7 del 2005, convertito in L. n. 43 del 2005, "al fine di agevolare la mobilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per consentire un più efficace e ragionale utilizzo delle risorse umane esistenti, all'art. 30 del D. Lgs. n. 165 del 2001, dopo il comma 2, sono stati aggiunti i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater. In particolare, il comma 2-bis ha previsto che "il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza".

Assume valore interpretativo la specificazione secondo cui l'inquadramento deve avvenire "nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza".

Con l'art. 16 della L. n. 246 del 2005, i primi due commi dell'art. 30 sono stati modificati. Al comma 1, la locuzione "passaggio diretto" è stata sostituita da quella "cessione del contratto di lavoro".

Ancora successivamente l'art. 48 del d. lgs. n. 150 del 2009 ha introdotto l'art. 29-bis (Mobilità intercompartimentale), rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere della Conferenza Stato - Regioni, sentite le organizzazioni sindacali, la definizione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di una "tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione". Dunque, il legislatore, proprio al fine di colmare lacune dovute al mancato esercizio del potere di definizione dei parametri di equiparazione ad opera della contrattazione collettiva, ha inteso demandare alla decretazione ministeriale il compito di definire le "tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione".

Riguardo al passaggio diretto tra i comparti interessati dalla odierna vicenda non risulta che la parti collettive abbiano disposto alcunché ai fini dell'attuazione del primo comma del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 33, come sostituito prima dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 18, e poi dalla Legge n. 488 del 1999, art. 20, comma 2, infine recepito dal d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 art. 30.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 26420 del 12 dicembre 2006 (conf. Cass. n. 24724 del 2014), hanno chiarito che la mobilità volontaria nell'ambito del pubblico impiego, prevista dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 33, come sostituito prima dal D.Lgs. n. 470 del 1993, art. 13, poi dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 18 dalla L. n. 488 del 1999, art. 20, comma 2, recepito dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 30, e poi modificato dalla L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 16, integra una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del contratto, ammissibile anche per il contratto di lavoro (Cass. 6 novembre 1999 n. 12384), istituto che comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali (Cass. 5 novembre 2003 n. 16635, Cass. 6 dicembre 1995 n. 12576). Tale qualificazione - hanno osservato le S.U. - riceve conforto dalla L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 16, il quale, nel modificare il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 30, pur mantenendo la rubrica di "passaggio diretto", nel testo della norma parla testualmente di "cessione del contratto", così offrendo un elemento per la interpretazione dell'espressione atecnica "passaggio diretto" anche per il passato.

Il giudice di merito ha condotto il raffronto tra la declaratoria della p.e. posseduta dal lavoratore presso l'Amministrazione di provenienza e le declaratorie di Area e di posizione organizzativa del comparto di destinazione. La verifica della correttezza di tale interpretazione rientra nell'ambito della denuncia di error in iudicando ex art. 360 n. 3 c.p.c.. Difatti, poiché si controverte dell'interpretazione di un contratto collettivo in una controversia di lavoro concernente dipendenti di una pubblica amministrazione occorre evidenziare che, ai sensi dell'art. 63, co. 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la Corte di cassazione può procedere alla diretta interpretazione di tali contratti, ove venga investita - come nella specie - della censura di violazione o falsa applicazione di essi, procedendo secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e s.s. c.c. ed eventualmente esaminando, ai sensi dell'art. 1363 c.c., anche clausole che non hanno formato oggetto di censure da parte del ricorrente (ex plurimis, Cass. n. 22234 del 2007; Cass. n. 21796 del 2009).

La ricostruzione operata dai giudici di merito risulta corretta in punto di diritto e porta a confermare la corrispondenza tra p.e. B1 del comparto Ministeri e p.e. B1 del comparto Enti pubblici non economici.

Nell'area funzionale B del c.c.n.l. Ministeri sono inquadrati i lavoratori che "nel quadro di indirizzi definiti, in possesso di conoscenze teoriche e pratiche, e per la competenza relativa a specifici processi operativi, svolgono funzioni specialistiche nei vari campi di applicazione"; in particolare la posizione B1 posseduta dall'A. prima del trasferimento implica il possesso di "conoscenze tecniche di base utili allo svolgimento dei compiti assegnati;

capacità manuali e/o tecniche riferite alla propria qualificazione e/o specializzazione". Il tratto caratterizzante è dunque lo svolgimento di "funzioni specialistiche", per i quali occorre il possesso di conoscenze e competenza relativi a "specifici processi operativi".

Nell'ambito del CCNL Enti pubblici non economici la declaratoria di Area A, contempla professionalità "riferite ad attività di supporto" che presuppongono "conoscenze specifiche e/o qualificazioni professionali". In particolare, la posizione A2, attribuita all'odierno resistente dall'INPDAP, presuppone la capacità di assicurare il "necessario supporto al processo produttivo...". Trattasi, quindi, di attività collaterali ad un processo o fase del procedimento, mentre nella p.e. B1 sono inquadrati i lavoratori in possesso di "conoscenze di base sul contesto di riferimento interno ed esterno, delle normative che regolano l'attività istituzionale dell'ente e la sua organizzazione, nonché dei vincoli da rispettare; conoscenze professionali di base riferite all'informatica applicata e al processo o ai processi di pertinenza".

Quanto alla censura vertente sul diverso capo di domanda relativo al riconoscimento (art. 52 d.lgs. n. 165/01) delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori nel periodo corrente dal 5 giugno 2000 - censura peraltro prospettata in modo promiscuo con quella vertente sull'inquadramento ex art. 30 d.lgs. n. 165/01 - deve rilevarsi l'inammissibilità del motivo per difetto di pertinenza rispetto al decisum (art. 366 n. 4 c.p.c.), avendo la Corte di appello rigettato il motivo di appello sulla base del riesame del materiale istruttorio, mentre la doglianza svolta nel ricorso per cassazione ignora tale accertamento di merito.

Il terzo motivo sul cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria è inammissibile. Secondo il tenore della sentenza impugnata, il giudice di primo grado aveva richiamato (e fatto applicazione) della disciplina vigente, ossia della normativa che riconosce la possibilità del cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria solo nei limiti di cui all'art. 22, comma 36, Legge n. 724/94. La Corte di appello, nel confermare tale statuizione, ha indirettamente riconosciuto l'applicabilità dei limiti di cui all'art. 22 citato. Il motivo, prospettando che non sarebbero state rispettate le norme sul divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria sulle differenze retributive riconosciute, è dunque anch'esso privo di pertinenza rispetto al decisum (art. 366 n. 4 c.p.c.).

Il quarto motivo è inammissibile, non vertendo su questioni di fatto, ma sull'iter motivazionale del giudice di merito relativo all'interpretazione della disciplina contrattuale di riferimento.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità, poste a carico dell'Istituto soccombente, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, con distrazione ex art. 93 c.p.c..

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna l'INPDAP al pagamento delle spese, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, avv. M.B..