Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 febbraio 2016, n. 2532

Accesso ispettivo - Termini di notificazione dell’illecito fluttuanti - Complessità dell’accertamento - Valutazione circa la giustificatezza dell’ulteriore tempo utilizzato dall’Amministrazione

 

Fatto

 

Con sentenza 24 maggio 2010, la Corte d’appello di Roma rigettava l'appello di A. De F. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l'opposizione, ai sensi dell'art. 22 l. 689/1981, all'ordinanza ingiunzione notificatagli il 14 luglio 2005 dalla D.P.L. di Roma per il pagamento di € 20.193,90, a titolo di sanzione amministrativa per irregolarità relative ad assunzione di personale dipendente.

A motivo della decisione, la Corte territoriale negava la decorrenza del termine di novanta giorni, in violazione dell'art. 14 l. 689/1981, dalla data di notificazione degli estremi della violazione rispetto a quella di accertamento, essendo i tempi, da valutare in riferimento al caso concreto, giustificati dalla complessità delle operazioni di accertamento, ultimate nel novembre 2000; nel merito della sussistenza degli illeciti contestati, riteneva poi corretta la valutazione probatoria del Tribunale, in esito a critico e argomentato esame delle risultanze istruttorie; infine, escludeva la decadenza del diritto di riscossione delle somme ingiunte, ai sensi dell'art. 25 d.lg. 46/1999, per la natura non contributiva delle sanzioni.

Con atto notificato il 20 dicembre 2010, A. De F. ricorre per cassazione con due motivi, cui resistono con controricorso il Ministero del Lavoro e la D.RL. di Roma.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 14 l. 689/1981, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per mancato rispetto del termine di novanta giorni dalla data di notificazione degli estremi della violazione rispetto a quella di accertamento, con verbali di illecito amministrativo del 12 dicembre 2000 e ancora di ispezione congiunta del 14 dicembre 2000 (a base dell'ordinanza ingiunzione opposta), discrezionalmente fissato dalla D.RL. in riferimento ad accertamenti effettuati nell'ambito della vigilanza congiunta dal 5 aprile 2000 al 13 novembre 2000.

Con il secondo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per erronea valutazione delle risultanze istruttorie, con ingiustificata prevalenza attribuita alle prove orali rispetto alle documentali.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 14 l. 689/1981, per mancato rispetto del termine di novanta giorni dalla data di notificazione degli estremi della violazione rispetto a quella di accertamento, è infondato.

Non si configura, infatti, la violazione di legge denunciata per insussistenza dei requisiti propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756).

D'altro canto, appare pure esatta l'applicazione fattane dalla Corte territoriale, dovendo il dies a quo per il computo del termine di novanta giorni, entro il quale può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica, essere inteso come comprensivo anche del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti gli elementi dell'infrazione, spettando poi al giudice di merito valutare la congruità, se eccepita, del tempo impiegato dall'Amministrazione per giungere alle proprie determinazioni (Cass. 2 aprile 2014, n. 7681; Cass. 11 aprile 2006, n. 8456): pure avendo la Corte capitolina a ciò correttamente provveduto, avendo apprezzato come congrua la durata degli accertamenti ispettivi al fine di pervenire ad una appropriata e completa contestazione del comportamento poi sanzionato. Essa ha, infatti, verificato come la durata degli accertamenti abbia "comportato la valutazione di numerose dichiarazioni di lavori, alcune delle quali raccolte in epoca successiva al primo accesso, e il raffronto tra le stesse e le risultanze documentali"', sicché "il lamentato "silenzio assoluto" dell'amministrazione in epoca posteriore alle richieste di documentazione, risalenti all'aprile 2000 e sino all'incontro tra la ditta e i funzionari del settembre 2000 appare ... giustificato dalla necessità di raccolta e valutazione del materiale "istruttorio" perché la redazione del verbale di "accertamento" richiede ... il raggiungimento della "certezza" della violazione" (così a pg. 3 della sentenza): tenuto conto dell'elevato numero di lavoratori di cui verificare l'esistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato, ovvero l'effettiva entità della sua durata o consistenza delle mansioni svolte (come risulta dall'elenco a pg. 2 del ricorso).

Neppure, infine, potendosi trascurare l'omessa trascrizione dei verbali in questione, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c. (Cass. 9 aprile 2013, n. 8569; Cass. 16 marzo 2012, n. 4220; Cass. 23 marzo 2010, n. 6937).

Il secondo motivo, relativo a vizio di motivazione, per erronea valutazione delle risultanze istruttorie, è inammissibile.

Esso viola, infatti, il già richiamato principio di autosufficienza del ricorso, non avendo A. De F. trascritto i verbali di assunzione delle prove a suo avviso malamente valutate, così precludendone a questa Corte l'esame (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 21 ottobre 2003, n. 15751) e sottende altresì un'istanza di sostanziale revisione del giudizio di merito, così sollecitando una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394): nella prospettiva fuorviarne di una contrapposizione non consentita di un diverso convincimento soggettivo della parte alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice, piuttosto che di una censura dei possibili vizi del percorso formativo del convincimento del giudice libero di attingerlo dalle prove che gli paiano più attendibili, senza alcun obbligo di esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412); bene avendo, d'altro canto, deciso la Corte territoriale, sulla base di una motivazione giuridicamente corretta e logicamente congrua (per le ragioni esposte a pag. 3 e 4 della sentenza).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente la reiezione del ricorso, con regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna A. De F. alla rifusione, in favore del Ministero, delle spese del giudizio, che liquida in € 3.500,00 per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito.