Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 22 gennaio 2016, n. 1198

Tributi - IRPEF - Costi di manutenzione di beni ammortizzabili - Imputazione ad un unico esercizio - Rettifica - Rimborso maggiori imposte versate negli esercizi successivi per effetto della mancata deduzione della quota di costo - Sussiste

 

Osserva

 

La CTR di Bari ha respinto l’appello dell’Agenzia - appello proposto contro la sentenza n. 5/07/2012 della CTP di Foggia che aveva accolto il ricorso di (...) (...) - ed ha così annullato il silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso proposta dal (...) delle maggiori imposte (IRPEF ed altro) versate per il periodo compreso tra il 1997 ed il 2001 e ciò in ragione del giudicato maturatosi (per effetto della sentenza n. 260/27/2008 della CTR di Bari) in ordine all’avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva recuperato costi di manutenzione di beni ammortizzabili dedotti oltre soglia in relazione ad un unico esercizio e non per quote costanti nei cinque anni di imposta successivi, come previsto per legge.

La predetta CTR - dopo avere dato atto che si trattava di questione concernente il rimborso di maggiori imposte derivanti dal recupero di costi indebitamente dedotti per effetto erronea imputazione temporale degli stessi - ha motivato la decisione nel senso che erroneamente la ricorrente aveva sostenuto che il rimborso non poteva essere riconosciuto prima del passaggio in giudicato della sentenza che accertava siffatta erronea imputazione, atteso che invece la menzionata sentenza della CTR di Bari era passata in giudicato proprio in ordine al capo concernente l’indeducibilità per erronea imputazione temporale dei costi di cui qui si discute, essendo stata la stessa sentenza impugnata dalla parte contribuente solo sugli altri e diversi capi (come risultava "inequivocabilmente" dal ricorso per cassazione allegato dalla stessa Agenzia). Quanto al resto la CTR riteneva che, poiché l’effetto di doppia imposizione derivante dal recupero dei costi erroneamente imputati poteva essere evitato mediante esercizio detrazione di restituzione (con decorrenza del termine di decadenza dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di accertamento dell’indebita detrazione), l’istanza della parte contribuente poteva trovare accoglimento, e riteneva che era priva di pregio la censura dell’Agenzia secondo cui in fattispecie consimili si verifica un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (che deve dimostrare che quel determinato costo non sia stato effettivamente dedotto) perché si trattava di doglianza inammissibile (siccome proposta per la prima volta in appello, per ciò che risultava evidente dalla lettura della sentenza di primo grado nella quale si diceva che fosse "pacifico tra le parti che si debba procedere alla riliquidazione delle dichiarazioni dei redditi ....con il riconoscimento di spese di manutenzione e riparazione....e conseguente rimborso delle maggiori imposte versate") nonché smentita "dalle dedotte circostanze di fatto", siccome il diritto al rimborso è sorto proprio a seguito dell’accertamento ed era stato perciò lo stesso Ufficio ad avere rilevato che le spese di manutenzione erano state erroneamente dedotte nel 1996 e non negli anni successivi.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si é difesa.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Infatti, con il primo motivo (centrato sulla violazione degli art. 1 e 36 del D.Lgs. 546/1992) e con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc) la ricorrente si duole della sentenza di secondo grado per essere stata questa redatta senza alcuna motivazione e comunque con motivazione apparente ed acriticamente appiattita sulle allegazioni di parte contribuente; si duole ancora per avere il giudicante (acriticamente aderendo alle deduzioni di parte contribuente in ordine al fatto che si fosse formato il giudicato in ordine alla indeducibilità dei costi) omesso di pronunciarsi sulle specifiche censure proposte dall’Agenzia appellante circa "l’insussistenza di acquiescenza parziale da parte dei ricorrenti per cassazione", con evidente violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Entrambi i motivi di impugnazione appaiono manifestamente infondati.

Il primo per avere il giudicante correttamente ed adeguatamente motivato il proprio convincimento in ordine alla questione sottoposta, anche a mezzo del richiamo dei documenti prodotti dalla stessa Agenzia, elemento di determinante discrimine tra il lamentato "appiattimento acritico" e l’autonoma considerazione critica dei fatti di causa; il secondo per avere il giudicante dato corretta e puntuale soluzione alle questioni controverse in punto di passaggio in giudicato della pronuncia con il rilievo della mancata impugnazione del capo della decisione qui rilevante, rilievo che costituisce implicita e assorbente soluzione della questione introdotta dalla parte qui ricorrente in termini di "acquiescenza", che deve perciò considerarsi affrontata e risolta, senza che la ricorrente abbia espressamente contestato la correttezza di siffatta soluzione.

Con il terzo motivo di impugnatone (centrato sulla violazione dell’art. 109 commi 1 e 2 del DPR n. 917/1986) la parte ricorrente - pur non disconoscendo il diritto del contribuente ad ottenere un’esatta computazione dei componenti negativi in base al principio di competenza - assumeva che avrebbe dovuto essere la parte contribuente a rendersi "attiva". Nella specie non poteva dirsi "certo il diritto alla deduzione delle spese sostenute in quanto non era ancora definitivamente certa l’imputazione all’esercizio di competenza". Quand’anche - poi - si raggiunga detta certezza, il contribuente non può chiedere il rimborso delle maggiori imposte versate nelle annualità successive, dovendo dimostrare di non avere dedotto alcuna quota di ammortamento nelle successive annualità, essendo appunto onere della parte provare l’esistenza dei presupposti legittimanti l’istanza di restituzione.

Il motivo di impugnazione ora in esame appare inammissibilmente formulato.

La parte ricorrente muove da astratte affermazioni di principio, senza tenere conto degli argomenti puntuali in ragione dei quali il giudicante ha raggiunto il proprio convincimento e perciò senza formulare alcuna critica a fronte di questi ultimi. D’altronde, il giudicante non ha affatto asserito che la parte ricorrente "non è tenuta a provare....", ma anzi ha (come si è detto) evidenziato che la censura di parte appellante è smentita "dalle dedotte circostanze di fatto" (oltre che inammissibile per la sua proposizione ex novo).

Non resta che considerare che il motivo di impugnazione appare per più versi inammissibile, vuoi per non essere stato censurato il rilievo (autonomo) di inammissibilità, vuoi per essere la censura distonica rispetto alla ratio decidendi adottata dal giudicante.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza ed inammissibilità.

Ritenuto inoltre:

- che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

- che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa il cui contenuto non induce la Corte a rimeditare le ragioni poste a sostegno della relazione;

- che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

- che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.