Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 febbraio 2016, n. 1976

Lavoro - Coordinamento di una rivista di un'azienda - Autonomia - Lavoro subordinato - Sussistenza - Accertamento

 

Fatto

 

Con ricorso depositato in data 20.11.2007 presso il Tribunale di Firenze la dott. B. D. agiva nei confronti della M. srl per l’accertamento della natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo dal Io settembre 1976 al 31.12.2006 e del proprio diritto a percepire il trattamento di trasferta, gli scatti di anzianità e la indennità di preavviso. Chiedeva altresì dichiararsi la nullità dell’assunto licenziamento orale del 10.12.2006, con condanna di parte convenuta alla reintegra nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate ; in subordine chiedeva condannarsi il datore di lavoro al pagamento del TFR (€ 29.240,87).

Si costituiva la società M. srl, contestando il fondamento della domanda.

Con sentenza del 24.2-15.3/2010 il Giudice del Lavoro accoglieva la domanda (quanto al trattamento economico nei limiti degli scatti di anzianità e della indennità di trasferta maturati nel quinquennio anteriore alla costituzione in mora, del 17.1.2007).

La dott. B. optava, con comunicazione del 10.3.2010, per la indennità sostitutiva della reintegra.

Proponeva appello la società M. srl chiedendo la integrale riforma della sentenza; resisteva l’appellata.

Con sentenza del 13 novembre-14 dicembre 2012 la Corte di Appello di Firenze in funzione di Giudice del Lavoro rigettava l’appello, condannando l’appellante alle spese.

Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione la società M. srl, articolato in tre motivi.

Resiste con controricorso la dott. B.

 

Diritto

 

Con il primo motivo di ricorso la società M. srl denunzia - ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. - la violazione delle norme di diritto relative alla qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato quanto al periodo intercorso dal 3 marzo 1997 al 31.12.2006.

Denunzia altresì, ai sensi dell’art. 360 nr. 5 c.p.c., l’omesso esame, in riferimento al medesimo periodo temporale, di fatti probanti la natura autonoma della collaborazione intercorsa, ai sensi dell’art. 409 nr 3 c.p.c. e successivamente degli artt. 61 e segg. D.Lvo 276/2003.

Evidenzia che nella prima parte della sentenza veniva articolata una ampia ma astratta motivazione circa gli spazi di operatività del contratto a progetto rispetto alla forma comune del rapporto di lavoro subordinato, trascurando che dal marzo 1997 sino al 20 ottobre 2004 il rapporto si era svolto nelle forme della collaborazione coordinata e continuativa ex articolo 409 nr.3 c.p.c. e soltanto nel periodo successivo nella modalità a progetto.

Assume che erroneamente la Corte di Appello aveva ritenuto che i progetti/programmi di lavoro affidati alla dott. B. - seppure specificati- fossero in realtà inesistenti, in quanto non-estranei al ciclo produttivo ordinario e non predeterminati temporalmente.

Dalla lettura dei contratti sottoscritti risultava invece, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di Appello di Firenze:

- che il progetto affidato - consistente nell’incarico di impostare allestire e coordinare in piana autonomia la rivista "Minuti M. Edizione Scientifica" e "Minuti M. Edizione Artistica"- era relativo ad una attività del tutto marginale ed estranea al ciclo ordinario, di produzione e promozione di farmaci;

- che i contratti contenevano la indicazione del termine previsto per la realizzazione del progetto.

Denunzia quanto alla seconda parte della sentenza, in cui il giudice dell’appello procedeva alla analisi delle modalità di effettiva esecuzione del rapporto di causa, che erroneamente la Corte aveva ritenuto di valorizzare la continuità del rapporto svolto in termini di collaborazione autonoma rispetto al rapporto di lavoro subordinato pacificamente intercorso dal settembre 1976 al Dicembre 1996 e la parziale identità di funzioni.

Contesta l’assunto, rilevando come:

Il rapporto di lavoro subordinato si era risolto in data 2.3.1997 a seguito di dimissioni presentate dalla B. in data 23.12.1996 per esigenze personali, con assegnazione delle mansioni già da lei svolte alla dott.ssa M., come confermato dai testi M. A. (direttore del personale della M. srl) e S. D. (direttore generale del gruppo M.) la dott. B. si era contestualmente dichiarata disponibile ad instaurare un diverso rapporto di collaborazione autonoma e la società M. aveva aderito a tale richiesta, sicché dal 3 marzo 1997 al dicembre 2006 erano stati sottoscritti vari e ripetuti contratti di collaborazione, come pure riferito dai testi di cui sopra;

- l’atto di dimissioni ed i contratti di collaborazione autonoma sottoscritti non erano stati mai impugnati dalla dott. B. né erano state offerte deduzioni o prove in ordine alla loro illegittimità o simulazione; il contenuto dei contratti rendeva palese la natura autonoma del rapporto e la volontà espressa dalle parti era un passaggio essenziale per la qualificazione giuridica della fattispecie, del tutto trascurato, invece, dal giudice dell’appello.

Del pari fuorviami erano gli ulteriori indici di qualificazione utilizzati dalla Corte d’appello ovvero la riferibilità della attività ai vertici sovraordinati; la durata della pretesa collaborazione; la imprescindibilità della posizione lavorativa per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Rispettivamente invece:

- l’incarico di collaborazione, consistente nell’impostare allestire e coordinare in piena autonomia le riviste "Minuti M. Edizione Scientifica" e "Minuti M. Edizione Artistica",- era relativo ad una attività del tutto marginale rispetto al ciclo ordinario, di produzione e promozione di farmaci;

- del tutto ininfluente ai fini della qualificazione era la durata nel tempo dell’incarico così come il suo coordinamento nella struttura aziendale- indici propri anche dei rapporti di collaborazione- dovendo piuttosto darsi rilevanza determinate agli indici della etero direzione e della dipendenza, identificanti il rapporto di lavoro subordinato (rispetto alle mere direttive programmatiche sul risultato da raggiungere proprie delle collaborazioni coordinate e continuative, anche nella modalità a progetto) era stato dimostrato in causa a mezzo dei documenti e dei testimoni che la dott. ssa B. per tutto il periodo dal 3 marzo 1997 al 31 dicembre 2006 discrezionalmente decideva se , come e quando effettuare la sua attività di consulenza. La Corte d’appello aveva erroneamente sostenuto che le attività risultanti dai contratti sottoscritti presentavano indubbi elementi di subordinazione laddove ogni attività umana può essere in principio svolta in forma autonoma o subordinata e, comunque, le attività dedotte in contratto erano di elevato contenuto professionale ed esercitabili in forma autonoma (attività di consulenza al fine di impostare, allestire e coordinare l’uscita delle riviste sopra indicate e relative attività accessorie). Né era risultato - come sostenuto dal giudice dell’appello- lo svolgimento di attività più ampie di quelle dedotte in contratto ed in parte estranee alla lettera di incarico; le attività svolte erano risultate essere esattamente quelle e solo quelle concordate nei contratti sottoscritti, come riferito dai testi M. A., S. D., Casini Alessandro (Direttore Medico Centrale della srl M. e responsabile della Fondazione Internazionale M. , editrice delle riviste di cui ai contratti di collaborazione). Era inoltre risultata la assenza di un obbligo di frequenza, di rispetto di un vincolo orario, di rendicontazione del lavoro svolto, per quanto dichiarato dai predetti testi. Il teste F. C. S., collaboratrice esterna della M. che si occupava della impaginazione delle riviste , era risultata poco informata sui fatti - diversamente da quanto sostenuto dalla Corte d’appello - ed aveva reso dichiarazioni generiche sul ruolo della dott. ssa B.

La Corte d’appello aveva inoltre dato rilievo alla documentazione depositata dalla lavoratrice laddove essa era afferente in gran parte al periodo del rapporto di lavoro fino al dicembre 1996, pacificamente svolto in regime di subordinazione ; non era dato comprendere da quali documenti la Corte avesse ricavato lo svolgimento di attività di gestione del personale, compito non più affidato alla B., come riferito dal teste S. Irrilevanti erano poi le circostanze, valorizzate dalla Corte d’appello, della presenza della lavoratrice presso i locali aziendali e della fruizione delle relative strutture - in quanto non incidenti sulla natura del rapporto - dell’ utilizzo di un badge per l’accesso - in quanto fornito per meri motivi di sicurezza anche ai lavoratori autonomi ed a i visitatori occasionali - della misura fissa del compenso, compatibile con la natura autonoma della collaborazione.

Il motivo è infondato.

La ricorrente - pur censurando la sentenza sotto il profilo di cui all’art. 360 nr. 3 c.p.c. - non ha richiesto alla Corte una verifica di correttezza in punto di diritto dell'attività ermeneutica svolta nella sentenza impugnata, non avendo specificato le affermazioni del decisum assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie.

Le censure proposte si declinano piuttosto come vizio di motivazione, investendo l'allegata erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, attività esterna all'esatta interpretazione della norma, inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito.

In ogni caso il giudice del merito ha correttamente richiamato gli indici di qualificazione del rapporto di lavoro subordinato.

Quanto al vizio di motivazione, nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (essendo la pubblicazione della sentenza impugnata successiva all’11 settembre 2012) il controllo di legittimità della motivazione di cui al nuovo testo dell’art. 360 nr. 5 c.p.c., in termini di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

Come chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 22.9.2014 nr 19881 ; Cass. S.U. 7.4.2014 nr. 8053), la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 83/2012 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.

In particolare, l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Nella fattispecie di causa i fatti asseritamente decisivi evocati in ricorso (contratti di collaborazione sottoscritti, modalità di svolgimento del rapporto di lavoro) sono stati esaminati in sentenza e criticamente valutati.

Con il secondo motivo di ricorso la società Menarmi censura - ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e nr. 5 c.p.c. - le statuizioni relative alle conseguenze economiche della affermata subordinazione (nel periodo del rapporto di lavoro dal 3 marzo 1997 al 31 dicembre 2006).

Deduce che dalla dimostrata natura autonoma del rapporto di lavoro derivava la inapplicabilità degli istituti economici e previdenziali propri del lavoro subordinato e che in ogni caso i compensi percepiti erano del tutto congrui rispetto all’effettiva prestazione svolta, dovendo valutarsi il trattamento economico globalmente corrisposto.

Alcuna competenza retributiva era dovuta, comunque, per trattamento di trasferta e scatti di anzianità neppure nei limiti della eccepita prescrizione quinquennale e della detrazione del percepito; invero la lavoratrice da un canto aveva già ricevuto il rimborso delle spese per ogni trasferta sicché non le era dovuto il trattamento di trasferta forfettario, alternativo al rimborso delle spese vive, dall’altro aveva maturato e riscosso, nel corso del precedente rapporto di lavoro subordinato, i cinque scatti di anzianità previsti dal CCNL (art. 17 CCNL chimica farmaceutica) sicché alcun ulteriore importo sarebbe maturato allo stesso titolo nel periodo successivo.

Il motivo resta parzialmente assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.

Quanto al trattamento di trasferta, il ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza, essendo carente della indicazione specifica delle norme di contratto collettivo, asseritamente violate, che statuirebbero la non cumulabilità del trattamento di trasferta con il rimborso delle spese.

Quanto agli scatti di anzianità, appare parimenti preclusiva la mancata trascrizione del contenuto dell’ evocato articolo 17 CCNL Chimica Farmaceutica ed altresì la mancata allegazione della proposizione del motivo nei gradi precedenti.

Sussiste altresì il vizio di improcedibilità del ricorso - ex art. 369 co 2 nr 4 c.p.c. - per il mancato deposito del testo integrale del contratto collettivo.

Con il terzo motivo di ricorso la società M. censura, ai sensi degli artt. 360 nr 3 nr 5 del c.p.c., le statuizioni in punto di licenziamento.

Deduce che dalla comprovata autonomia del rapporto di lavoro derivava la inconfigurabilità di un atto di licenziamento.

In ogni caso rappresenta che il rapporto di collaborazione era cessato in data 31.12.2006 per scadenza del termine fissato nel contratto da ultimo sottoscritto, in assenza di qualunque manifestazione, anche verbale, di recesso. Il direttore generale della M. srl, S. D., come da egli stesso chiarito in sede di deposizione testimoniale, si era limitato a ricordare alla dott. B., nel dicembre 2006, l’avvicinarsi della scadenza contrattuale ed aveva manifestato la intenzione di non rinnovare il contratto.

Nessuna domanda era stata proposta dalla lavoratrice per la impugnazione del termine apposto ai contratti di collaborazione ed, in specie, all'ultimo di essi (del 23.12.2005).

Sotto altro profilo, la società sin dalla prima difesa aveva eccepito la inapplicabilità tanto dell’art. 2 L. 604/1966 che dell’art. 18 L.300/1970: la dott. B. al compimento del 60A anno di età - il 20.9.2008 - era in possesso dei requisiti pensionistici e non aveva esercitato la opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro ex art. 6 L. 54/1982 sicché non poteva esserle riconosciuta tutela ex art. 18 L. 300/70.

Dal gennaio 2009 la dott. ssa B. percepiva il trattamento pensionistico laddove il Tribunale di Firenze prima - ed il giudice dell’appello poi - avevano respinto la richiesta di ordinare la esibizione alla dott. B. del proprio stato previdenziale e occupazionale dall’anno 1997 - (nonché delle dichiarazioni dei redditi, CUD, buste paga e pensione degli anni 2007 e successivi) - ed agli enti previdenziali dell’attestazione dello stato previdenziale ed occupazionale della B. dal dicembre 2006.

La società ricorrente insiste anche in questa sede nella richiesta dell’ordine di esibizione.

Il motivo resta parzialmente assorbito dal rigetto della censura relativa alla qualificazione del rapporto di lavoro.

Le ulteriori ragioni di ricorso sono inammissibili.

La società ricorrente, pur deducendo la violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 co 1 nr 3 c.p.c., non ha indicato le affermazioni delle sentenza assunte in contrasto con le norme di legge evocate; la censura articolata investe, piuttosto, il vizio della motivazione.

Sotto questo profilo si osserva che la questione della assenza dell’ atto di licenziamento (verbale) non risulta esaminata dalla Corte territoriale e che la società ricorrente non allega, in violazione del principio di autosufficienza, di averla proposta quale motivo dell’appello. Quanto al regime del licenziamento, la Corte d’appello ha dato conto delle ragioni di inapplicabilità nel caso concreto della disciplina di libera recedibilità senza che sia stata articolata alcuna censura in punto di omesso esame di fatti decisivi.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € cento/00, più euro tremila/00 per compenso professionale oltre spese generali nella misura del 15% ,IVA e CPA.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.