Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 febbraio 2016, n. 2462

Contratto di somministrazione di lavoro - Nullità del termine - Nuovo regime delle decadenze - Art. 32, L. 183/2010 - Applicabilità

 

Fatto e diritto

 

La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 14 gennaio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell'art. 380 bis c.p.c.:

"Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di L’Aquila rigettava il gravame proposto dalla s.p.a. FATER avverso la pronuncia non definitiva emessa dal Tribunale di Pescara che aveva respinto l’eccezione di decadenza ex art. 32 I. 183/2010 sollevata dalla predetta società in relazione all’azione di nullità del termine di durata apposto ai contratti di somministrazione di lavoro e delle relative proroghe, intercorsi dal 19.6.2003 all’8.10.2005, stipulati tra la A. spa, quale somministratore, e l’appellante, società utilizzatrice della prestazione di lavoro di T. F.

Evidenziava la Corte, per quel che rileva nel presente giudizio, che la disposizione di cui all’art. 2, comma 54, del d.l. 225/2010, convertito in legge 10/2011, che, introducendo il comma 1 bis dell’art. 32 I. 183/2010, aveva prorogato al 31.12.2011 il termine per l’impugnazione del licenziamento, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, fosse applicabile ai termini posti dall’art. 32 per tutte le azioni ivi elencate, non essendovi necessità che l’art. 2, comma 54, del Decreto "Milleproroghe" facesse un esplicito riferimento anche alle azioni diverse dall’impugnativa del licenziamento indicate nell’art. 32 del "Collegato Lavoro", dal momento che già i commi 2, 3 e 4 di tale ultima disposizione estendevano espressamente la disciplina dei termini posta dal comma 1 per l’impugnativa del licenziamento (ivi compresa la previsione del comma 1 bis circa la decorrenza dell’efficacia) alle altre ipotesi indicate nei successivi commi.

Osservava che nella fattispecie esaminata, con riferimento ai contratti intercorsi tra le parti per il periodo dal 19.6.2003 fino al 15.5.2011, l’appellato aveva contestato la legittimità dei suddetti contratti con nota in data 3.11.2011, ricevuta dalla FATER spa il 10.11.2011, e quindi entro il termine di decadenza di sessanta giorni che aveva iniziato a decorrere solo dal 31.12.2011.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la FATER s.p.a., affidando l'impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, il T..

Viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle Preleggi al codice civile in relazione all’art 2, comma 54, d. L. 225/2010, rilevandosi che l’estensione della proroga dei termini stabilita dall’art. 2, comma 54 del D. L. 225/2010 è limitata ai soli "licenziamenti" e che tale assunto si fonda sul significato letterale della norma che distingue il licenziamento avvenuto prima dell’entrata in vigore della l. 183/10 dalle altre ipotesi regolate dall’art. 32 di tale legge. Si osserva che nella specie, peraltro, si verte in un’ipotesi di contratti di somministrazione, con riguardo alla quale l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici è da ritenere più accentuata rispetto a quella del contratto a termine, nel quale il dipendente è comunque scelto ed assunto dal proprio datore di lavoro.

L’art. 32 I. 183/2010 detta una nuova disciplina della decadenza in materia di rapporti di lavoro:

- modificando quella in tema di licenziamenti prevista dall’art. 6 I. 604 del 1966, con l’aggiunta, rispetto all’obbligo di impugnare il licenziamento stragiudizialmente entro 60 giorni (dalla legge Fornero nel 2012 portato a 90), anche dell’obbligo della impugnazione giudiziaria entro 270 giorni (poi portati dalla Fornero a 180) che prima non era prevista (primo comma);

- introducendo la decadenza per tutti i casi di invalidità del licenziamento (secondo comma);

- introducendo la decadenza per tutte le ipotesi indicate ai commi 3 e 4: In particolare, e fra l'altro, per i contratti di lavoro a termine in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge (24 novembre 2010), con decorrenza dalla scadenza del termine; per i contratti di lavoro a termine già conclusi, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge; in ogni altro caso in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto, compresa l’ipotesi prevista dall’art. 27 del d. Igs. 276 del 2003 e cioè l’ipotesi della somministrazione irregolare.

La decorrenza di questo nuove regime di decadenze venne originariamente fissata in relazione alla data di entrata in vigore della legge 183/2010, e cioè alla data del 24 novembre 2010, salvo che per i contratti a tempo determinato in corso alla data di entrata in vigore della legge, per i quali la regola indicata era quella della scadenza del relativo contratto.

Successivamente, è stato emanato il c.d. decreto legge "mille proroghe", poi convertito con la legge n. 10 del 2011 in vigore dal 26 febbraio 2011, nell’intento di mitigare, in fase di prima applicazione, il rigore di termini di decadenza così drastici in un sistema che prima li prevedeva solo parzialmente (licenziamenti), o non li prevedeva affatto (contratti a tempo determinato ed altri importanti istituti del diritto del lavoro di cui ai commi 3 e 4).

E’ stata dettata, pertanto, con tale provvedimento legislativo, una norma che ha aggiunto all’art. 32 della legge 183 del 2010, il comma 1- bis, il quale prevede, appunto, in sede di prima applicazione, che le disposizioni di cui all’art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011.

La necessità di tener conto della su indicata finalità perseguita dal legislatore e di non determinare situazioni in contrasto con il principio di uguaglianza ha indotto la giurisprudenza di questa Corte ad affermare che: 1) la fissazione del nuovo termine in cui le norme sulla decadenza acquistano efficacia, da un lato, non vale solo per la decadenza relativa alla impugnazione stragiudiziale dei licenziamenti, ma anche per quella giudiziale (Cass. 9203/14 e 15434/14) e, 2) dall’altro, vale anche per tutti quegli altri istituti indicati nei vari punti dei commi 3 e 4, dell’art. 32, la cui disciplina sulla decadenza viene introdotta ex novo dalla legge 183/2010 non in via diretta, ma richiamando l’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (già in alcuni passaggi di Cass. 9203/14, ma poi espressamente in Cass., VI, 2494/2015).

I commi 2, 3 e 4 della legge 183 del 2010 non dettano direttamente una nuova disciplina della decadenza, ma Io fanno in via indiretta, richiamando la disciplina dell’art. 6 legge 604/1966, come modificata dal primo comma della legge 183 (tutti e tre i commi si aprono con il seguente inciso: "Le disposizioni di cui all’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche...."). È allora ragionevole ritenere che lo spostamento della data di entrata in vigore dell’art. 6 cit., come riformulato dalla legge 183/2010, comporta una nuova determinazione anche della data di entrata in vigore della disciplina dettata dai commi 2-4, che quella norma richiamano.

La norma del "mille proroghe" non si limita a prevedere un differimento del termine di entrata in vigore della legge, ma usa un’espressione più radicale, disponendo che quelle norme "acquistano efficacia decorrere dal 31 dicembre 2011". Il legislatore ha in tal modo azzerato i termini maturati in precedenza e alla normativa in questione ha assegnato una nuova data di '‘acquisto di efficacia", abrogando implicitamente con efficacia ex tunc la disposizione previgente in materia di entrata in vigore. Ne consegue che, come affermato da Cass. 2494/2015, anche eventuali decadenze già maturate sulla base del testo originario, dopo questa innovazione voluta dal legislatore, non producono effetti.

A tale quadro ricostruttivo devono aggiungersi ulteriori considerazioni con riferimento specifico ai contratti di lavoro, che si innestano in un contratto commerciale di somministrazione.

Nei commi 3 e 4 dell'art. 32 delta legge 183/2010 cit., il legislatore ha distinto tra le varie tipologie contrattuali, differenziando la disciplina della decorrenza dei termini di decadenza. Per i contratti a termine ha distinto due categorie: quelli "in corso di esecuzione" alla data di entrata in vigore della legge (24 novembre 2010) e quelli conclusi prima della entrata in vigore della legge. Per i primi, i termini di decadenza decorrono dalla scadenza del contratto a termine, per quelli "già conclusi" alla entrata in vigore della legge (cioè stipulati prima ed il cui termine sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge), i termini di decadenza per l’impugnazione decorrono dal 24 novembre 2010. Gli stessi commi invece, con riferimento ad altre situazioni, ed in particolare all’ipotesi della somministrazione irregolare, non prevedono che l’efficacia della innovazione legislativa si estenda anche ai contratti "già conclusi", cioè ai rapporti esauriti, ovvero a quelli per i quali il termine sia già scaduto al 24 novembre 2010 (su questa lettura concorda Corte cost. n. 155/2014, che ha affermato che il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata -quella, appunto, appositiva del termine - non può essere assimilato ad altre figure illecite e che non è irragionevole la scelta legislativa di applicare retroattivamente il più rigoroso e gravoso regime della decadenza alla sola categoria dei contratti a termine già conclusi, lasciando immutato per il passato il più favorevole regime previsto per altre forme contrattuali o atti datoriali, come il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il trasferimento del lavoratore, la cessione del contratto di lavoro in caso di trasferimento d'azienda e la somministrazione di lavoro irregolare).

Nel caso in considerazione, come ammesso anche dalla stessa ricorrente, tutti i contratti, ad eccezione dell’ultimo, erano già conclusi alla data di entrata in vigore della legge 183/2010, con ciò dovendo escludersi l’applicabilità, ai primi, del nuovo regime delle decadenze ivi previsto, laddove l'ultimo contratto, stipulato il 13.12.2010, scaduto il 6.2.2011 e prorogato al 15.5.2011, quindi successivamente alla entrata in vigore della I. 183/2010 in data 24.11.2010, era soggetto al nuovo regime decadenziale. Tuttavia, in base a quanto sopra detto, per la relativa impugnazione deve ritenersi che abbia operato il differimento di efficacia della normativa sulle decadenze previsto dall’art. 2, comma 54, d. I. 225/2010 (31.12.2011), con la conseguenza, che l’impugnativa del 3.11.2011 correttamente è stata ritenuta tempestiva dalla Corte di L’Aquila.

Si propone pertanto il rigetto del ricorso, ai sensi dell’art. 375, n 5, c.p.c.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, 2° comma, c.p.c.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto dello stesso.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società e si liquidano come da dispositivo.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura pari al 15%.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.