Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 febbraio 2016, n. 5733

Tributi - Evasione - Indagini preliminari - Dichiarazione infedele - Disponibilità di denaro in un paradiso fiscale - Presunzione di reddito non dichiarato - Sequestro preventivo per equivalente - Legittimità

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 21/5/2015, il Tribunale di Macerata rigettava il ricorso proposto da (...) e, per l'effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo - finalizzato alla confisca per equivalente - emesso dal Giudice per le indagini preliminari in sede il 5/3/2015 avente ad oggetto conti correnti e la quota di una società; al (...) era contestato il delitto di cui all'art. 4, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, per aver omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno 2011 elementi attivi per l'ammontare di 755.097,00 euro (saldo di un conto corrente presso una banca svizzera), così evadendo il pagamento dell'imposta personale per 326.487,00 euro.

2. Propone ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo del proprio difensore, deducendo due motivi:

- violazione o erronea applicazione degli artt. 321 cod. proc. pen., 4, d. Igs. n. 74 del 2000, 12, d.l. n. 78 del 2009. Il Tribunale avrebbe fondato la misura esclusivamente su presunzioni tributarie che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non possono costituire di per sé fonte di prova di commissione del reato, potendo esser valutate solo unitamente ad elementi di riscontro, nel caso di specie del tutto assenti. Ancora, il Collegio non avrebbe affatto considerato i numerosi elementi dedotti dal ricorrente per contrastare dette presunzioni, limitandosi ad affermare - al riguardo - che la verifica di questi avrebbe richiesto un approfondimento istruttorio incompatibile con il carattere sommario dell'incidente cautelare; sì da dar luogo, quindi, ad una motivazione del tutto apparente. E per tacer, infine sul punto, che la Svizzera - uno dei Paesi interessati dalle movimentazioni di danaro contestate - non farebbe più parte da tempo della cd. black list OCSE, sì da doversi escludere in radice la relativa ipotesi di reato;

- violazione degli artt. 322-ter cod. pen., 1, comma 143, I. n. 144 del 2007. Il vincolo sarebbe stato confermato anche con riguardo ad una quota, in capo al (...), relativa ad una società in accomandita semplice; quel che non dovrebbe esser consentito (pur essendovi, invero, pronunce in senso contrario), atteso l’intuitus personae che caratterizza questi enti.

Con memoria depositata il 4/1/2016, il ricorrente ha ribadito i motivi già proposti, sottolineando ancora l'efficacia esclusivamente fiscale della presunzione in oggetto, insuscettibile di essere traslata nel processo penale, nonché l’intuitus personae che connota le società di persona come la "I. s.a.s.".

 

Considerato in diritto

 

3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett, e) dell'art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

Ciò premesso, il ricorso proposto dal (...) risulta infondato proprio perché volto a censurare l'illogicità della motivazione, sia pur contestata sotto l'apparente deduzione della violazione di legge; la quale, peraltro, non è dato riscontrare nel caso di specie, atteso che le considerazioni esposte dal Tribunale risultano congrue e fondate su oggettivi elementi investigativi, come tali quindi insuscettibili di esser giudicate apparenti o addirittura inesistenti.

In particolare, il Collegio ha rilevato innanzitutto che - giusta verifica fiscale operata dalla Guardia di Finanza sulle dichiarazioni dei redditi 2010, 2011 e 2012

- si era accertato che il (...) aveva effettuato movimentazioni in danaro tramite due intermediari residenti nel Regno Unito ed in Svizzera, senza indicare tali attività nelle dichiarazioni citate; orbene, con riguardo alle sole operazioni effettuate verso l'intermediario svizzero, i militari avevano ritenuto le relative somme (rinvenute su un conto corrente) come sottratte a tassazione in Italia, in tal modo applicando la presunzione dì cui all'art. 12, d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla I. 3 agosto 2009, n. 102 (a mente del quale "in deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 10 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tener conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale caso, le sanzioni previste dall'articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate").

Di seguito, l'ordinanza ha evidenziato che le giustificazioni addotte dal (...) per contestare l'addebito erano già state ritenute insufficienti a superare la citata presunzione, come da motivazioni di cui alle pagg. 24-30 della comunicazione notizia di reato; quel che, peraltro, il presente ricorso non contesta affatto.

Infine, quanto alla deduzioni difensive proposte in sede di riesame, il Collegio ha rilevato che le stesse avrebbero imposto un approfondimento istruttorio di natura tecnica incompatibile con il carattere sommario dell'accertamento cautelare, così aderendo alla giurisprudenza di questa Corte che si è costantemente espressa proprio in tali termini (tra le altre, Sez. 3, n. 19011 dell'11/2/2015, Citarella, Rv. 263554; Sez. 3, n. 21633 del 27/4/2011, Valentini, Rv. 250016).

Una motivazione, dunque, che - si ribadisce - risulta tutt'altro che apparente od inesistente e che, pertanto, non può essere contestata in questa sede cautelare con argomenti attinenti alla portata della presunzione tributaria od all’inserimento della Svizzera nella cd. black listi questioni che attengono alla motivazione del provvedimento, nonché al merito della vicenda, come tali escluse dalla portata dell'art. 325 cod. proc. pen..

4. Negli stessi termini, poi, si deve concludere con riguardo al sequestro delle quote della "(...) s.a.s.".

Premesso che, per indirizzo di questa Corte, è ammissibile il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente della quota del socio accomandatario di una società in accomandita semplice, non solo quando è fissata nello statuto dell'ente la clausola di libera cedibilità della quota, ma anche quando questa, pur dopo l'apposizione del vincolo, resta in uso al socio quale custode, poiché, in tale evenienza, la misura cautelare ha una funzione "prenotativa" ed il suo oggetto si identifica nel "quantum" che spetterà al socio all'esito della liquidazione della società, sicché, anche in questo caso, non si deroga al principio dell’ "intuitus personae" in contrasto con la volontà degli altri soci (Sez. 3, n. 36939 del 23/6/2015, Cauduro, Rv. 264375, alla cui ampia motivazione si rimanda); premesso altresì che, nel caso di specie, la radicale impostazione del ricorrente non può esser condivisa, atteso che lo stesso non rivendica affatto l'insussistenza dei presupposti testé citati. Tutto ciò premesso, osserva comunque il Collegio che questione è stata già disattesa dal Tribunale di Macerata, sotto altro profilo, con motivazione che nuovamente non può esser censurata nei termini della violazione di legge; in particolare, il Collegio ha rilevato che la doglianza era stata sollevata con riguardo alle sole modalità esecutive del sequestro, non già al provvedimento in sé (emesso dal G.i.p. senza specificazione dei beni da vincolare), e che le stesse possono esser contestate soltanto con l'incidente di esecuzione, non a mezzo delle ordinarie impugnazioni cautelari. Ciò in adesione al costante indirizzo di questa Corte sul punto, da ribadire anche nella presente occasione (tra le altre, Sez. 2, n. 44504 del 3/7/2015, Steccato Vattumè, Rv. 265103; Sez. 6, n. 16170 del 2/4/2014, Stollo, Rv. 259769).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.