Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2636

Tributi - Atti di cessione di pullman con relative licenze comunali - Alternatività tra IVA e Imposta di registro - Prevalenza della natura intrinseca dell'atto e dei suoi effetti giuridici sul suo titolo e sulla sua forma apparente - Interpretazione unitaria del negozio, anche se frazionata in atti distinti

 

Fatto

 

L’Agenzia delle Entrate ha notificato alla società un avviso di accertamento volto al recupero dell’Iva dovuta per l’anno d’imposta 2000, calcolata applicando l’aliquota del 20% in relazione a due distinte cessioni a diverse società, una avente ad oggetto quattro pullman con le relative licenze rilasciate dal Comune di Roma e l’altra tre pullman, parimenti corredati delle relative licenze.

La contribuente ha impugnato l’avviso, sostenendo che i due contratti dovessero essere considerati unitariamente come cessione d’azienda, che sconta in quanto tale, in ragione dell’applicazione del principio di alternatività tra iva e imposta di registro, soltanto la seconda.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso, mentre quella regionale ha accolto il gravame proposto dall’ufficio, che ha escluso il trasferimento d’azienda, sottolineando che la contribuente non ha provato di aver ceduto tutti i rapporti inerenti al complesso aziendale.

Avverso questa sentenza propone ricorso la contribuente per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., cui l’Agenzia non replica.

 

Diritto

 

1. - Il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., col quale la contribuente deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata, è inammissibile, in ragione della mancanza del quesito di fatto prescritto dall’art. 366-bis al regime del quale l’impugnazione della sentenza, depositata in data 19 marzo 2009, era soggetta.

2. - Il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., col quale la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 3, lett. b), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché dell’art. 51, commi 1 e 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, là dove il giudice d’appello ha escluso la cessione di ramo d’azienda in ragione dell’esclusione dei crediti e dei debiti aziendali, è infondato.

Per identificare la nozione di cessione d'azienda utile ai fini tributari, ossia al fine di verificare se l'operazione o le operazioni in questione debbano essere assoggettate all'imposta di registro oppure all'imposta sul valore aggiunto, occorre aver riguardo alle disposizioni che a quelle operazioni sono dedicate nell'ambito della disciplina sull'imposta di registro, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2, comma 3, del d.P.R. 633/72.

La disciplina dell'imposta di registro è imperniata sul canone, stabilito dall’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, secondo cui «l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente»; in tal modo, essa annette rilievo preminente, nell'imposizione del negozio, alla sua causa reale ad alla effettiva regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contraenti (espressamente in termini, tra varie, Cass. 22 gennaio 2013, n. 1405; Cass. 20 dicembre 2012, n. 23584; Cass. 4 maggio 2007, n. 10273; Cass. 7 luglio 2003 n. 10660; Cass. 25 febbraio 2002 n. 2713).

L'imposta di registro si commisura ad atti a contenuto economico, assunti dal legislatore come indici di capacità contributiva (Cass. 4 maggio 2009, n. 10180); essa si collega dunque all'atto come negozio, e non già all'atto come documento.

Tanto comporta che la scelta legislativa di privilegiare, nella contrapposizione fra la intrinseca natura e gli effetti giuridici ed "il titolo o la forma apparente di essi", la sostanza dell'operazione implica che "gli stessi concetti privatistici sull'autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria", di guisa che, anche se non si può prescindere dall'interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali, nella individuazione della materia imponibile ha preminenza assoluta la "causa reale sull'assetto cartolare" (Cass. n. 14900/2001; n. 10660/2003; n. 11457/05; sottolinea l'indisponibilità della qualificazione contrattuale ai fini fiscali, 8 maggio 2013, n. 10740; da ultimo, vedi 28 agosto 2013, n. 19752 e, conforme, 4 febbraio 2015, n. 1955).

2.1. - Ciò posto, assai significativo è l’art. 51, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, il quale stabilisce che «per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma 1 è controllato dall'ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, compreso l'avviamento ed esclusi i beni indicati nell'art. 7 della parte prima della tariffa, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, tranne quelle che l'alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere e quelle relative ai beni di cui al citato art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11 bis della tabella. L'ufficio può tenere conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all'imposta sul valore aggiunto».

La norma riflette la più antica e tradizionale concezione dell'azienda come oggetto unitario della vicenda traslativa, ovvero come unitaria realtà economica; e la commisurazione del tributo al "valore complessivo dei beni che la compongono", e non già al valore dei singoli beni e rapporti trasferiti, implica la necessità di assumere ad elementi della base imponibile anche i beni ed i rapporti diversi da quelli formalmente oggetto del contratto di cessione d'azienda, se comunque afferenti all'azienda ceduta ed oggetto della complessiva regolamentazione attuata.

2.2. - Poiché, si è visto, l'imposta di registro ha per oggetto il negozio giuridico e non l'atto documentale, essa richiede l'interpretazione unitaria del negozio, anche se frazionata in atti distinti. La prevalenza della natura intrinseca dell'atto e dei suoi effetti giuridici sul suo titolo e sulla sua forma apparente, vincolando l'interprete a privilegiare, nell'individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, comporta la necessità di verificare se sia configurabile il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali (Cass. 25 febbraio 2002, n. 2713); di qui la conseguenza che l'incorporazione in un solo documento di una sola dichiarazione negoziale ad effetto giuridico unico, l'incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l'incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell'effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano.

Nè si può argomentare, in senso contrario, dalla natura d'imposta d'atto del tributo di registro, dovendo essere tale espressione intesa, come dinanzi rimarcato, nel senso della necessità della commisurazione del tributo agli effetti giuridici degli atti sottoposti a registrazione.

Una così ampia nozione di azienda è d'altronde pienamente coerente con la disciplina comunitaria dell'azienda nel sistema dell'iva: l'art. 5, numero 8, della sesta direttiva iva (riprodotto dall'art. 19 della direttiva 2006/112/CE) prevede che, in caso di trasferimento a titolo oneroso o sotto forma di conferimento ad una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri «possono considerare l'operazione come non avvenuta e che il beneficiario continua la persona del cedente» e la giurisprudenza comunitaria specifica che, a tal fine, il trasferimento di un'azienda o di un suo ramo corrisponde al trasferimento dell'insieme di beni, materiali e immateriali, che «complessivamente costituiscono un'impresa o una parte d'impresa idonea a continuare un'attività economica autonoma...» (Corte giust. 10 novembre 2011, C-444/10, Cristel Schriever). E questa nozione d'azienda si specchia nelle definizioni di azienda utili ai fini della direttiva 69/335/CE in tema di raccolta di capitali (art. 7, numero 1, lettera b) nonché della direttiva 434/90/CE, relativa al regime da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi (art. 2, lettera i).

La corretta soluzione della questione è dunque affidata all'applicazione dei canoni ermeneutici volti all'individuazione della reale operazione economica perseguita.

Accertare quale sia, secondo la volontà dei contraenti, l'oggetto specifico del contratto, allo scopo di stabilire se quei determinati beni siano stati considerati nella loro autonoma individualità o non piuttosto nella loro unitaria e strumentale funzione, sì da comportare al tempo stesso l'alienazione dell'azienda cui essi si ricollegano, è tipico giudizio di fatto; giudizio riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell' iter logico seguito per giungere alla decisione (principio pacifico. Vedi, fra molte, Cass. 12 gennaio 2010, n. 259).

Nel caso in esame, il giudizio di fatto espresso dalla Commissione non è stato adeguatamente impugnato col vizio di motivazione, formulato in maniera inammissibile; là dove il vizio di violazione di legge finisce per risolversi nel fornire una lettura diversa da quella espressa dalla Commissione.

Il ricorso va in conseguenza respinto.

Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.