Giurisprudenza - TRIBUNALE DI BRESCIA - Sentenza 04 febbraio 2016, n. 167

Stranieri - Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo a tempo indeterminato - Collaboratrice domestica - Assegno sociale - Richiesta

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 9 gennaio 2015 la ricorrente, premesso: di essere cittadina cinese titolare di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo a tempo indeterminato; di risiedere in Italia dal 1984; di avere lavorato prima come collaboratrice domestica e poi come titolare di una impresa commerciale; di non svolgere più alcuna attività di lavoro dall'aprile del 2013; di avere compiuto i 65 anni di età e di essere rimasta priva di reddito; di avere domandato all'Inps in data 7.11.2013 richiesta di assegno sociale per titolari di carta di soggiorno allegandovi una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà relativa alla assenza di proprietà immobiliari e di reddito o anche con riferimento al paese di origine; che l'Inps aveva respinto tale domanda con provvedimento impugnato dalla ricorrente con ricorso amministrativo, a sua volta respinto; tutto ciò premesso, la ricorrente affermava di essere in possesso di tutti i requisiti per l'attribuzione dell'assegno sociale e che la decisione dell'Inps di non accoglimento della propria domanda, fondata unicamente sulla mancata presentazione di una dichiarazione reddituale rilasciata dalle autorità del paese di origine, doveva ritenersi illegittima per disparità di trattamento con i cittadini italiani e dell'Unione europea che ai sensi del DPR 445/2000 possono comprovare la propria situazione reddituale nei rapporti con la P.A. con dichiarazioni sottoscritte dall'interessato in violazione del principio di parità di trattamento sancito dall'art. 2 comma 5 TU immigrazione e dell'art. 11 della direttiva 2003/109/CE.

La ricorrente domandava, previa declaratoria in ordine alla sussistenza del proprio diritto a percepire l'assegno sociale, la condanna dell'Inps alla erogazione della relativa provvidenza dalla data del 1.12.2013. Con memoria di costituzione si costituiva l'Inps che contestava il ricorso in fatto e in diritto evidenziando come in base alle disposizioni del T.U. "documentazione amministrativa" i cittadini di stati non appartenenti all'Unione Europea regolarmente soggiornanti in Italia possano utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli art.li 46 e 47 D.P.R. 445/2000 limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani. All'udienza del 4 febbraio 2016, discussa la causa, veniva data lettura del dispositivo e dei seguenti contestuali.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è fondato.

Oggetto del presente giudizio è l'accertamento del diritto della ricorrente all'ammissione del beneficio dell'assegno sociale, negato dall'Inps, nel caso di specie, sulla base della ritenuta inidoneità della dichiarazione reddituale allegata alla domanda in sede amministrativa.

L'assegno sociale, come noto, è stato introdotto dalla legge 335 del 1995 art. 3 comma 6.

Tale beneficio, inizialmente riservato ai soli cittadini italiani, residenti in Italia, è stato esteso dall'art. 39 della legge 40/98 agli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno.

Successivamente con il D.L. 112/2008 convertito in legge n. 133 del 2008 è stato previsto che a decorrere dal 1 gennaio del 2009 l'assegno sociale sia corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale (art. 20).

Ai sensi dell'art. 3 comma 6 della legge 335/95 l'assegno sociale è erogato dall'Inps "con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione reddituale rilasciata dal richiedente ed è conguagliato entro il mese di luglio dell'anno successivo sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti".

Nel caso concreto, peraltro, pur non essendo stata contestata da parte dell'Inps la presenza legale della ricorrente in Italia per almeno dieci anni in forza del permesso di soggiorno rilasciato alla ricorrente per soggiornanti di lungo periodo, l'Istituto ha negato l'ammissione al beneficio in quanto "Non è allegata la dichiarazione reddituale per l'anno 2013 rilasciata dalle autorità fiscali del paese d'origine con la traduzione vidimata dell' Ambasciata o dal Consolato Italiano nel Paese straniero", così ritenendo la inidoneità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà allegata alla domanda amministrativa da parte della ricorrente.

A sostegno della propria decisione l'Inps costituendosi in giudizio ha richiamato le disposizioni di cui al D.P.R. n. 445 del 2000 e, in particolare, l'art. 3 che prevede : a) la diretta applicazione del testo unico in materia di documentazione amministrativa sia ai cittadini italiani sia a quelli dell'Unione europea; b) che i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione regolarmente soggiornanti in Italia possono «utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani»; c) che i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione autorizzati a soggiornare nel territorio dello Stato possono «utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nei casi in cui la produzione delle stesse avvenga in applicazione di convenzioni internazionali fra l'Italia ed il paese di provenienza del dichiarante» (art. 3, terzo comma); d) che, al di fuori dei casi appena elencati, gli stati, le qualità personali e i fatti devono, invece, essere documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare italiana, che ne attesta la conformità all'originale, dopo aver ammonito l’interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri (art. 3, quarto comma).

Sul piano dell'ordinamento interno, peraltro, l'art. 2 comma 5 del D.lgs. 286 del 1998, contenente il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero stabilisce che "Allo straniero è riconosciuta la parità di trattamento con il cittadino ... nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell'accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge", demandando, dunque, alla fonte di rango legislativo la possibilità di introdurre limitazioni a tale principio.

A livello sovranazionale, invece, viene in rilievo l'art. 11 della Direttiva 2003/109/CE che ha affermato che "il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda ...le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale"; la Direttiva, riconosce agli stati membri la facoltà di limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali" avvertendo, al contempo, che "la possibilità di limitare le prestazioni per soggiornanti di lungo periodo a quelle essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo, l’assistenza in caso di malattia, di gravidanza, l'assistenza parentale e l'assistenza a lungo termine".

Tale Direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento interno con il D.lgs. 3/2007 che ha modificato il T.U. con il nuovo testo dell'art. 9 comma 12 di detto D.lgs. 286/1998 nel senso che "lo straniero extracomunitario titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo è stato ammesso a godere tra l'altro delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale ... salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale".

Con riguardo, peraltro, al diritto a percepire l'assegno sociale, si ritiene che lo stesso ben possa rientrare tra quelle prestazioni essenziali che secondo i principi dell'Unione non sono suscettibili di subire limitazioni da parte degli Stati membri sotto il profilo della parità di trattamento, proprio in quanto volto ad assicurare "almeno un sostegno di reddito minimo"; ad ogni modo, anche a volere ritenere diversamente, va osservato come alcuna deroga al principio della parità di trattamento, possibile ai sensi dell'art. 11 comma 4 della citata Direttiva con riguardo alle prestazioni di tipo non essenziale, sia stata disposta dal nostro legislatore interno con il D.lgs. n. 3 del 2007 di attuazione della Direttiva.

Ne consegue come la disposizione richiamata dall'Inps di cui al citato art. 3 del DPR 445/2000, in quanto di natura amministrativa e di rango inferiore rispetto all'art. 2 comma 5 sopra citato e alla normativa comunitaria, debba essere disapplicata nel caso concreto nella parte in cui subordina la possibilità per i soli cittadini di stati non appartenenti all'Unione europea di utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli art.li 46 e 47 limitatamente a stati e fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani a differenza dei cittadini italiani e dell'Unione Europea.

Ne consegue, altresì, come, dovendosi fare applicazione della fonte di rango primario del nostro ordinamento interno in materia di parità di trattamento nei rapporti con la pubblica amministrazione e della normativa comunitaria come sopra citate, il diniego dell'Inps alla concessione dell'assegno sociale in presenza dei requisiti di legge debba ritenersi illegittimo.

Simile conclusione, del resto, è avvalorata dal fatto che il "Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)" adottato con DPCM 159/2013, successivo alla direttiva comunitaria, per l'accesso, tra l'altro, alle prestazioni sociali non prevede alcuna distinzione di trattamento tra cittadini italiani e stranieri sotto tale profilo, consentendo a tutti indistintamente la possibilità di effettuare l'autocertificazione mediante la dichiarazione sostitutiva unica della propria condizione reddituale e patrimoniale anche con riferimento a redditi e patrimoni esteri.

Alla luce di quanto esposto, dunque, l'Istituto, in accoglimento del ricorso, va condannato ad erogare alla ricorrente l'assegno sociale con decorrenza dal 1.12.2013 (primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda amministrativa) nella somma di € 5.818,93 come maturata al 30.11.2014, siccome non oggetto di contestazione da parte dell'Inps nella sua quantificazione, con l'aggiunta degli interessi di legge dalle singole maturazioni al saldo.

In considerazione della assoluta novità della questione si ritiene giustificata la compensazione delle spese di lite.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale di Brescia in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) accoglie il ricorso e, per l'effetto, accertato il diritto della ricorrente a percepire l'assegno sociale, condanna l'Inps ad erogare alla ricorrente l'assegno sociale con decorrenza dall'1.12.2 013 nella somma di € 5.818,93 maturata al 30.11.2014 oltre accessori di legge dalle singole maturazioni al saldo;

2) compensa le spese di lite.