Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2648

Lavoro - Contestazione dell’addebito disciplinare - Indicazione specifica dei fatti contestati - Diritto di difesa del lavoratore - Principi di correttezza e garanzia del contraddittorio

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso ex art 1, comma 48 e seguenti della L. n. 92/2012, (...) premesso di avere lavorato dal 1985 alle dipendenze della F.G.A. s.p.a., con qualifica da ultimo di T.M.Z. (T.) ed inquadramento nel sesto livello del C.C.N.L. Metalmeccanici fino al 21/4/12, quando, previa contestazione di addebito del 20/4/12, era stato licenziato senza preavviso, adiva il Tribunale di Bologna per sentir dichiarare la illegittimità del licenziamento intimatogli attesa la genericità della contestazione e l'insussistenza dell'addebito e conseguentemente per ottenere la reintegra nel posto di lavoro ex art 18 L. n. 300\1970.

Si costituiva in giudizio la F.G.A. s.p.a. contestando quanto ex adverso dedotto, insistendo per il rigetto della domanda.

Con ordinanza del 9/1/13, il Tribunale di Bologna, riconoscendo la illegittimità della contestazione disciplinare perché "priva degli elementi temporali di luogo, di persone ed oggetto idonei a circostanziare i fatti addebitati", ordinava la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro.

Con ricorso ex art. 1, comma 51, della L. n. 92\2012, la società si opponeva alla suddetta ordinanza, chiedendone la riforma. Resisteva in giudizio il (...), replicando alle argomentazioni di controparte e concludendo per il rigetto dell'opposizione.

Venivano acquisiti i verbali istruttori di altro giudizio incardinato presso il Tribunale di Torino, ove si discuteva della legittimità del successivo licenziamento irrogato al (...) in data 7/3/13 ed era escusso un teste.

Il Tribunale di Bologna con sentenza n. 963/13 accoglieva il ricorso in opposizione, revocando l'ordinanza 9/1/13.

Proponeva reclamo ex art. 1, comma 58, della legge n. 92/12 il (...) deducendo la nullità della sentenza per essere stata emessa dal medesimo giudicante persona fisica che aveva pronunciato l'ordinanza opposta; per violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300/70 in relazione alla illegittimità per genericità e difetto di specificità della contestazione di addebito; per erronea valutazione della prova raccolta nel procedimento davanti al Tribunale di Bologna e di quella acquisita processo e svoltasi davanti al Tribunale di Torino. Resisteva in giudizio la società insistendo per il rigetto del reclamo e la conferma della sentenza impugnata ed in subordine per la riduzione del danno in considerazione dell’aliunde perceptum.

Con sentenza depositata il 13 marzo 2014, la Corte d'appello di Bologna, in riforma della sentenza n. 963\13 del Tribunale di Bologna, dichiarava, ritenendo generica la relativa contestazione disciplinare, illegittimo il licenziamento intimato in data 27.4.12 al (...) condannando la F.G.A. s.p.a. a corrispondergli le retribuzioni maturate dal licenziamento in oggetto sino al successivo licenziamento, detratto l'eventuale aliunde perceptum, oltre agli accessori di legge.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato ad unico motivo. Resiste il (...) con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1.- La società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. n. 300\1970.

Lamenta che la lettera di contestazione del 20.4.12, riprodotta in ricorso, era adeguatamente specifica, consentendo al lavoratore di difendersi compiutamente. Evidenzia che secondo il consolidato orientamento di legittimità la specificità della contestazione disciplinare è diretta essenzialmente allo scopo di consentire al lavoratore una immediata difesa, che nella specie era assolutamente possibile posto che dal contenuto della lettera di contestazione emergevano chiaramente i fatti dei quali il lavoratore era chiamato a rispondere: aver abusato del suo ruolo e della sua funzione attribuita dall'azienda per raggiungere, verosimilmente nel 2010, con i titolari della s.n.c. (...) un illecito accordo in pregiudizio degli interessi della F.G.A. s.p.a. attraverso il quale aveva percepito indebiti importi per somme comprese tra i 5 e gli 8 mila euro, anche attraverso la dazione di merce ottenuta da costoro senza versamento del corrispettivo.

Nell'ambito di tale lettera di contestazione erano quindi oggettivate, nei loro nuclei essenziali e strutturali: le condotte addebitate (aver raggiunto un illecito accordo contrario agli interessi economici e di immagine di F.G.A. s.p.a. al fine di perseguire un personale indebito vantaggio); identificati i soggetti con cui tale accordo era intervenuto (titolari della (...) descritto il contenuto dell'accordo stesso (l'utilizzo da parte del (...) del ruolo di T.Z.M. e degli accrediti personali sul sistema informatico che regola le garanzie in F.G.A. s.p.a. al fine di creare a favore dell'Officina in questione le condizioni per ottenere liquidazione di interventi a fonte di riparazioni asseritamente effettuate sulla base di garanzie manipolate ovvero utilizzando ricambi non originali); indicato il periodo in cui detta intesa era stata raggiunta (verosimilmente nel 2010); riportata l'entità dell'illecito vantaggio economico tratto dal (...) (tra i 5 e gli 8 mila euro oltre a dazione di merce senza versare il corrispettivo).

La specificità dell'addebito, che riguardava l'esistenza dell'illecito accordo con i soggetti chiaramente individuati, attuato con le descritte modalità anche per quanto riguarda i codici utilizzati dal (...) (COI ovvero Cll) per permettere la consumazione della fattispecie illecita, con pregiudizio degli interessi aziendali, aveva del resto consentito all'odierno controricorrente di prendere posizione rispetto agli addebiti, negando in nuce l'esistenza dell'accordo, e dunque il fatto materiale che costituiva l'essenza della contestazione disciplinare, negando altresì tutti gli ulteriori risvolti sopra riportati, che afferiscono, come detto, alle modalità attuative dell'illecito e al profitto tratto dal lavoratore infedele.

1.1.- Il ricorso è infondato.

Deve al riguardo premettersi che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l'immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della connessa specificità, ancorché senza l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati, rispettando i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio (Cass. 15.5.2014 n. 10662, Cass. 17.11.2010 n. 23223; Cass. 5.7.2013 n. 16831, Cass. n. 5115\2010).

Nella specie la lettera di contestazione individua, anche con precisione, un fatto teoricamente censurabile disciplinarmente, ma resta confinata in tale categoria teorica (esistenza di un accordo attraverso il quale il dipendente avrebbe tratto illeciti profitti), senza tuttavia indicare quali fossero in concreto i fatti disciplinarmente rilevanti, effettivamente compiuti ed addebitati al lavoratore, che infatti non può ritenersi, come si accenna in ricorso, essersi compiutamente difeso attraverso la generica negazione dell'addebito.

Risulta dunque condivisibile la sentenza impugnata che ha ritenuto che nella contestazione era per un verso chiaramente delineata la fattispecie illecita astratta di una truffa ai danni del datore di lavoro, mediante accordo con l'officina il cui contenuto pure era stato specificato (creare in favore dell'Officina in questione le condizioni per poter ottenere la liquidazione di intereventi su riparazioni effettuate su garanzie manipola o con ricambi non originali); per altro verso la Corte territoriale ha correttamente ritenuto, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, che la contestazione non precisava, nemmeno a titolo esemplificativo, gli episodi relativi alle procedure di garanzia asseritamente truccate e/o alle riparazioni effettuate con ricambi non originali, difettando quindi di qualsiasi effettivo elemento (ad es. il numero di procedura degli interventi in garanzia, il modello del veicolo, l'oggetto dell'intervento, etc), necessario a concretizzare, dal punto di vista spaziale e temporale, gli illeciti di cui si riteneva responsabile il lavoratore, impedendo così a quest'ultimo di difendersi adeguatamente.

1.2.- Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in €100,00 per esborsi ed €3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.