Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 febbraio 2016, n. 2505

Tributi - Frode carosello - Recupero dell’IVA sugli acqusiti portata in detrazione, oltre sanzioni - Sentenza di conferma della pretesa tributaria - Errore dei giudici - Responsabilità dei giudici ex Legge n. 18/2015 - Inapplicabilità ai giudizi introdotti prima dell’entrata in vigore della legge

 

Svolgimento del processo

 

1. Nel 2005 vennero notificati alla società (...) s.p.a. tre avvisi di accertamento, con i quali le si contestava l'evasione dell’IVA, dell'IRPEG e dell’ILOR negli anni tra il 2001 ed il 2003.

Alla società (...) s.p.a, venne contestata in particolare, in esito ad accertamenti della Guardia di Finanza, una frode fiscale. Le venne ascritto di avere partecipato (quanto meno colposamente) ad una "frode carosello", avente ad oggetto l'acquisto di autovetture usate dalla (...) per il tramite di intermediari fittizi.

2. La (...) impugnò gli accertamenti dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che li annullò.

La Commissione Tributaria Regionale, adita dall'erario, riformò le decisioni di primo grado e rigettò le opposizioni della contribuente.

La Commissione Tributaria Regionale ritenne che vi fossero indizi dell'esistenza "d'un comportamento globalmente fraudolento nel suo insieme" da parte della (...), la quale in quanto concessionaria di veicoli (...) per una intera provincia non avrebbe avuto alcun bisogno di rivolgersi ad intermediari per l'acquisto di veicoli usati dall'estero.

3. Questa Corte infine, con le sentenze 10167,10168 10169 del 13.3.2015, rigettò i ricorsi proposti dalla (...) avverso le sentenze della Commissione Tributaria Regionale, affermando:

- in facto, che il giudice tributario aveva esaustivamente indicato le ragioni per le quali doveva ritenersi dimostrata la partecipazione della (...) alla frode "carosello", o quanto meno la mancanza di prova della sua buona fede;

- in iure, che chi abbia versato l’IVA in relazione ad acquisti compiuti nell'ambito d'una frode "carosello" non ha diritto di portarla in detrazione; e che tale principio è desumibile dall'art. 17 della Direttiva 77/388.

4. Nel 2012 la (...) propose dinanzi al Tribunale di Perugia una domanda di risarcimento del danno nel confronti dello Stato, ex lege 117/88, assumendo che tanto la decisione della Commissione Tributaria Regionale, quanto quelle della Corte di cassazione, sarebbero state adottate con colpa grave.

Sostenne che gli errori commessi "con colpa grave" sarebbero consistiti:

(a) nell'avere la Commissione Tributarla Regionale (e poi la Cassazione) ritenuto sussistente la prova della mala fede della (...) in assenza di qualsiasi elemento;

(b) nell'avere i suddetti giudici erroneamente escluso la detraibilità dell'IVA pagata dalla (...), dedusse al riguardo che colui il quale abbia pagato l’IVA su acquisti, anche in esecuzione di una "frode carosello", può essere al massimo obbligato a versare l'IVA non assolta dal cedente, ma non gli può essere vietato di portare in detrazione quella pagata: se così non fosse, l'interpretazione del diritto interno sarebbe in contrasto con l'art. 17, par. 2, lettera (a) della direttiva 77/388 (oggi art. 168 lettera (a), Direttiva 112/2006);

(c) nell'avere i suddetti giudici escluso l'illegittimità del provvedimento con cui alla (...) era stato ingiunto di pagare una sanzione amministrativa di 1 milione di euro, "dì natura concretamente penale", nonostante i suoi amministratori fossero stati assolti in sede penale dalla imputazione di frode fiscale, per i medesimi fatti esaminati dal giudice civile.

5. Con decreto 5.2.2015 il Tribunale di Perugia dichiarò Inammissibile il ricorso, ed il reclamo avverso tale decreto fu respinto dalla Corte d'appello di Perugia con decreto 22.5.2015.

Con tale provvedimento la Corte d'appello di Perugia ritenne che;

-) la condotta illecita ascritta dal ricorrente alla Corte di cassazione era consistita, secondo la prospettazione della ricorrente, nella valutazione di fatti (le prove della mala fede del contribuente) e nella interpretazione di norme: attività che non possono mai dar luogo a responsabilità dello Stato per il fatto del magistrato;

-) la domanda di risarcimento del danno sarebbe stata "lesiva del giudicato", perché costringerebbe il giudice della responsabilità a riesaminare nel merito la decisione pronunciata al termine della lite tra contribuente ed erario;

-) la I. 117/88 non consente di affermare la responsabilità del giudice nemmeno nel caso di violazione del diritto comunitario (p. 5, rigo 3 e ss.);

-) la ricorrente in ogni caso non aveva indicato le norme violate.

6. Il decreto delta Corte d'appello di Perugia è stato impugnato per cassazione dalla (...) sulla base dì cinque motivi, illustrati da memoria.

Ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, depositando anch'essa memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Questioni preliminari.

1.1. Va esaminata per prima, al sensi dell'art. 276, comma 2, c.p.c., la deduzione con la quale la (...) ha sostenuto che la sopravvenuta abrogazione dell'art. 5 I. 117/88 e dei filtro di ammissibilità ivi previsto (ad opera della I. 27.2.2015 n. 18), comporterebbe la necessità per questa Corte di astenersi dal giudicare sul presente ricorso, e disporre la restituzione degli atti ai Tribunale di Perugia, perché esamini il merito della questione.

Ha altresì dedotto la (...) che, ove si ritenesse inapplicabile la novella di cui alla I. 18/15 al giudizi già pendente, si dovrebbe sollevare questione dì legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 24 cost., dell'art. 5 I. 117/88: ciò sul presupposto che le domande di risarcimento proposte dopo la riforma non sono più soggette al filtro di ammissibilità, e questo creerebbe una disparità di trattamento costituzionalmente illegittima.

1.2. Ambedue le richieste appena riassunte sono manifestamente infondate. La I. 27.2.2015 n. 18 ha modificato la I. 13.4.1988 n. 117, abrogandone tra l'altro l'art. 5, che prevedeva un preliminare giudizio di ammissibilità sulla domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti dello Stato, e fondata su un illecito commesso dai magistrato.

Poiché la I. 18/15 non contiene alcuna norma di diritto transitorio, essa non ha efficacia retroattiva, in virtù dei generale principio di cui all'art. 11, comma 1, c.c.

Ne consegue che i giudizi, come il presente, Introdotti prima del 19.3.2015, restano soggetti al vaglio preliminare di ammissibilità.

1.3. La soppressione non retroattiva del vaglio preliminare di ammissibilità, di cui all'art. 5 I. 117/88, non viola alcun precetto costituzionale, sicché è da ritenere manifestamente infondato il sospetto in tal senso formulato dalla ricorrente.

Da molti anni, infetti, costituisce jus receptum nella giurisprudenza costituzionale l'affermazione dei seguenti principi:

-) l'uguaglianza di cui all'art. 3 cost. non consiste in un assoluto livellamento di posizioni anche eterogenee;

-) è facoltà del legislatore (il cui esercizio, pertanto, è insindacabile) disciplinare nei modo che ritiene più opportuno la successione di leggi nei tempo (ex multis, Corte cost., 04-07-2013, n. 170; Corte cost., 05-04-2012, n. 78), salvo il limite della irragionevolezza manifesta e della lesione dell'andamento incolpevole dei cittadini: limiti che, nei caso di specie, non vengono nemmeno in rilievo.

2. Il primo motivo di ricorso.

2.1. Coi primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, In particolare, la violazione degli artt. 135 c.p.c.e 4, comma 4, I. 117/88); sia da un vizio di nullità processuale, ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c.

Si deduce, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe adottato una motivazione che è nello stesso tempo:

-) nulla, perché non pertinente rispetto alle questioni ad essa sottoposte;

-) in ogni caso erronea nel merito.

2.2. Nella Illustrazione del motivo, la ricorrente spiega che la nullità investirebbe le parti di motivazione in cui la Corte d'appello ha ritenuto che:

- col ricorso ex lege 117/88 si "violerebbe il giudicato" ove si sindacasse nel merito la decisione giudiziaria che si assume dannosa;

- la Corte di cassazione non era in colpa perché la sua decisione era conforme ai precedenti (argomento non decisivo, ad avviso delta ricorrente, posto che un errore non cessa di essere tale per il solo fatto di essere stato già commesso);

- ha citato precedenti giudiziari inconferenti;

- ha escluso che la Corte di cassazione possa essere chiamata a rispondere dei danni causati attraverso la pronuncia di decisioni violative del diritto comunitario.

2.3. Soggiunge, poi, che la decisione della Corte d'appello sarebbe erronea nella parte in cui si è ritenuto insindacabile l'operato della Corte di cassazione, perché frutto di "attività interpretativa", non considerando che anche quest'ultima può essere fonte di responsabilità se si traduca in una manifesta violazione del diritto comunitario.

2.4. Ritiene questa Corte che le doglianze della ricorrente siano fondate; ma che nondimeno il giudizio di inammissibilità della domanda di risarcimento del danno, previa nuova valutazione di merito, vada confermato.

2.5. Nei giudizio dì ammissibilità della domanda proposta ex art. 5 l. 117/88 il Tribunale deve verificare:

(a) se la domanda è stata proposta nei termini;

(b) se a fondamento della domanda sono allegate condotte rientranti tra quelle previste dall'art. 3 l. 117/88 (e dunque la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti dei procedimento);

(c) se sono state esaurite le vie di ricorso interne;

(d) se la domanda non appaia manifestamente infondata.

A nessuna di queste questioni la Corte d'appello di Perugia ha dato risposta. In particolare, essa non ha spiegato:

- perché mai la .Commissione Tributaria Regionale e la Cassazione non potessero ritenersi "gravemente negligenti" nei negare la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti della buona fede della (...);

- perché la Commissione Tributaria Regionale e la Cassazione non potessero ritenersi "inescusabilmente colpevoli" allorché ritennero che non collida col diritto comunitario il principio, da esse applicato, secondo cui chi partecipa ad una frode carosello non ha diritto a portare in detrazione l’IVA sugli acquisti "fittizi", nemmeno se sia stata effettivamente pagata.

La Corte d'appello di Perugia infatti ha fondato la propria decisione su tre assunti:

(a) che "il complesso indiziario ritenuto sufficiente nella pronuncia della Suprema Corte, al fine di ritenere provata l'esistenza d'una frode, è stata [sic] fondata su presunzioni gravi, precise e concordanti" (così il decreto impugnato, p. 4, 1° capoverso);

(b) che il reclamo era infondato perché verteva su "fatti connessi con fa mancata applicazione del diritto comunitario da parte del Giudice di ultima istanza" (ivi, 4° capoverso);

(c) che la responsabilità dello Stato per la mancata applicazione dei diritto comunitario da parte dei giudice nazionale può sorgere solo quando questi violi le disposizioni dei Trattati istitutivi dell'Unione, non quando violi norme contenute in una Direttiva (ibidem, p. 5, 2° capoverso).

Le prime due di tali affermazioni sono, tuttavia, sprovviste di qualsiasi rinvio agli atti ed ai documenti di causa, e si risolvono in mere clausole di stile.

La terza affermazione è manifestamente erronea, alla luce delle decisioni della Corte di Lussemburgo, con le quali si è stabilito che il giudice nazionale ha l'obbligo di interpretare le norme interne in modo conforme al diritto comunitario, e che qualsiasi diversa decisione esporrebbe io Stato di appartenenza del giudice che l'ha pronunciata a responsabilità aquiliana per mancata applicazione del diritto comunitario (C. Giustizia UE, 24-11-2011, in causa C-379/10, Commissione c. Italia; in precedenza peraltro si era già pronunciata in tal senso C. Giustizia CE, 13-6-2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo).

2.6. Rilevata dunque l'erroneità in diritto e l'insufficienza motivazionale del decreto impugnato, spetta a questa Corte formulare il giudizio di ammissibilità del ricorso proposto dalla (...), ai sensi dell'art. 5, comma 4, I. 117/88 nel testo applicabile ratione temporis (Sez. 3, Sentenza n. 9910 del 05/05/2011, Rv. 617821).

Questo giudizio deve essere negativo.

La (...), infatti, lamenta in sostanza due condotte colpose da parte dei giudici che hanno esaminato il suo caso:

(a) avere ritenuto sussistente la sua mala fede in totale assenza di prove in tal senso;

(b) avere ritenuto conforme ai diritto comunitario il principio per cui chi partecipa alla "frode carosello" non può mai portare in detrazione l'IVA versata al momento dell'acquisto.

2.7. La domanda di risarcimento per il fatto (a) va dichiarata inammissibile perché ha ad oggetto una valutazione di fatto. Né emerge che la mala fede della (...) fosse "incontrastabilmente esclusa dagli atti". Tanto la Commissione Tributaria Regionale, quanto la Corte di cassazione, infetti, nei respingere l'impugnazione avverso gli avvisi di accertamento hanno rilevato come:

- gli intermediari cui la (...) si era rivolta per l'acquisto di vetture non avevano né le strutture commerciali, né la capacità economica sufficienti per lo svolgimento di un effettivo ruolo di Intermediazione;

- l'attività svolta dalla (...) per dimensioni, diffusione e qualità dell'impresa, era tate da rendere inspiegabile il ricorso ad intermediari;

- nessun'altra spiegazione, ad eccezione dell'intento elusivo, poteva spiegare il ricorso della (...) ad acquisti per il tramite di intermediari.

Il riferimento alle dimensioni (cospicue) della (...); quello alle dimensioni (minuscole) degli intermediari; quello alla inspiegabilità altrimenti delle operazioni contestate alla (...), costituiscono fatti oggettivi e giudizi plausibili. L'avere pertanto la Commissione Tributaria (e poi la Cotte di cassazione) utilizzati i primi ed applicato i secondi impedisce di ritenere "incontrastabilmente esclusa dagli atti" la mala fede o la colpa grave della (...) e di conseguenza impediscono di ritenere viziato da colpa grave il rigetto dell'opposizione all'avviso di accertamento.

2.8. La domanda di risarcimento per presunta contrarietà al diritto comunitario delle decisioni di questa Corte e dei giudice tributario va dichiarata inammissibile perché manifestamente infondata.

La questione, Infatti, è stata affrontata e definitivamente risolta dalla CGUE, la quale ha stabilito:

"la sesta direttiva 77/388/CEE, deI Consiglio, del 17 maggio 1977 (...) deve essere interpretata nei senso che spetta alte autorità e ai giudici nazionali opporre a un soggetto passivo, nell'ambito di una cessione intracomunitaria, un diniego del beneficio dei diritti a detrazione, a esenzione o a rimborso dell'imposta sui valore aggiunto, anche in assenza di disposizioni di diritto nazionale che prevedano un siffatto diniego. se è dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tate soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare, tramite l'operazione invocata a fondamento del diritto di cui trattasi, a un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto commessa nell'ambito di una catena di cessioni.

La sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 95/7, deve essere interpretata nel senso che un soggetto passivo, che sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare, tramite l'operazione Invocata a fondamento del diritti a detrazione, a esenzione o a rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, a un'evasione dell’imposta sul valore aggiunto commessa nell'ambito di una catena di cessioni, può vedersi rifiutare il beneficio di tali diritti, nonostante il fatto che detta evasione sia stata commessa in uno Stato membro diverso da quello In cui tale beneficio è stato richiesto e che lo stesso soggetto passivo abbia, in quest'ultimo Stato membro, rispettato le condizioni formali previste dalla normativa nazionale per poter beneficiare di tali diritti".

(Corte giust. UE, 18.12.2014, in causa C-131/2013 ed altre, Staatssecretarls van Financien).

Giudice tributarlo e Corte di cassazione, negando alla (...) li diritto alla detrazione, hanno adottato dunque una decisione niente affatto contraria ai diritto comunitario, il quale lascia ai diritto nazionale ed ai giudici nazionali il compito di stabilire se l'ordinamento interno consenta o meno "il diniego del beneficio dei diritti a detrazione".

3. I motivi di ricorso dal secondo al quarto.

3.1. Con i motivi di ricorso dal secondo ai quarto la (...) denuncia il vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c..

Formula in essi censure che possono essere esaminate congiuntamente, così riassumibili :

(a) la Corte d'appello ha violato l'art. 6 CEDU, perché con la sua motivazione (la quale, secondo l'Interpretazione che ne dà la ricorrente, non ammetterebbe in nessun caso la responsabilità dei magistrato per una erronea decisione) di fatto rende impossibile l'azione di responsabilità;

(b) ha violato l'art. 11 cost., perché non ha dato attuazione al diritto comunitario;

(c) ha violato l'art. 112 c.p.c., perché non si è pronunciata su tutte le ragioni per le quali la (...) aveva invocato la responsabilità dello Stato per li fatto del magistrato.

3.2. Tutti e tre i motivi sono assorbiti dall'accoglimento dei primo motivo di ricorso, con decisione nei merito.

4. Il quinto motivo di ricorso.

4.1. Col quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c.

Si lamenta, in particolare, la violazione dell'art. 91 c.p.c.

Si deduce, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe violato l'art. 91 c.p.c., perché ha condannato la ricorrente alle spese, sebbene l'avvocatura non le avesse sostenute.

Con lo stesso motivo, sotto altro profilo, si deduce che la Corte d'appello avrebbe erroneamente "condannato" la ricorrente al pagamento del doppio dei contributo unificato, ex art. 13, comma 1 - quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, sebbene il procedimento di cui alla I. 117/88 non fosse soggetto a tale previsione.

4.2. La doglianza, in tutti e due i suoi profili, resterebbe in teoria assorbita dalla cassazione del decreto Impugnato, con decisione nel merito: esito che travolge le statuizioni sulle spese contenute nella decisione cassata. Tuttavia, dovendo questa Corte, nel caso di cassazione della decisione impugnata con decisione nel merito, provvedere anche sulle spese dei precedente grado di giudizio, deve rilevarsi come la pretesa della ricorrente - secondo cui, in sostanza, la soccombenza in giudizio nei confronti di un ente pubblico difeso dai l'Avvocatura dello Stato non potrebbe mai comportare alcun esborso per spese legali a carico del soccombente - è manifestamente infondata.

Essa infatti cozza contro la chiara lettera dell'art. 21, comma 2, r.d. 30.10.1933 n. 1611, secondo cui "le competenze di avvocato e di procuratore per la difesa e la rappresentanza delle amministrazioni dello Stato sono riscosse in confronto della controparte quando siano state poste a suo carico per effetto di sentenza

4.3. Per quanto attiene li pagamento del contributo unificato, deve in primo luogo ricordarsi che la relativa statuizione non costituisce una "condanna" In senso tecnico: questa Corte ha infatti già stabilito che la previsione di cui all'art. 13, coma 1 quater, d.p.r. 115/02 attribuisce al giudice il limitato compiuto di dare atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio del contributo unificato, senza alcuna valutazione discrezionale (ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 12928 del 9.6.2014).

4.4. Nel caso di specie, I presupposti per il pagamento del doppio del contributo unificato debbono ritenersi sussistenti.

Stabilisce, infatti, l'art. 15 della I. 117/88 che nei giudizi aventi ad oggetto fa responsabilità dello Stato per il fatto del magistrato "si osserva, in quanto applicabile, l'articolo unico, della legge 2 aprile 1958, n. 319". E tale norma in effetti esonera i giudizi ivi previsti "dalla imposta di. bollo e di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura".

In seguito tuttavia l’art. 1, comma 212, della legge finanziaria 2009 (I. 23.12.2009 n. 191), ha aggiunto un comma 6 bis all'art. 10 del testo unico sulle spese di giustizia (d.p.r. 115/02), nel quale si stabiliva che "nelle controversie di cui all'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319 (...) e in quelle in cui si applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione".

Due anni dopo, l'art. 37, comma 6, del d.l. 06/07/2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) modificò ulteriormente l’art. 10, comma 6 bis, sopprimendo le parole "per i processi dinanzi alla Corte di cassazione".

Per effetto delle due novelle del 2009 e del 2011, l'art. 10, comma 6 bis, d.p.r. 115/02 attualmente recita: "nelle controversie di cui all'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, (...) e in quelle in cui sì applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato".

Poiché, dunque, ai presente giudizio si applica la I. 319/58, resta dovuto il contributo unificato.

4.5. Ciò posto in iure, si rileva in facto che nei caso di specie:

- sussistono I presupposti per il raddoppio del contributo unificato rispetto al reclamo avverso il decreto di inammissibilità pronunciato dal Tribunale;

- non sussistono I presupposti per il raddoppio del contributo unificato rispetto ai presente grado di giudizio.

4.5.1. Nei presente grado di giudizio, infatti, l'impugnazione non può dirsi né "integralmente rigettata", né dichiarata inammissibile. Ad essere dichiarata inammissibile infatti è stata la domanda originaria, non l'impugnazione. Quest'ultima, per quanto detto, è stata invece accolta, e la decisione impugnata cassata con decisione nei merito.

4.5.2. Altrettanto non può dirsi per il giudizio di secondo grado: il reclamo avverso il decreto del Tribunale infatti si sarebbe comunque dovuto dichiarare inammissibile, e le mende motivazionali e giuridiche della decisione della Corte d'appello non fanno venir meno, ai fini di cui qui si discorre, l'inammissibilità della prima impugnazione.

5. Le spese.

Le spese del presente grado di giudizio e quelle del giudizio dinanzi la Corte d'appello vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 2, c.p.c., e sono liquidate nei dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Visto l'art 380 c.p.c.:

-) accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato;

-) decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda di risarcimento proposta dalla (...) s.p.a. nei confronti della Presidenza del Consiglio del Ministri;

-) condanna (...) s.p.a. alla rifusione in favore di Presidenza del Consiglio dei Ministri delle spese dell'intero giudizio, che si liquidano nella somma di euro 25.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

(-) dà atto che rispetto al presente grado di giudizio non sussistono ì presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di (...) s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione;

{-) dà atto che rispetto al secondo grado di giudizio sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di (...) s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'Impugnazione.