Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 febbraio 2016, n. 2630

Tributi - IVA - Fatture per operazioni soggettivamente inesistente - Conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario del carattere fraudolento dell'operazione - Esclusione della detrazione dell’IVA

 

Svolgimento del processo

 

Con avviso di accertamento per l'anno d'imposta 1998, emesso a seguito di sentenza penale di condanna di Rasi Gabriele (e altri), quale amministratore di fatto di società che avevano emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti di alcune ditte fra cui la ditta individuale E. di C. C., venne rettificato il reddito d'impresa, con applicazione di maggiori imposte per IRPEF, IRAP e IVA, nei confronti di C. C.. Il ricorso del contribuente (proposto fra l'altro per illegittimità dell'accertamento parziale, carenza di motivazione, detraibilità dell'IVA e deduzione dei costi) venne rigettato dal p.v.c.. L'appello fu accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sulla base della seguente motivazione.

"La cessione è realmente avvenuta (oggettivamente esistente) ma, laddove risulta operata tra il soggetto A e B, nella realtà esisterebbe un soggetto che non appare (operazione soggettivamente inesistente) e che nell'accertamento non è indicato e identificato. Tale ultima operazione contestata al contribuente può avvenire sia con la piena consapevolezza del soggetto sub C, sia senza che ne sia a conoscenza. Nel caso del C. l'accertamento non prova in modo idoneo la partecipazione del contribuente in quanto rimangono indimostrate due circostanze: a) che il C. sapeva che il suo interlocutore apparente non era quello vero cioè il vero cessionario dei beni ma solo il prestanome di un altro soggetto che rimaneva in ombra; b) che il C. dalla interposizione fittizia di un soggetto sconosciuto ricavasse un vantaggio fiscale. Da sottolineare che la cosa è tutt'altro che irrilevante, perché se è pacifico a) che il C. non ha partecipato alla frode fiscale; b) che non ne ha ricevuto vantaggio fiscale, è verosimile dedurre che se un patto fraudolento vi fu, esso fu stretto solo tra il cedente apparente (DMV) e il cedente occulto, senza alcun bisogno di rendere nota la frode al terzo cessionario (C.)".

Ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate sulla base di un motivo. Resiste con controricorso il contribuente.

 

Motivi della decisione

 

Con l'unico motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 17, 19 e 21 d.p.r. n. 633/1972, 2697 c.c., in relazione all'art. 360 n.3 c.p.c. Espone la ricorrente che l'appello è stato accolto non sulla base dell'esistenza dell'operazione dal punto di vista soggettivo/ma per la mancata prova della partecipazione consapevole del contribuente alla frode e per la mancanza di un vantaggio fiscale e che secondo la giurisprudenza, nazionale e comunitaria, si tratta di circostanze irrilevanti ai fini del diniego del diritto alla detrazione dell'IVA.

Il motivo è fondato. Ha affermato il giudice comunitario (Corte giust. 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e 142/11) che va negato il beneficio del diritto a detrazione dell'IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un'evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte. Per la corte comunitaria è legittimo "esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l'operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un'evasione fiscale", ma la diligenza esigibile dall'operatore dipende essenzialmente dalle circostanze della fattispecie. Così "qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità". Resta tuttavia fermo che "l'amministrazione fiscale non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto alla detrazione dell'IVA, da un lato - al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte - verifichi che l'emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l'esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'IVA, o, dall'altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo. Spetta infatti, in linea di principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di IVA nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni". A questi principi si è attenuta questa Corte, affermando che, qualora l'amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell'imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell'accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva - per l'esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall'amministrazione - in un'evasione commessa dal l'emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni (Cass. 20 dicembre 2012, n. 23560). E' poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l'ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti (Cass. 24 settembre 2014, n. 20059).

Fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell'IVA non è dunque soltanto la consapevolezza dell'iscrizione dell'operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un'evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l'operatore, sulla base della diligenza esigibile dall'operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell'esistenza dell'evasione. Il giudice del merito si è limitato a valutare se il contribuente fosse consapevole della collocazione dell'operazione all'interno di un meccanismo fraudolento, ma, diversamente da quanto richiesto dal principio di diritto di cui sopra, non ha valutato se, sulla base della diligenza esigibile dall'accorto operatore in relazione alle circostanze, il contribuente avrebbe dovuto comunque conoscere del contesto illecito dell'operazione.

Una volta che risulti sia l'integrazione della fattispecie di operazione soggettivamente inesistente che la conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente del carattere fraudolento dell'operazione, si ha perfezionamento del fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell'IVA, senza che il contribuente possa opporre la mancanza di un vantaggio fiscale da parte sua. Il diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo non spetta perché, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell'impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l'evasione del tributo relativo alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti (Cass. 16 maggio 2012, n. 7672; 22 marzo 2006, n. 6378).

A tali principi dovrà attenersi il giudice di merito.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.