Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2605

Tributi - IVA - Tardiva fatturazione di operazioni imponibili - Regolare versamento dell’imposta periodica - Violazione sostanziale e non formale - Applicazione delle sanzioni - Sussiste

 

Svolgimento del processo

 

1. A seguito di una verifica fiscale effettuata nei confronti della Società Distribuzione Articoli Idro-Termo-Sanitari S. s.r.l., l’ufficio di Pisa dell'Agenzia delle Entrate emetteva due avvisi di accertamento - il secondo dei quali in sostituzione del primo - ed un atto di contestazione con cui, rispettivamente, recuperava a tassazione, tra l'altro, in quanto onere indeducibile per difetto di inerenza, l'extra premio erogato in favore della propria controllata T. s.r.l. e sanzionava il ritardo con cui la verificata aveva provveduto alla fatturazione delle operazioni imponibili nei confronti di detta controllata.

La decisione di primo grado, appellata dalla parte, era confermata dalla CTR Toscana con la sentenza in esame sulla base della considerazione che la violazione contestata in punto di fatturazione riveste, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante che ne aveva allegato la natura formale, "carattere di violazione sostanziale andando ad incidere sui versamenti trimestrali", mentre la ripresa in punto di extra premio si giustificava alla luce degli elementi indiziari addotti dall'ufficio, "tutti convergenti nel far ritenere che la funzione di tale premio supplementare fosse estranea alle politiche commerciali della società ricorrente e fosse volta piuttosto ad effettuare movimenti finanziari dalla medesima società alla società T.", che dalla prima era peraltro controllata e che, tra l'altro, aveva un bilancio in perdita.

Per la cassazione di detta sentenza la parte propone ora ricorso affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso l'erario.

 

Motivi della decisione

 

2. Con il primo motivo di ricorso la parte lamenta per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3. c.p.c. l'errore in cui è incorsa la CTR in relazione agli artt. 21, comma quarto, D.P.R. 633/72 e 6, comma 1, D.lg. 471/97, poiché contrariamente a quanto da essa statuito in punto fatturazione, "il mero ritardo nella fatturazione non ha inciso sul versamento del tributo dovuto e ciò contribuisce a qualificare la violazione come meramente formale (in sostanza le imposte sono affluite nel bilancio dello Stato anche se non alle scadenze fissate dalla legge) e quindi se danno esiste, lo stesso è quantificabile nell’ammontare degli interessi che sarebbero dovuti al fisco per il ritardato versamento".

2.2. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già chiarito in relazione ad analoga vicenda di ritardo nella fatturazione, enunciando un principio a cui si deve dare continuità, che, poiché in tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale - e, dunque, non è punibile ex art. 10 dello Statuto del contribuente - solo ove essa non comporti un pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile dell'imposta e sul versamento del tributo, "il ritardo nella fatturazione integra una violazione sostanziale e non formale dell'art. 21, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto arreca pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo, ed è, pertanto, punibile anche quando non determina omesso versamento dell'IVA" (27211/14).

Si conforma perciò a questo principio l'impugnato deliberato d'appello che, avendo ritenuto che il ritardo nella fatturazione costituisca violazione di carattere sostanziale e che si sottragga pertanto all’applicazione dell'invocata esimente, non merita perciò censura alcuna.

3.1. Il secondo motivo del ricorso fa leva per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3. c.p.c. sulla violazione e falsa applicazione dell'art. 75 Tuir (nel testo in allora vigente), poiché, contrariamente a quanto creduto dalla CTR in ordine all'indeducibilità del costo rappresentato dall'extra premio corrisposto alla controllata, ciò "è avvenuto in base ad un regolare contratto avente ad oggetto le modalità di erogazione del premio", a nulla rilevando che esso non fosse provvisto di data certa, posto che la registrazione, finalizzata a questo scopo, era prevista solo in caso di uso giudiziale dell'atto e, tantomeno, "la presunta antieconomicità del premio", attesa invero l'autonomia decisionale dell'imprenditore, che non è sindacabile nelle sue scelte operative, non essendo invero "pacificamente affermabile", in difetto di una norma generale antielusiva, la possibilità del fisco di sindacare il merito delle operazioni economiche poste in essere dal contribuente.

3.2. Violazione e falsa applicazione dell'art 39 D.P.R. 600/73 e, più in generale, dell'art. 2697 c..c. si allega, per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3. c.p.c., con il terzo motivo di ricorso, ritenendo il ricorrente, a fronte dell’indeducibilità dei costi riprovata dalla CTR, "di aver esaurientemente motivato la propria scelta aziendale e di aver assolto all'onere probatorio che gli compete", e ciò, in particolare, per il fatto che, se il requisito delle valide ragioni economiche "costituisce l'elemento fondamentale nella valutazione della liceità o della illiceità fiscale di un atto ... nessuna illiceità o distorsione è configurabile in tale contesto fino a quando l'adozione della scelta meno onerosa rientra tra le alternative normativamente previste e quindi approvate dall'ordinamento fiscale".

3.3. Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per omologia delle censure, vanno soggetti alla medesima declaratoria di inammissibilità.

Invero a mezzo della loro formulazione e lamentando che la CTR non avrebbe rettamente interpretato le risultanze istruttorie sottoposte al suo giudizio, ricusando sia la valenza probatoria dell'accordo scritto intercorrente tra le parti sia l'autonomia decisionale che compete all'imprenditore nella gestione della propria attività, la ricorrente postula in buona sostanza la rinnovazione di un giudizio di fatto che non rientra tra i compiti di questa Corte, dato che, come si è più volte ricordato, "il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti" (SS.UU. 7931/13). Il controllo che con riguardo al diritto del tempo si demanda al giudice di legittimità è appunto in funzione della legittimità della decisione sotto il duplice profilo della legalità di essa — sicché è per principio precluso che nel sindacare la sua conformità al diritto la Corte possa riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa - e della logicità che, pur esercitandosi sulla congruenza logico-giuridica del ragionamento decisorio, non abilita tuttavia la parte a censurare l'apprezzamento delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità dell'accertamento in fatto operato dal giudice di merito. E questo perché, come si chiosa abitualmente, il controllo affidato alla Corte "non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità" (12241/15; 11958/15; 91/14). E’ per l'effetto, dunque, inammissibile il ricorso che come quello qui in esame, sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto così come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello , non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata" (12264/14).

4. Respingendosi pertanto il ricorso, le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida nella somma di euro 2400,00=, oltre alle eventuali somme prenotate a debito e agli accessori.