Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 febbraio 2016, n. 2097

Tributi - Imposta di successione - Tardiva presentazione della denuncia - Sanzioni

 

Svolgimento del processo

 

La controversia riguarda l’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione, al fine del recupero della somma residua di € 13.509,91, non versata dai coeredi, odierni ricorrenti, a seguito dell’avviso dì liquidazione dell’imposta principale e sanzioni, per la tardiva presentazione della denuncia di successione, relativamente all’asse ereditario di M. F., dante causa dei contribuenti.

La Ctp accoglieva il ricorso, annullando gli avvisi di liquidazione opposti, per carenza del presupposto impositivo, risultando tempestivamente presentate sia la dichiarazione di accettazione dell’eredità che quella di successione, in presenza di un minore, attesa la necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare e della formazione dell’inventario, ex art. 489 c.c.

L’ufficio ha proposto appello, evidenziando come l’avviso di liquidazione oggetto d’impugnazione (per imposta principale di successione e relative sanzioni e per tardiva presentazione della denuncia di successione stessa) non era stato opposto e, pertanto, si è reso definitivo e la parte aveva pagato l’imposta e le sanzioni ridotte a un quarto. Nel costituirsi in appello, i contribuenti hanno sostenuto di aver rispettato i termini per la presentazione della denuncia di successione, ex art. 31 secondo comma lett. d) d.lgs. n. 346/1990, in presenza di un erede minore di età e chiedevano il rigetto dell’appello.

La CTR accoglieva l’appello dell’ufficio, perché l’avviso non era stato impugnato nei termini e si era reso definitivo.

I contribuenti hanno presentato ricorso davanti a questa Corte di Cassazione, sulla base di quattro motivi, resiste l’ufficio con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano il vizio di omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione, della sentenza impugnata, circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., in quanto la CTR non avrebbe ribadito la estromissione dal giudizio di M. A., stante la carenza di legittimazione passiva, in quanto non destinatario dell’avviso di liquidazione. Aggiungono i ricorrenti che siffatto punto della decisione di primo grado non sarebbe stato oggetto di gravame in appello e, pertanto, doveva considerarsi coperto dal giudicato.

II motivo è inammissibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, difetta di autosufficienza, in quanto non è riportata la sentenza di primo grado dove sarebbe stata disposta la citata estromissione e, poiché tale profilo non è stato oggetto di gravame, questa Corte non è messa in grado di poter conoscere la censura e, in ogni caso, non è possibile verificare se M. A. sia o meno destinatario dell’avviso di accertamento oggetto d’impugnazione, in quanto tale avviso non è stato trascritto nel motivo di ricorso; il motivo è, in secondo luogo, inammissibile, in quanto la questione dell’estromissione non è oggetto di censura, ma solo di puntualizzazione, pertanto, non traspare l’interesse della parte a sollevare questioni in merito.

Con il secondo, terzo e quarto motivo di censura, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto trattasi, in effetti, di un unico articolato motivo di ricorso, i ricorrenti censurano la sentenza, sia sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., che sotto il profilo della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., in quanto la motivazione contenuta nell’avviso di liquidazione posta a giustificazione del recupero impositivo, sarebbe a loro avviso illegittima, perché l’ufficio avrebbe applicato la riduzione a un sesto delle sanzioni, irrogate ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 471/97, per come previsto dall’art. 13 comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 472/97 (nella formulazione vigente ratione temporis), laddove, invece, l’art. 50 del d.lgs. n. 346/90, non contempla più la fattispecie di tardiva presentazione della denuncia di successione, ma solo la fattispecie di omessa presentazione; l'illegittimità deriverebbe dal principio che nessuno può essere sanzionato, per un fatto che non costituisce violazione punibile (ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 472/97); inoltre, la tardiva presentazione della denuncia di successione non poteva, comunque, essere sanzionata, in quanto tra i coeredi vi era un erede minore, che poteva beneficiare del termine di cui all’art. 31 secondo comma lett. d) del d.lgs. n. 346/90, cioè, sei mesi {ratione temporis) dalla redazione dell’inventario; infine, in riferimento alla pretesa definitività dell’avviso di liquidazione oggetto d’impugnazione, i ricorrenti hanno inteso precisare che con il presente giudizio si sono opposti alla ritenuta tardività della denuncia di successione, chiedendo il rimborso di tutte le sanzioni irrogate, laddove il giudizio instaurato dai ricorrenti a seguito del silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate di Messina e conclusosi con la sentenza 33/26/09, non poteva ritenersi connesso con quello odierno, che scaturisce dalla notifica dell’avviso di liquidazione per € 13.509,91, per erronea applicazione della riduzione a 1/4 delle sanzioni, che era stata già accordata.

Il motivo non è autosufficiente sotto diversi punti di vista né individua il fatto decisivo, oggetto di ima motivazione errata o insufficiente.

In riferimento al "quesito di fatto", mancano tutti i riferimenti temporali, di quando si è aperta la successione, qual era il termine originario per presentare la denuncia di successione, quando la denuncia di successione è stata effettivamente presentata, chi è il minore fra i ricorrenti (o chi lo rappresenta), quando quest’ultimo avrebbe accettato con beneficio d’inventario e quando è stata completata la redazione dell’inventario; tali carenze non consentono di poter esaminare la doglianza circa la tardività della denuncia di successione, e, quindi, verificare l’eventuale violazione da parte della CTR, della norma di cui all’art. 31 d.lgs. n. 346/90. Neppure la doglianza sulla non definitività dell’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio può essere esaminata, poiché i ricorrenti, a questo proposito, hanno inteso distinguere l’oggetto del presente giudizio, da quello instaurato avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate di Messina, e sfociato nella sentenza n. 33/26/2009 che non è stato, in alcun modo, documentato né trascritto nel ricorso, né alcuna indicazione è stata fornita in merito a tale impugnazione e dell’esito di tale ipotetico giudizio; infine, con riferimento alla censura sulle sanzioni irrogate con l’avviso di liquidazione, quest’ultimo non è stato riportato né trascritto, né è stata fornita l’indicazione toponomastica relativa alla collocazione del documento nel giudizio di merito; in ogni caso, nel merito di quest’ultima censura, la riformulazione dell’art. 50 del DPR 346/90, in merito alla tardiva presentazione della denuncia di successione ha lasciato, in ogni caso, sopravvivere la norma di cui all’art. 13 comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 472/97, in tema di riduzione delle sanzioni per il tardivo versamento in acconto o a saldo delle imposte, tutt’ora pienamente vigente.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanno i ricorrenti in solido a rifondere all’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore in carica le spese di lite che si quantificano in € 2.500,00, oltre accessori di legge.