Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 febbraio 2016, n. 2277

Tributi - IVA - Condono fiscale - Proroga biennale dei termini di accertamento ai sensi dell’art. 10, L. n. 289/2000 - Inapplicabilità del condono all’IVA - Esclusione della proroga biennale

 

Svolgimento del processo

 

La società S. s.r.l. (successivamente incorporata nella H.G. spa poi H.A. spa) presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso l’avviso di accertamento n. RC0030500800, a lei notificato il 14 settembre 2007 con cui l’Agenzia delle Entrate - Ufficio di Roma 5, procedeva a rettifica della dichiarazione IVA presentata dalla contribuente per l’anno 2001. L’Ufficio contestava il credito Iva di euro 248.825,32 con richiesta di rimborso esposto dalla contribuente sostenendo che la S. s.r.l. esercitava il gioco del bingo cioè un’attività esente da IVA ai sensi dell’art. 10 D.P.R. n. 633/73 e dunque non aveva diritto a recuperare l’IVA versata sugli acquisti e sulle spese operate. L’ufficio applicava anche sanzioni per € 311.031,65.

La ricorrente eccepiva , in primo luogo, la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertamento in quanto la proroga di due anni disposta all’art. 10 l. n. 289/2002 dei termini cui all' articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 non era da ritenersi più sussistente dopo che la Corte di Giustizia Europea aveva dichiarato incompatibili le norme del condono IVA con la normativa europea.

Deduceva inoltre che nell’anno 2001 la società, appena costituita, aveva sostenuto ingenti costi per la realizzazione della sede destinata all’esercizio di attività commerciali e di impresa ancora non definite. E solo con il, non scontato, conseguimento, in data 26 settembre 2002, della licenza per l’esercizio del gioco aveva potuto procedere alla destinazione della sede a tale attività (esente da Iva). Sosteneva quindi che le operazioni compiute nel 2001 erano soggette alla normale disciplina della rivalsa Iva.

Rilevava altresì una duplicazione dell’imposta come conseguenza della richiesta di pagamento di euro 248.825,32, dato che il rimborso era stato negato e la società non aveva mai utilizzato il credito in compensazione con il mod. F24; deduceva in limine carenza di motivazione dell’avviso e l’illegittimità delle sanzioni applicate date le obiettive condizioni di incertezza nell’applicazione delle norme, e la assenza di pregiudizio per l’erario.

L’Ufficio si costituiva in giudizio, e chiedeva il rigetto del ricorso, con vittoria di spese; in particolare sosteneva che la società era stata costituita per svolgere attività esente dall’Iva ai sensi dell’art. 10, 1 Co. n.6) D.P.R. n. 633/1972, e che, quindi, nel 2001, avrebbe dovuto astenersi dall’operare la detrazione dell’imposta sugli acquisti facendo emergere il credito di euro 248.825, 32 di cui aveva chiesto il rimborso.

La Commissione Provinciale, con la sentenza n. 228/41/09, depositata 23 giugno 2009, rigettava il ricorso; la sentenza di primo grado veniva confermata dalla pronuncia 16 febbraio 2011 n. 91/29/11 della Commissione Tributaria Regionale di Roma che così motivava:

L’appello è infondato e viene rigettato; la richiesta dell’Amministrazione Finanziaria deve ritenersi pertanto del tutto legittima.

L’odierno Collegio ritiene che il giudice di primo grado abbia correttamente motivato in ordine ad ogni singola censura mossa e che quindi non vi siano ragioni per addivenire ad una diversa decisione del caso di specie.

Si consideri, in particolare, che, relativamente alla questione della proroga di cui all’art. 10 della L. n. 289/2000, la Corte di Giustizia Europea non ha detto alcunché, ma che, in virtù del principio della neutralità dell’IVA per tutti gli stati membri dell’Unione Europea, occorre ritenere necessariamente ammissibile la proroga peraltro, la Corte Costituzionale, sul medesimo tema, ha sempre dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale relativamente alla proroga dei termini per l’accertamento nei confronti di chi non aderisca al condono.

Occorre analizzare inoltre, il D.P.R. n. 633/1972 che sancisce il diritto alla detrazione, a favore del contribuente, per tutti i beni e servizi acquistati nell’esercizio di impresa, arte o professione (art. 19, 1 Co.), ma afferma anche che il diritto alla detrazione non compete relativamente ai beni ed ai servizi che vengono utilizzati per realizzare operazioni esenti o comunque non soggette ad imposta o escluse dal suo campo di applicazione (art. 19.11 co.), il che è nel caso di specie.

Ciò che rileva è il fatto che i beni o servizi siano destinati ad essere utilizzati in operazioni che danno o meno diritto a detrazione e che l’attività delle sale bingo è attività esente Iva ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972.

Il contribuente ha quindi operato del tutto illegittimamente computando in detrazione l’IVA assolta sugli acquisti e chiedendo il rimborso del credito evidenziato.

Ai sensi del combinato disposto dagli artt. 10 e 19, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, occorre ritenere che il recupero a tassazione dell’IVA illegittimamente ed indebitamente detratta, è assolutamente regolare.

Si noti inoltre che non può trovare applicazione in tema di attività esente l’art 19 bis 2 del D.P.R. n. 633/1972.

Da quanto affermato ed alla luce, in particolare, dell’art. 19, secondo comma, D.P.R. n. 633/1972, si evince che non vi è alcuna incertezza volta a ritenere non dovuta la sanzione.

La H.G. spa ricorre per Cassazione avverso la sentenza sopra riportata sei motivi che di seguito si espongono.

Resiste la Amministrazione con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

È fondato ed assorbente il primo motivo di ricorso con cui la contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’ art. 10 della legge 289/2002 e conseguentemente dell' articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 360, primo comma n. 3 c.p.c.).

Invero non vi è dubbio che la contribuente ha bensì esposto un credito Iva di euro 248.825,32, ma tale credito non è stato mai utilizzato né attraverso un rimborso, né attraverso la compensazione con debiti nei confronti della Amministrazione.

Dunque oggetto della controversia è la spettanza di tale rimborso; questione del tutto e radicalmente al di fuori dell’ambito della sanatoria di cui alla legge 289/2002 e perciò anche della disposizione dell’art. 10 della legge 289/2002 secondo cui "per i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni recate dagli articoli da 7 a 9 della presente legge, in deroga alle disposizioni dell'articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, i termini di cui all' articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono prorogati di due anni".

Ritiene il Collegio che con le parole "che non si avvalgono" il legislatore abbia inteso collegare la proroga del termine alla riconducibilità almeno astratta della questione nell’ambito del condono.

Di ciò vi è conferma nella sentenza delle Sezioni Unite 3676/2010, che hanno dato atto che il venir meno della disposizione che rendeva condonabili talune pratiche IVA disposto dalla sentenza della Corte Europea 17 luglio 2008 in causa C-132/06 avrebbe comportato in molte ipotesi, il venir meno per decadenza del potere di accertamento dell’Amministrazione. Hanno però evitato simile esito paradossale che avrebbe comportato il venir meno della riscossione dell’IVA, che il giudice europeo voleva invece salvaguardare, facendo ricorso al principio dell’affidamento.

Le sezioni Unite hanno cioè dato atto che la sentenza europea avrebbe, in base ai principi della logica giuridica, determinato anche il venir meno della proroga di cui all’art. 10, ma hanno valorizzato la circostanza che la Amministrazione aveva legittimamente fatto affidamento su tale proroga.

Nel caso di specie però, la questione sollevata con la esposizione del credito di imposta (mai utilizzato od incassato) non era ab origine e per natura sua soggetta a condono, e quindi era strutturalmente esclusa dalla proroga dei termini dell’accertamento.

E’ infatti pacifico che la sanatoria non coinvolge e non ha mai coinvolto le questioni ove la liquidazione automatica del rapporto tributario comporterebbe il riconoscimento di un credito a favore del contribuente, ma solo rapporti in cui la Amministrazione vanta o potrebbe vantare un credito, e quindi la sanatoria comporta un incasso, sia pur parziale e ridotto per l'erario.

Solo in alcuni casi eccezionali, per venire incontro alle esigenze di aree geografiche colpite da calamità, il legislatore ha previsto la restituzione di imposte già riscosse a titolo di tributo. Ma si tratta appunto di eccezioni ininfluenti nella presente causa.

Dunque non vi è luogo ad alcuna applicazione del principio dell’affidamento. Posto che non vi è stata alcuna modifica del quadro giuridico di riferimento.

Né può essere qui invocato l’indirizzo giurisprudenziale (Cass., sez. trib., 23 luglio 2010, n. 17395; 29 ottobre 2014, n. 22921) secondo cui " posto che la legge concede proroga all'ufficio per l'accertamento nei confronti dei contribuenti "che non si avvalgono" dei benefici recati dalle suddette disposizioni di favore, all'interprete non è lecito distinguere fra soggetti che non intendono e soggetti che non possono avvalersene, poiché l'espressione "non avvalersi", secondo il significato proprio delle parole (art. 12 preleggi), descrive ugualmente gli atteggiamenti di chi non voglia e di chi non possa accedere al beneficio indicato, non essendo specificata nella legge alcuna riserva".

Tale giurisprudenza prende infatti in considerazioni ipotesi in cui la potenziale materia del contendere rientrava nell’ambito del condono, ma ne era esclusa per una specifica caratteristica (quale la avvenuta notifica , prima della data di entrata in vigore della legge di un processo verbale di constatazione con esito positivo). E quindi la applicazione o non applicazione del condono discendeva da particolari attività amministrative, fermo restando che le norma di condono attribuivano al contribuente la astratta possibilità di avvalersi della definizione agevolata.

Del resto, la lettera e la formulazione letterale del citato art. 10 escludono che la proroga si applichi al di fuori delle ipotesi contemplate dalla legge di condono. Il riferimento ai contribuenti "che non si avvalgono" del condono presuppone una sia pur astratta possibilità di avvalersi del condono stesso. Mentre la prospettazione della proroga ha l’evidente scopo di sollecitare il contribuente all’accesso alla procedura compositiva.

Se l’obbiettivo del legislatore fosse la proroga di tutti termini temporali di decadenza dal potere di accertamento, era semplice e lineare stabilire direttamente che tali termini erano prorogati senza collegare tale proroga al mancato accesso alle procedure di sanatoria.

È possibile la decisione nel merito della controversa, poiché la Commissione di secondo grado ha constatato come sia pacifico dagli atti di causa che l’accertamento relativo all’imposta dell’anno 2001 avrebbe dovuto essere notificato entro e non oltre il 31/12/2006 mentre la notifica è avvenuta soltanto in data 14/09/2007. E ha rigettato l’appello della contribuente soltanto perché ha ritenuto il termine di cui all'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, fosse stato prorogato dall’art. 10 della legge 289/2002.

La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese della fase di merito; le spese del giudizio di legittimità vengono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri, e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo del contribuente. Condanna la resistente alle spese per che liquida in € 15.000 oltre al rimborso al ricorrente del contributo unificato.