Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 febbraio 2016, n. 2106

Tributi - Agevolazioni fiscali ex artt. 1 e 2 legge 604/54 - Piccola proprietà contadina - Requisiti soggettivi di coltivatore diretto - Attività di lavorazione manuale della terra - Prevalenza dell'attività propria e dei partecipanti familiari

 

Svolgimento del giudizio

 

G.G. propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 123/64 dell'8 giugno 2010 con la quale la Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione distaccata di Brescia, ha affermato - a conferma della prima decisione - la legittimità dell'avviso di liquidazione n. 20051T001443000 notificatole dall'Agenzia delle Entrate di Lonato a seguito di ritenuta insussistenza dei benefici per imposta di registro, ipotecaria e catastale previsti, a tutela della piccola proprietà contadina, dagli artt. 1 e 2 legge 604/54; ciò con riferimento all'acquisto 27 maggio 2005 di terreni agricoli asseritamente non destinati a coltivazione diretta della G. stessa.

Al ricorso, articolato in due motivi, resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate. Nessuna attività difensiva è stata posta in essere in questa sede dalla provincia di Brescia, parte anch'essa del giudizio. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cpc, con allegata l'attestazione del Settore Agricoltura della Provincia di Brescia in data 22.8.11 (successiva alla proposizione del ricorso), relativa alla ritenuta sussistenza dei presupposti dell'agevolazione in contestazione.

 

Motivi della decisione

 

1.1 Con il primo motivo di ricorso la G. lamenta carenza e contraddittorietà di motivazione nonché violazione degli articoli 1 e 2 legge 604/54; per avere la commissione tributaria regionale - chiamata a valutare la fattispecie indipendentemente dal provvedimento con il quale la provincia di Brescia aveva inizialmente disatteso la sua domanda di rilascio dell'attestazione di sussistenza dei requisiti per le agevolazioni fiscali in oggetto - affermato, da un lato, la necessità di accertare i requisiti soggettivi di coltivatore diretto in capo al contribuente, ed abbandonato, dall'altro, l'analisi di tale dato soggettivo, omettendo di considerare tutti i parametri comprovanti l'esclusività, o assoluta prevalenza, dell'attività di coltivatrice diretta svolta da essa ricorrente, in una con l'assenza di ulteriori e diverse fonti di reddito.

1.2 Il motivo non può trovare accoglimento, risultando finanche inammissibile sia nelle modalità della sua formulazione (connotata dalla deduzione cumulativa e coacervata di censure di natura tanto motivazionale quanto di violazione di legge sostanziale), sia nel suo palese intendimento di suscitare, nella presente sede di legittimità, la rivisitazione degli aspetti fattuali della vicenda in esito ad una diversa valutazione del quadro probatorio.

E' principio consolidato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass.19.1.2015 n.742). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (ex multis, Cass. n. 8718 del 27/04/2005). Si è inoltre stabilito (Sez. U., n. 24148 del 25/10/2013; Cass. n.12799 del 6/6/2014) che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento; non già quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati.

Risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (che non può essere utilizzato, nell'attuale ordinamento processuale, alla stregua di un 'terzo grado di merito).

Ora, nel ragionamento logico-giuridico seguito dalla CTR non sono individuabili i vizi qui astrattamente rilevanti; trattandosi di ragionamento coerente e chiaro nel puntualmente ricostruire la fattispecie concreta riconducendola ad una appropriata disciplina normativa.

Si osserva che l'oggetto della controversia concerneva specificamente - tra i vari requisiti dell'agevolazione tributaria dettati dagli articoli 1 e 2 L. 604/54 - lo svolgimento abituale da parte della G. di attività manuale di lavorazione della terra. Requisito che la commissione territoriale ha escluso, nella concretezza della fattispecie, non già perché ritenutasi vincolata dal provvedimento di diniego dell'IPA Brescia (autonomamente impugnato dalla G. avanti al giudice amministrativo), ma perché reputato non dimostrato in giudizio dalla contribuente; e, anzi, addirittura positivamente escluso dalle convergenze istruttorie.

Lungi da risultare affetta da insufficiente o contraddittoria motivazione, questa conclusione viene argomentata in esito all'analisi di tutti gli elementi rilevanti di causa, nel senso che (sent. pagg.7-8): - la relazione geom. C., in atti, descriveva le culture sviluppate in azienda ed i macchinari presenti, senza apportare alcun reale elemento dimostrativo in ordine al fatto che la G. svolgesse in essa diretta, manuale ed abituale coltivazione dei fondi; invece affidata a contratti di affitto agrario; - l'età della G. al momento dell'atto di compravendita (56 anni) non era tale, in ragione delle aspettative di vita e della mancata allegazione di impedimenti fisici e di salute, da giustificare il mancato assolvimento diretto alla coltivazione del fondo; - la porzione di fondo (circa 2 ettari e mezzo di vigneto e frutteto, rispetto ai 20 complessivi) alla quale la ricorrente assumeva di dedicarsi di persona senza necessità di macchinari, costituiva pur sempre una quota minima del compendio agricolo, così da smentire in concreto il requisito della prevalenza dell'attività propria del coltivatore diretto (secondo i parametri definitori enucleati da SSUU 616/99); - la rilevata necessità di utilizzare macchinari per coltivare oltre due terzi dei fondi, mediante impiego di terzisti, induceva a ritenere che la sua forza lavoro, unitamente a quella dei familiari partecipi dell'attività agricola, fosse notevolmente inferiore ad un terzo rispetto a quello occorrente per le normali necessità di coltivazione; anche in accordo con i rilievi effettuati nel corso delle verifiche ispettive.

Alla luce di tale disamina non è dato riscontrare alcuna carenza ricostruttiva, né alcuna contraddittorietà logica. Al contrario, una volta individuato il requisito di legge per l'agevolazione (qualità di coltivatore diretto dell'acquirente), il giudice di merito si è coerentemente posto il problema di verificarne la sussistenza nella concretezza della fattispecie, ed anche al di là del dato formale dell'iscrizione contributiva; giungendo infine a negarla nella argomentata ed interdipendente delibazione degli elementi istruttori di rilievo tanto oggettivo quanto soggettivo.

Senonché, una volta escluso tale requisito, la decisione di ritenere insussistente il diritto della G. a fruire delle agevolazioni tributarie in oggetto (richieste con esclusivo riferimento alla L. 604/54) deve ritenersi del tutto conforme al dettato normativo di cui si lamenta la violazione; posto che non solo la lettera della legge, ma anche la sua ratio, ricollegano inequivocabilmente la coltivazione diretta del fondo alla funzione di tutela e sviluppo della piccola proprietà contadina sottesa all'agevolazione medesima. E nemmeno essa confligge con l'orientamento consolidato di legittimità secondo cui la qualifica di coltivatore diretto richiede in ogni caso "il normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l'attività agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia" (Cass. 2019/11 ed altre).

2.1 Con il secondo motivo di ricorso la G. lamenta - ex art. 360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ., in relazione agli articoli 115 e 116 cod.proc.civ. nonché 7.2 d.lvo 546/92 - l' omessa ammissione della consulenza tecnica d'ufficio da essa ricorrente richiesta; sicché le era stato in tal modo precluso di dimostrare la sussistenza dei requisiti legittimanti l'applicazione dei benefici, segnatamente la sua qualità di coltivatrice diretta dei fondi acquistati.

2.2 Il motivo è infondato.

La commissione tributaria regionale non ha omesso di considerare l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio avanzata dalla G., ma l'ha espressamente rigettata (pag.6) "essendo i fatti di causa ben chiari, ed avendo avuto le parti tutto il tempo necessario per le necessarie produzioni documentali". E' dato evincere da questa motivazione - succinta, ma non per questo insufficiente - che il giudice di merito ha ritenuto che il quadro istruttorio, conseguito all'esito di un ampio contraddittorio, fosse in definitiva ampiamente idoneo a sorreggere la decisione; con la conseguenza che un eventuale accertamento peritale d'ufficio sarebbe risultato ultroneo e defatigatorio. Vale anche in proposito richiamare il costante indirizzo secondo cui la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, bensì mezzo ausiliario ed integrativo di conoscenza e valutazione del giudice di merito. In quanto tale, spetta a quest'ultimo stabilire - con riguardo all'emersione in corso di causa di particolari profili extragiuridici di natura tecnica o scientifica - se essa sia necessaria ovvero opportuna ai fini del decidere.

Fermo restando che, proprio per tale natura, in nessun caso la consulenza tecnica d'ufficio può venire disposta in funzione puramente esplorativa o di esonero della parte dall'onere probatorio suo proprio. La valutazione circa la sua ammissione se adeguatamente motivata in relazione al punto di merito da decidere - non può pertanto essere sindacata in sede di legittimità (Cass. n. 88 dell'8.1.2004; Cass. n. 10784 del 7.6.2004; Cass. ord. n. 3130 dell'8.2.2011 ed altre).

Si tratta di un orientamento del tutto compatibile con la specialità del processo tributario di merito; avente anch'esso natura tendenzialmente dispositiva, ed ancorata al principio generale di cui all'articolo 115 cpc, secondo cui, salvo i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti, ed i fatti da queste discrezionalmente dedotti in causa. Con la conseguenza che pur potendo il giudice tributario, quando occorra acquisire "elementi conoscitivi di particolare complessità", espletare incombenti istruttori d'ufficio, ovvero disporre consulenza tecnica (art.7.2 d.lvo 546/92), è comunque ad esso precluso "di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori" (Cass.18976/07; 14960/10).

Onere probatorio che - ancorché effettivamente non vincolato all'accertamento svolto dall'ispettorato provinciale agrario (Cass.14921/06), e soddisfacibile con libertà di mezzi - deve nella specie porsi a carico del contribuente; vertendosi di dimostrazione di un fatto costitutivo dell'agevolazione invocata. Si osserva in ultimo che la conclusione alla quale si è così pervenuti non potrebbe risultare in alcun modo inficiata dalla allegazione, con la memoria ex art. 378 cpc, dell'attestato Provincia di Brescia 22.8.11; sia perché, in radice, inammissibile ex art. 372 1° co. cpc, sia perché - in ogni caso - attinente ad una valutazione amministrativa che, per le già indicate ragioni, non esplica in questa sede effetto vincolante. Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

- Rigetta il ricorso;

- Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore dell’agenzia delle entrate, che liquida in euro 3.000,00 per compenso professionale, oltre alle spese prenotate a debito.