Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 gennaio 2016, n. 1523

Licenziamento disciplinare - Cessazione ramo d’azienda - Mancanza della tempestività della contestazione disciplinare - Omessa indicazione delle infrazioni del codice disciplinare - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Il giudice del lavoro del Tribunale di Frosinone dichiarò, con sentenza non definitiva, l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 30.7.2004 dalla società V. s.p.a. ad A.P. per aver tenuto rapporti non corretti coi rappresentanti della società fornitrice T. Inoltre, il primo giudice dichiarò la cessazione della materia del contendere in ordine alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e condannò in solido la società convenuta e la chiamata in causa T.D.I. s.r.l., alla quale era stato nel frattempo ceduto il ramo d’azienda, al risarcimento di danni in favore del lavoratore dalla data del suo licenziamento a quella della predetta cessione; il medesimo giudicante condannò, altresì, la società chiamata in causa al pagamento in favore del P. delle retribuzioni maturate dal momento della cessione del ramo d’azienda della V. a quello della definitiva cessazione dell’attività di quest’ultima, mentre respinse la domanda di inquadramento superiore del ricorrente.

Avverso tale sentenza proposero appello in via principale separatamente le società V.D.C T. s.p.a. (già V. s.p.a.) e T.D.I R. s.r.l. (già T.D.I. s.r.l), mentre il P. spiegò appello incidentale.

Con sentenza del 16/4/12 - 18/9/12, la Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto gli appelli principali ed in riforma dell’impugnata sentenza ha rigettato l’originaria domanda del P., respingendo, nel contempo, l’appello incidentale di quest’ultimo.

La Corte territoriale ha ritenuto di non poter condividere il convincimento del primo giudice, secondo il quale J.T.L., general manager della società T.P., fornitrice delle società del gruppo T., aveva ordito un complotto in danno del P. preordinando l’incontro col medesimo e riferendo, all’esito, circostanze non veritiere sul suo conto ai dirigenti della T., al solo scopo di eliminare un soggetto scomodo che avrebbe potuto pregiudicare gli interessi della società fornitrice T.

Secondo la Corte capitolina una siffatta ricostruzione era rimasta a livello di presunzione, non sorretta da alcun riscontro probatorio, per cui il licenziamento del P. era da considerare legittimo; inoltre, si erano rivelate generiche le allegazioni alla domanda da quest’ultimo avanzata a fondamento della rivendicazione del superiore inquadramento.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il P. con otto motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso il curatore fallimentare della società T.D.I R. s.r.l. in liquidazione, mentre resta solo intimata la curatela fallimentare della società V.D.C T. s.p.a.

 

Motivi della decisione

 

1. Col primo motivo, proposto per vizio di motivazione e per violazione dell’art. 112 c.p.c., il ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha posto a base del convincimento della legittimità del licenziamento le sole dichiarazioni della teste T.B., vice-presidente del gruppo T., mentre avrebbe dovuto tener conto anche delle altre deposizioni testimoniali e della produzione documentale, elementi, questi, che militavano a favore della soluzione della vertenza adottata dal primo giudice il quale, al contrario, aveva ritenuto l’illegittimità dell’atto espulsivo.

Il motivo è inammissibile.

Anzitutto, non è ipotizzabile il vizio di omessa pronunzia laddove il giudicante ha adottato, come nella fattispecie, una motivazione che, seppur contrastante con l’interpretazione del materiale probatorio offerta dal ricorrente, è, comunque, sufficiente a reggere la decisione impugnata.

Inoltre, le censure sul denunziato vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. si risolvono, in ultima analisi, in un inammissibile tentativo di rivisitazione del merito istruttorio, operazione, questa, che non è consentita nel giudizio di legittimità laddove, come nel caso di specie, la valutazione dei mezzi di prova è sorretta da argomentazioni adeguatamente motivate ed immuni da vizi di ordine logico-giuridico.

In ogni caso, la nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. n. 83 del 22.6.2012, convertito nella legge n. 134 del 7.8.2012, applicabile "ratione temporis" nella fattispecie, prevede che l’omesso esame deve riguardare un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Al riguardo si è già statuito (Cass. Sez. 6 - 3, n. 12928 del 9/6/2014) che "In tema di ricorso per cassazione, dopo la modifica dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili."

Ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia viziata da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili.

Ma è evidente che, nella specie, la valutazione del materiale probatorio operata dalla Corte territoriale non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice di merito espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del convincimento sull’insussistenza della tesi del ricorrente in ordine al supposto complotto ordito nei suoi confronti al fine di screditarlo agli occhi della datrice di lavoro, dopo aver vagliato le deposizioni dei testi C., C., T.B. S.C. e L.S..

2. Col secondo motivo, dedotto per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., nonché per omessa pronunzia sull’eccepita inammissibilità dell’atto d’appello delle società avversarie, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha esaminato la censura, formulata con la memoria difensiva del 28.3.2011, attraverso la quale era stata dedotta la carenza dei requisiti previsti dall’art. 434 c.p.c. per la validità del ricorso in appello delle società V.D.C T. s.p.a. e T.D.I. R. s.r.l., proposto in maniera generica e privo dei riferimenti normativi e contrattuali necessari all’instaurazione di un corretto contraddittorio.

Il motivo è infondato, in quanto dalla lettura della sentenza impugnata si rileva che la Corte d’appello non ha avuto difficoltà a comprendere i motivi del gravame proposto in via principale dalla difesa delle predette società avverso la decisione di primo grado, per cui è da ritenere che l’eccezione di cui trattasi è stata implicitamente rigettata dalla Corte territoriale che, diversamente, non si sarebbe potuta spingere ad esaminare in maniera diffusa il merito della vicenda oggetto di causa, con la conseguenza che non è configurabile il lamentato vizio di omessa pronunzia.

Si è, infatti, precisato (Cass. Sez. 2, n. 10001 del 24/6/2003) che "qualora ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie non è configurabile il vizio di omessa pronuncia di cui all'art. 112 cod. proc. civ., che si riscontra soltanto allorché manchi una decisione in ordine a una domanda o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento o di rigetto."

3. Col terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ. e degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nonché la mancata pronuncia sull’appello incidentale relativo alla cessazione della materia del contendere ed al risarcimento del danno.

In pratica, ci si duole del fatto che l’ordine di reintegra era stato emesso dal primo giudice solo nei confronti della cessionaria T.D.I. R. s.r.l., mentre lo stesso avrebbe dovuto essere emesso in solido anche nei riguardi della cedente V.D.C. T. s.p.a. che era la titolare del rapporto all’atto del licenziamento e che solo nel momento in cui si era costituita in giudizio aveva dedotto di aver ceduto il ramo d'azienda. Né, secondo il ricorrente, si versava in ipotesi di impossibilità di esecuzione della sentenza, atteso che molti dei dipendenti che facevano parte del ramo ceduto erano rimasti, in realtà, alle dipendenze della società V.D.C. T. s.p.a. Orbene, secondo la difesa del ricorrente, su tale questione, sollevata con l’appello incidentale, la Corte territoriale non si era pronunziata. Osserva la Corte che la presente censura denota, anzitutto, un vizio di autosufficienza perché l’odierno ricorrente non riporta il contenuto preciso del motivo dell’impugnazione incidentale attraverso il quale prospettò la suddetta questione, per cui non è dato conoscerne i termini esatti al fine di verificare se realmente sussiste il lamentato vizio. In ogni caso il motivo è infondato per la considerazione logica che, se la Corte di merito ha ritenuto legittimo il licenziamento, la medesima non aveva necessità di pronunziarsi sull’estensione dell’ordine di reintegra nei confronti della società cedente, questione, questa, che risultava travolta dalla dirimente soluzione adottata dal giudice d’appello in ordine alla accertata legittimità del recesso, per cui non è nemmeno configurabile il lamentato vizio di omessa pronunzia.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970 e l’omesso esame del fatto decisivo riguardante la tardività del licenziamento, intimato a distanza di quasi cinque mesi dai fatti addebitati.

Il motivo è inammissibile, trattandosi, come dedotto dalla controricorrente, di eccezione nuova che non risulta essere stata fatta oggetto di appello incidentale da parte del lavoratore a fronte della decisione del primo giudice che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento per ragioni di merito diverse da quella della intempestività della sanzione espulsiva.

5. Col quinto motivo il ricorrente censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. assumendo che il giudicante non avrebbe rilevato i motivi che concorrevano a rendere illegittimo il licenziamento, quali la mancanza della tempestività della contestazione disciplinare e della sua specificità, oltre che della indicazione delle infrazioni del codice disciplinare, nonché la mancata considerazione della personalità del dipendente, dell’unicità dell’addebito e del contributo dato alla gestione e all’espansione economica dell’azienda.

6. Col sesto motivo, formulato per violazione degli artt. 2104 e 2106 cod. civ., nonché per omessa pronuncia ed omesso esame circa i fatti riguardanti la graduazione dell’entità della sanzione, il ricorrente lamenta sostanzialmente la sproporzione della sanzione inflittagli e che la Corte d’appello non avrebbe considerato tale circostanza.

Per ragioni di connessione il quinto ed il sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente.

Tali motivi sono infondati, in quanto il ricorrente, dopo aver semplicemente esposto in linea generale quelle che sono le garanzie che il datore di lavoro è tenuto ad osservare ai fini della valida intimazione di un licenziamento, si limita a contrapporre il proprio giudizio a quello espresso dai giudici di merito, in modo esente da vizi di legittimità, con riguardo alla ravvisata legittimità dell'esercizio del diritto di recesso della datrice di lavoro.

E’, invece, inammissibile la parte del sesto motivo sulla proporzionalità della sanzione prospettata nella forma dell’omesso esame di fatti ed eventi risultanti dagli atti di causa in quanto, a parte la genericità della doglianza, la stessa non risponde ai criteri di formulazione del vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. nella versione "ratione temporis" vigente.

Infatti, come già evidenziato in precedenza, dopo la modifica dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. ad opera dell'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili, situazioni, queste, non riscontrabili nella fattispecie.

7. Col settimo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 7 della legge n. 300/70 in quanto assume che la datrice di lavoro non aveva assolto l’onere probatorio dell’avvenuta affissione del codice disciplinare, adempimento, questo, che in assenza della previsione collettiva avrebbe potuto giustificare l’applicazione della sanzione massima del licenziamento.

Il motivo è inammissibile in quanto trattasi di eccezione nuova che non risulta essere stata proposta con l’appello incidentale del lavoratore a fronte della decisione de! primo giudice di ritenere illegittimo il licenziamento per ragioni di merito diverse da quella appena indicata. Il motivo difetta anche di autosufficienza perché non spiega se, in quale momento ed in che modo una tale eccezione fu sollevata nel giudizio d’appello.

8. Con l’ottavo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2013 c.c., del CCNL 23.5.2000 e per omesso esame dei fatti decisivi emersi in prime cure con riguardo al diritto alla retribuzione ed alla qualifica dirigenziale, il ricorrente si duole sostanzialmente del mancato accoglimento della domanda diretta all’inquadramento superiore, precisando che il giudicante, una volta rilevata la carenza di deduzione nel ricorso in relazione a tale questione, avrebbe dovuto dichiararne la nullità e non rigettarlo nel merito.

Osserva la Corte che il motivo, per la parte concernente il vizio motivazionale, è inammissibile, in quanto la sua prospettazione non risponde ai requisiti previsti dal novellato art. 360 n. 5 c.p.c. affinché possa configurare il tipo di violazione prevista da tale norma di rito in base a quanto già chiarito in precedenza. Per il resto il motivo è infondato perché non supera il rilievo assorbente della riscontrata genericità delle allegazioni concernenti la domanda di rivendicazione del superiore inquadramento, il tutto aggravato dalla considerazione, puntualmente evidenziata dalla Corte di merito, della mancata indicazione delle declaratorie di riferimento e del necessario confronto tra la posizione rivendicata e quella riconosciuta in assenza di qualsivoglia elemento utile a verificare le ragioni per le quali le mansioni svolte non sarebbero rientrate in quelle della categoria di appartenenza. Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite de! presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore della curatela fallimentare della società T.D.I. R. s.r.l. Non va adottata, invece, alcuna statuizione in ordine alle spese nei confronti della curatela fallimentare della società V.D.C. T. che è rimasta solo intimata.

Ricorrono i presupposti di legge per il versamento del contributo di cui in dispositivo da parte del ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nei confronti della curatela fallimentare della società T.D.I. R. s.r.l. nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti della V.D.C. T. s.p.a.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.