Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 gennaio 2016, n. 1132

Tributi - Imposta sostitutiva sulle operazioni di credito e imposta di bollo virtuale - Rimborso - Termine di decadenza - Dichiarazione ex art. 20 del DPR n. 601/1973 - Interruzione del termine - Esclusione

 

Osserva

 

La CTR di Potenza ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia contro la sentenza n.202/02/2007 della CTP di Potenza che aveva accolto il ricorso della "B. spa" avverso silenzio-rifiuto sull’istanza di data 13.12.2005 di rimborso dell’imposta sostitutiva sulle operazioni di credito (ex art. 17 DPR n. 601/1973) nonché dell’imposta di bollo virtuale (ex art. 15 del DPR n. 642/1972) -entrambe assolte nell’anno di imposta 1998- per essere subentrata alla Banca Credito Cooperativo del M.P. che -nella dichiarazioni correlate presentate il 6.10.1998- aveva fatto evidenza del credito spettantele.

La predetta CTR -dopo avere rilevato che l’Agenzia aveva nella censura di appello eccepito "la decadenza del diritto al rimborso per decorrenza dei termini di legge, oltre alla prescrizione del medesimo diritto- ha motivato la decisione evidenziando che "la B. ha compiuto atti idonei e tempestivi per salvaguardare il proprio credito": infatti, con le dichiarazioni presentate entrambe il 6.10.1998 aveva evitato la decadenza ex art. 77 DPR n. 131/1986 per l’imposta sostitutiva ed ex art. 37 DPR 642/1972 per l’imposta di bollo, così consolidando il credito vantato. Con la successiva istanza di rimborso di data 13.12.2005, la medesima Banca aveva interrotto la prescrizione decennale ai fini dell’esercizio del diritto. Da ciò l’illegittimità del rifiuto.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.

La società contribuente non si è difesa.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Infatti, con il motivo di impugnazione (improntato alla violazione e falsa applicazione dell’art. 20 comma 5 del DPR n. 601/1973, in combinato disposto con l’art. 77 del DPR n. 601/1973 (ndr: 131/1986)  e con l’art. 37 del DPR n. 642/1972) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia erroneamente "equiparato le dichiarazioni ex art. 20 DPR n. 601/1973 a vere e proprie richieste di rimborso", per quanto dette dichiarazioni abbiano la sola finalità di liquidare le imposte dovute e per quanto l’art. 77 del DPR n. 131/1986 preveda che il rimborso dell’imposta debba essere richiesta entro tre anni dal giorno del pagamento o da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione, se posteriore. E, analogamente si doleva per ciò che concerne l’imposta di bollo a proposito della quale il contribuente deve presentare una dichiarazione con la quale indica l’esatto numero degli atti e documenti emessi nell’anno precedente, nel mentre l’art. 37 del DPR n. 642/1972 dispone che la restituzione delle imposte pagate in modo virtuale deve essere richiesta entro tre anni dalla data del versamento, sicché anche in questo caso la dichiarazione ha come finalità precipua quella di indicare le somme cui commisurare l’imposta dovuta. Secondo la ricorrente, nell’ordinamento tributario, a differenza di quello civilistico, vige un regime speciale per la ripetizione dell’indebito, basato sull’istanza di parte, da presentarsi a pena di decadenza nel termine previsto dalle singole leggi di imposta e, in termini residuali, dall’art. 21 comma 2 del D.Lgs. 546/1992, sicché le norme che contemplano il rimborso ad iniziativa dell’ufficio vanno considerate "di stretta interpretazione".

Il motivo appare infondato e se ne propone il rigetto.

Occorre a questo proposito muovere dalla premessa che il giudice del merito (senza contestazioni sul punto di parte ricorrente, che nulla ha declinato a proposito delle modalità con le quali risulta essere stata effettuata la dichiarazione delle situazioni creditorie a riguardo di entrambe le posizioni qui considerate) ha affermato che B. ha compiuto "atti idonei e tempestivi per salvaguardare il proprio credito", e ciò precipuamente ai fini di evitare la decadenza prevista -per ciascun tipo di imposta- dalle norme che la parte ricorrente ha valorizzato ai fini della propria censura. Si tratta di un accertamento in fatto che costituisce premessa rilevante ai fini della valutazione di correttezza del giudizio su tale presupposto adottato.

Ed invero, proprio l’indirizzo giurisprudenziale che la parte ricorrente ha valorizzato ai fini del mezzo di impugnazione qui proposto (e cioè la pronuncia di Cass. sez. 5 n. 15840 del 12.7.2006) ha posto in evidenza il fatto che -pur non potendosi considerare sufficiente, in base al complesso del sistema normativo tributario, ai fini di investire senz'altro l'Ufficio competente dell'obbligo di provvedere al rimborso che dal controllo cartolare della dichiarazione semplicemente si riscontri una discordanza tra il dovuto e il versato- è, invece, utile a questo fine che nella dichiarazione stessa risulti un credito "esposto" (nel senso di "fatto valere"), che, cioè (anche al di fuori delle ipotesi in cui un tale onere di richiesta espressa è specificamente previsto, in alternativa alla possibilità di optare per il riporto dell'eccedenza: v., ad es., del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 11 e 19, e, per i sostituti, del D.P.R. n. 445 del 1997, art. 1), in ogni caso dalla dichiarazione si possa evincere con ragionevole certezza una manifestazione di volontà idonea, in quanto tale, a svolgere la funzione, e quindi a tener luogo, dell'istanza di rimborso.

E’ suggestivo a questo proposito il fatto che, vuoi nell’art. 77 del DPR n. 131/1986, vuoi nell’art. 37 del DPR n. 642/1972, il termine per la presentazione dell’istanza di rimborso è fatto normativamente decorrere dalla data dei singoli pagamenti. Ciò non può che significare che detta istanza (e perciò anche la sua imprescindibilità) non può che riferirsi all’ipotesi in cui sia contesta la debenza (in tutto o in parte) dell’imposta, e non anche all’ipotesi -come la presente- in cui sia la somma algebrica dei versamenti effettuati a determinare un credito rimborsabile e del quale è perciò del tutto logico supporre che si possa esternare valida manifestazione di ripetizione mezzo della dichiarazione riassuntiva, con efficacia del tutto analoga a quella che si avrebbe ove si formulasse un’apposita istanza.

Vi è quindi un argomento testuale molto evidente per ritenere non condivisibile l’assunto dell’Agenzia ricorrente secondo cui le dichiarazioni di cui si tratta hanno finalità esclusiva di "liquidare le imposte dovute" e ad esse non possa attribuita anche quella ulteriore (e non per questo secondaria) di manifestazione della volontà di ottenere il rimborso del credito maturato.

Nella specie di causa, appunto, una manifestazione di volontà a ciò idonea non è in discussione, per quanto dianzi si è detto.

Deve perciò ritenersi che valga anche per le materie qui sub judice il principio numerosissime volte espresso a proposito delle imposte sui redditi (per tutte si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9524 del 22/04/2009) secondo il quale:"Il termine stabilito nell'art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (nel testo, applicabile "ratione temporis", introdotto dall'art. 1 del d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506), entro il quale l'Amministrazione Finanziaria deve provvedere alla liquidazione dell'imposta, ha natura ordinatoria secondo l'interpretazione, avente efficacia retroattiva, che ne ha dato l'art. 28, primo comma, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Ne consegue che il credito esposto in dichiarazione non si consolida con lo spirare del predetto termine o perchè l'Amministrazione abbia omesso di procedere ad accertamento e rettifica nel termine stabilito nell'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, così come il diritto al rimborso del contribuente non è sottoposto al termine di decadenza, contenuto nell'art. 38 del d.P.R. 27 settembre n. 1973, n. 602, ma esclusivamente all'ordinario termine di prescrizione decennale, ferma restando la facoltà dell'Ufficio di opporre eccezioni alla domanda di rimborso".

Proprio dalla massima dianzi trascritta emerge per esplicito che ai fini dell’applicazione in concreto del principio che precede sarebbe stato necessario che la parte oggi ricorrente avesse allegato con specifica analiticità in quali eccezioni sostanziali si sia concretizzata la propria impostazione difensiva nel corso dei gradi di merito, a fronte delle ben identificate ragioni di credito prospettate debitamente dal contribuente nella propria dichiarazione dei redditi concernenti il periodo qui oggetto di controversia. Essendosi invece l’Agenzia ricorrente limitata a prospettare l’intervenuta decadenza del diritto, altro non resta che concludere per la non accoglibilità del ricorso.

Pertanto, si ritiene che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 30 maggio 2015

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, ritiene di non dare seguito alla proposta del consigliere relatore, siccome impostata su una valutazione non condivisibile a riguardo della premessa da cui avrebbe preso le mosse il giudicante di appello e cioè che la parte contribuente abbia compiuto "atti idonei e tempestivi per salvaguardare il proprio credito". Le anzidette affermazioni non possono -in realtà- considerarsi "accertamento di fatto" rimasto privo di contestazioni da parte dell’Agenzia qui ricorrente la quale -pur non avendo effettivamente declinato alcunché a proposito delle precise modalità con le quali risulta essere stata effettuata la dichiarazione ex art. 20 del DPR n. 601/1973 di cui specificamente si tratta- ha tuttavia evidenziato che il giudice dell’appello ha commesso un errore di interpretazione ed applicazione della ora menzionata disciplina allorché ha equiparato le predette dichiarazioni a vere e proprie richieste di rimborso, e le ha -per contro- qualificate come meramente strumentali a consentire all’Ufficio di liquidare le imposte dovute, perciò strutturalmente inidonee a fungere da succedaneo dell’istanza di rimborso. Siffatta ricostruzione discende peraltro dalla stessa disciplina indicata, nella quale si prevede che gli enti creditizi debbano "dichiarare .... le somme sulle quali si commisura l’imposta dovuta, indicando separatamente l’ammontare complessivo dei finanziamenti soggetti all’aliquota normale, quello dei finanziamenti ... etc", da che si intende che nelle anzidette dichiarazioni non si "espone" alcun credito ma si delinea esclusivamente la base imponibile ai fini della successiva liquidazione del debito tributario, sicché non è possibile evincere da esse soltanto una manifestazione di volontà idonea a tenere luogo dell’istanza di rimborso. Il contrario avviso del giudice del merito non è quindi un mero accertamento di fatto fondato esclusivamente sull’analisi delle dichiarazione di cui concretamente si tratta, ma è una valutazione giuridica (peraltro erronea) in ordine alla astratta idoneità delle dichiarazioni in questione a fungere da strumento utile ad evitare "la decadenza ex art. 77 DPR n. 131/1986";

che -di conseguenza- non può che ritenersi che il giudice del merito sia incorso nel vizio di erronea interpretazione della disciplina invocata dalla parte qui ricorrente, sicché si impone di cassare la decisione da quello adottata e di rimettergli nuovamente la causa, onde faccia nuova e corretta applicazione della disciplina stessa;

che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Basilicata che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.