Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2609

Tributi - Accertamento - Imposte sui redditi ed IVA - Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti - Buona fede del cessionario - Annullamento dell’atto di accertamento - Prove esimenti - Documenti di trasporto relativi alla merce acquistata e pagamenti tramite assegni bancari non trasferibili intestati al cedente

 

Svolgimento del processo

 

1. Con due avvisi di accertamento emanati per gli anni di imposta 1998 e 1999 l'ufficio di Mantova dell'Agenzia delle Entrate, recepite le risultanze investigative di una pregressa verifica fiscale a carattere mirato, procedeva a rettificare le dichiarazioni IVA, IRPEG ed IRAP della P. & A. s.r.l. e a recuperare tassazioni costi indeducibili e l'IVA indebitamente detratta in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti consistite nell’apparente acquisto presso la Casa del Pneumatico di B. C. & C. s.n.c. di pneumatici per autoveicoli, in realtà fomiti in nero dalla GE.CO. s.p.a.

Avverso la decisione di primo grado, favorevole alla contribuente, dispiegava appello l'ufficio avanti alla CTR Lombardia, che con la sentenza per cui oggi è ricorso respingeva il gravame e confermava il deliberato di prima istanza.

Il giudice territoriale si è detto convinto dell'effettività delle operazioni sul rilievo che "la consegna delle gomme è attestata non solo dalle fatture, ma anche dai documenti di trasporto afferenti la merce acquistata" e "dei pagamenti delle forniture mediante assegni bancari non trasferibili intestati alla Casa del Pneumatico", elementi a fronte dei quali l'assunto dell'ufficio "poggia esclusivamente sulle dichiarazioni del B. non suffragate da alcun ulteriore riscontro probatorio", in particolare non essendo dimostrato che l'importo degli assegni emessi in favore di costui sia stato retrocesso all'emittente. Delineandosi perciò nella specie, in relazione alla circostanza che gli pneumatici sarebbero stati fomiti in nero dalla GE.CO, "non un caso di fatturazione di operazioni di acquisto oggettivamente inesistenti, bensì di fatture inesistenti sotto il profilo soggettivo", appare in definitiva "sufficientemente provato che il contribuente non ha imputato alla propria contabilità alcun costo fittizio", oltre tutto perché è da escludere, osserva conclusivamente il decidente, che questi fosse a conoscenza del carattere fraudolento delle operazioni, anzi che fosse d'accordo con la GE.CO, dato che in tal caso "la società contribuente non avrebbe emesso assegni bancari non trasferibili a nome della Casa del Pneumatico".

Ricorre ora per la cassazione di detta sentenza l'Agenzia delle Entrate con un ricorso affidato a tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva la parte.

 

Motivi della decisione

 

2.1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia ricorrente si duole per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 5. c.p.c. dell'insufficiente motivazione che inficia l'impugnata sentenza nella parte in cui essa reputa probatoriamente carente l’assunto dell'ufficio, posto che da un lato essa ha "indebitamente depotenziato la portata probatoria delle dichiarazioni del B." e sotto altro profilo ha "completamente ignorato l'altro elemento su cui la verifica fiscale e l'accertamento si sono fondati, ossia i controlli bancari svolti... in relazione ai rapporti tra la Casa del Pneumatico di B. C. & C. s.n.c. e la GE.CO".

2.2. Il motivo è infondato.

Premesso che il vizio di insufficiente motivazione ricorre secondo una consolidata massima di questa Corte soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha determinato sulla base degli elementi acquisiti ad adottare il convincimento enunciato, nella specie il lamentato vizio non sussiste. Invero la ricorrente si è indotta non già a rappresentare in relazione a quali elementi fattuali risultanti dalle pregresse fasi processuali il ragionamento decisorio del giudice d'appello si riveli lacunoso nel suo svolgimento logico-giuridico, ma a postulare una rinnovazione del giudizio di fatto da questi pronunciato, atteso che, rispetto agli elementi fattuali da essa evidenziati a questo fine (dichiarazioni B. e controlli bancari), non è affatto mancato l’apprezzamento del decidente, ma semmai l'apprezzamento, essendone stata disconosciuta la concludenza sul piano probatorio, non è risultato per essa soddisfacente. Sicché è appena il caso di ricordare, come ancora ammonito da questa Corte (SS.UU. 14148/13), che non è configurabile alcun vizio motivazionale quando vi sia una mera difformità della decisione rispetto alle aspettative nutrite dalle parti, risolvendosi, diversamente, il motivo di ricorso che se ne faccia interprete in un'inammissibile istanza estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione di revisione delle valutazioni e del convincimento formulati dal giudice di merito nell'auspicio che nuova pronuncia sul fatto possa risultare più favorevole.

3.1. L'impugnata sentenza è ancora viziata a parere dell'Agenzia ricorrente, sempre a mente dell'art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., anche in ragione della contraddittorietà che ne affetta la motivazione laddove essa ravvisa, in pari tempo "l'effettività" delle operazioni di acquisto poste in essere dalla contribuente con la Casa del Pneumatico ed il fatto che "la fornitura non è stata realizzata dalla Casa del Pneumatico, bensì dalla GE.CO", evidenziando in tal modo un "pasticcio motivazionale" per aver "ritenuto provate - sulla base della medesima documentazione agli atti - due vicende "assolutamente incompatibili tra loro".

3.1. Il motivo è infondato.

Vale anche qui ricordare previamente che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio in parola "presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi, e cioè l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata" (SS.UU. 26825/09).

Nella specie il ragionamento sviluppato dal giudice territoriale a supporto di quanto da esso deciso è immune dal vizio in questione, atteso che esso si svolge con coerenza e linearità rispetto ai dati di fatto oggetto di delibazione e non alimenta, se non con l'apparenza creata dalla particolarità della fattispecie, il sospetto che la sequenza argomentativa che si innesta su di essi quale forma dinamica della dichiarazione motivazionale possa risultare logicamente minata dal fatto che in pari tempo si riconosca l'effettività dell'operazione con la Casa del Pneumatico e si accrediti la tesi che alla fornitura avrebbe provveduto un terzo. In verità, anche senza chiedersi se ciò possa avere una qualche rilevanza sul piano motivazionale fino al punto di compromettere l'equilibrio dialettico della decisione, il dubbio che solleva la ricorrente è frutto, a ben vedere, di un'evidente astrazione, poiché essa nel porlo non pone mente al fatto che quella che si crede una contraddizione sul terreno della logica seguita dal giudice d’appello è il riflesso di un concreto atteggiarsi della fattispecie, dal momento che è nel fisiologico svolgersi della frode che si attua a mezzo di operazioni soggettivamente inesistenti l'interposizione fittizia dell’apparente cessionario, essendo noto che il tratto distintivo della fattispecie, nello schema triangolare ricorrente nella forma più semplice, è costituito proprio dalla circostanza che la figura dell'apparente cedente non coincide con quella del cedente effettivo. Dunque la contraddizione opposta dall'Agenzia non rileva sul piano logico della decisione perché il giudizio che la CTR ha sviluppato, evidenziando nel contempo che l'apparente fornitore non coincideva con l'effettivo esecutore della prestazione, è esattamente rispettoso dell'assetto assunto in concreto dalla vicenda scrutinata.

4.1. Con il terzo motivo di ricorso l'Agenzia fa leva per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3. c.p.c. sulla violazione e falsa applicazione dell'art. 109 Tuir e dell'art. 2697 c.c., che la CTR, pronunciandosi nei riferiti termini avrebbe consumato, da un lato, ammettendo in deduzione la componente reddituale rappresentata dall’accertata inesistenza soggettiva delle operazioni, ancorché "il diritto alla deduzione da parte del committente cessionario nelle ipotesi considerate deve ritenersi condizionato alla circostanza di non avere avuto consapevolezza ... della diversità tra il soggetto effettivamente cedente e quello indicato in fattura"; dall'altro, trascurando "che la prova in ordine all'elemento psicologico - consapevolezza o meno della falsità soggettiva della fattura - ricade sul contribuente", all'uopo non essendo sufficiente dimostrare le circostanze che la merce sia stata effettivamente ricevuta e che ne sia stato versato il corrispettivo, l'una perché "insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente", l'altra "perché relativo ad un dato di fatto inidoneo".

4.2. Il motivo è infondato.

Per vero, pur dovendo ricordare che la legittimità della ripresa a tassazione operata nella specie dai verificatori soggiace ai fini delle imposte dirette all’applicazione dello ius supervenies di cui all'art. 8, comma I, D.l. 16/12 che, modificando l'originario dettato dell'art. 14, comma 4-bis, l. 537/93, ha previsto, con disposizione applicabile retroattivamente ai sensi del successivo comma 3, la deducibilità dei costi e delle spese dei beni delle prestazioni di servizio che non siano direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, nondimeno il giudizio in estensione del quale la CTR ha ritenuto di escludere nella specie la sussistenza della frode e, segnatamente, la consapevolezza in capo alla contribuente di esserne parte, è stato stilato non già violando come deduce il motivo in esame la norma in indirizzo, ma esattamente uniformandosi al principio che in essa vi è consacrato. Non censurandosi infatti con il motivo in esame il profilo afferente all'inerenza all'attività di impresa del costo sostenuto per la conclusione dell'operazione soggettivamente inesistente - che imporrebbe, come si è ricordato, di diversificare anche in caso di consapevole partecipazione del contribuente al meccanismo fraudatorio la rilevanza della sua condotta ai fini delle imposte dirette e dell'IVA (13803/14) - è noto secondo lo stabile indirizzo interpretativo che questa Corte ha messo a punto in riferimento alla norma qui asseritamente violata (25775/14; 13803/14; 24426/13), che, qualora sia contestata la inesistenza soggettiva dell'operazione, mentre è onere dell'amministrazione finanziaria provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 cod. civ., l'interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell'operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa, compete viceversa al contribuente provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l'incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente. A questo insegnamento si è riportato il giudice d'appello nel fare governo delle risultanze probatorie portate al suo esame e nel negare, esattamente in applicazione delle regole probatorie imposte in materia a ciascuna parte - e con giudizio che non è dunque censurabile sotto il denunciato profilo - il consapevole coinvolgimento del contribuente nella vicenda evasiva sulla base delle congiunte circostanze che le fatture recavano l'intestazione della Casa del Pneumatico e che i pagamenti a saldo delle forniture ricevute erano stati effettuati con assegni bancari non trasferibili rilasciati in favore di quest'ultima.

5. Il ricorso va dunque respinto.

Nulla per le spese in difetto di attività difensiva dell’intimato.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso.