Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 gennaio 2016, n. 1071

Lavoro - Congedi e ferie - Modalità di fruizione - Maturazione - Uso aziendale

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 9687 del 2010, la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, condannava T. s.p.a. a corrispondere a F. A. la somma di € 1.724,41, oltre rivalutazione monetaria e interessi, a titolo di indénnità sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti negli anni 1998,1999 e 2000, per un totale di n. 27,02 giorni.

In sintesi, la Corte territoriale argomentava: a) che nell'ambito aziendale non esisteva una disciplina nettamente distinta tra congedi e ferie (diversamente da quanto sostenuto dalla società) dovendo tutti essere fruiti entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di maturazione e, in mancanza dell’espressa richiesta del lavoratore, era specifico obbligo dell'azienda far sì che la fruizione fosse effettiva e tempestiva; b) che il lavoratore aveva provato la mancata fruizione dei giorni di congedo indicati mediante la produzione del prospetto redatto dall’Inail; c) che non poteva ritenersi provata l'esistenza di un uso aziendale di riportare i congedi non fruiti entro l'anno di maturazione al successivo e così via, fino a giungere alla liquidazione dell’ indennità per i residui congedi non goduti alla cessazione del rapporto e che, comunque, detto uso, seppur esistente, non avrebbe comportato l'attribuzione generalizzata di un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva, perché tale non poteva considerarsi una prassi in base alla quale i lavoratori non avrebbero potuto fruire delle ferie loro spettanti senza neppure ricevere la relativa retribuzione; d) che era infondata la tesi dell'azienda secondo cui il lavoratore avrebbe fruito di un periodo di congedo anche per giornate non dovute ai sensi della L. n. 54 del 1977.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso ATAC s.p.a. (quale incorporante di T. s.p.a.) affidandosi a sei motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c.. F. A. è rimasto intimato.

 

Motivi della decisione

 

1.1 motivi di ricorso possono essere così sintetizzati:

1.1. Con il primo, ATAC s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione dell'art.112 c.p.c. e lamenta che la sentenza impugnata abbia condannato la società ricorrente a pagare congedi non goduti, sebbene la domanda del lavoratore avesse ad oggetto il pagamento dell'indennità sostitutiva di ferie non godute.

1.2. Con il secondo e il terzo motivo, ATAC denuncia, rispettivamente, vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 2109 c.c., 345 c.p.c., 22, all. A, r.d. n. 148/31 e 36 Cost., in cui sarebbe incorsa la gravata sentenza laddove ha ritenuto di equiparare le ferie ai congedi o permessi retribuiti, ossia a riposi diversi dalle ferie e regolati dalla contrattazione collettiva.

1.3. Con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c.(art. 360 c.p.c., n. 3).

Premesso che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, grava sul lavoratore che agisce in giudizio per chiedere la corresponsione dell’ indennità sostitutiva delle ferie non godute l'onere di provare l'avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, si assume che nel caso in esame il prospetto INAIL, ritenuto nell’ impugnata sentenza idoneo a dimostrare la mancata fruizione dei congedi, non avrebbe tale efficacia probatoria perché: a) la sua funzione tipizzata dalla legge, riguarda soltanto l'adempimento degli obblighi antinfortunistici; b) il legislatore non ha previsto affatto che in esso debba esservi anche l'indicazione delle ferie, dei riposi e dei congedi da fruire; c) reca solo la generica ed indistinta indicazione dei giorni di "congedo" ancora spettanti al lavoratore e, dunque, non può valere a dimostrare il diritto all'indennità per ferie non godute, comprendendo tra i "congedi" residui esclusivamente quelli spettanti ad un titolo diverso dalle ferie; d) l'azienda aveva provato documentalmente di aver fatto godere al dipendente, negli anni dal 1994 al 2000, mediamente di un numero di giorni di riposo superiore a 25.

1.4. Con il quinto motivo, prospetta un vizio di motivazione per avere la Corte territoriale negato l'esistenza della prova di una prassi aziendale di riportare i riposi eventualmente non goduti dal dipendente nella disponibilità dell’anno successivo e di monetizzarli, ove non fruiti nemmeno negli anni successivi, al momento di cessazione del rapporto.

1.5. Con il sesto motivo, si duole della violazione e falsa applicazione della legge n. 54/77, dell'art. 1 d.P.R. n. 792/85, degli artt. 1418 e 1362 e ss. c.c. in relazione agli accordi sindacali del 16.3.63 e del 7.3.69 e degli accordi interconfederali 27.7.78 e 14.11.78, nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe riconosciuto come dovuti dei permessi ¡previsti da accordi sindacali nulli perché contrari a norme imperative di legge.

2. Il ricorso non è fondato.

2.1. I primi tre motivi — da esaminarsi congiuntamente perché connessi - sono infondati.

La questione è stata già esaminata da questa Corte nelle sentenze n. 19829 del 2015, n. 17689/2014, n. 17688/2014 e n. 17687/2014, cui questo Collegio intende dare continuità. Anche in questo caso, come nei precedenti, nel ricorso introduttivo il lavoratore aveva chiesto il pagamento dell'indennità sostitutiva per le ferie non usufruite nonché per gli altri permessi a vario titolo dovuti e non goduti, cumulativamente considerati e risultanti dal prospetto elaborato dall’Inail, sul presupposto dell'insussistenza di una disciplina differenziata tra le ferie e gli altri congedi in quanto per entrambi sussisteva il diritto alla monetizzazione in caso di mancato godimento.

L'ATAC ha censurato la sentenza sul rilievo della mancata valutazione della diversa normativa delle ferie da quella dei riposi spettanti a titolo diverso, senza però indicare l'esistenza a livello aziendale di una disciplina differenziata tra ferie e congedi di diversa natura complessivamente compresi, di fatto, nella disciplina unitaria dei congedi. La ricorrente, dunque, sottolinea la diversa fonte istitutiva e regolatrice di tali congedi aggiuntivi, ma poi non evidenzia se tale diversa normativa sia di ostacolo al riconoscimento del diritto dei lavoratori ad una monetizzazione dei vari congedi riconosciuti dalle fonti contrattuali in caso di loro mancata fruizione. Ne consegue che correttamente la Corte di merito, interpretata la domanda del lavoratore come di pagamento dell'indennità sostitutiva riferita ai congedi non goduti, termine da intendersi in senso ampio e comprensivo tanto delle ferie che degli altri permessi, ha considerato unitariamente le ferie e gli altri giorni di permesso senza svolgere alcuna indagine specifica sulla diversa natura dei crediti azionati, al fine di scorporare le giornate di permesso e congedo non godute dalle ferie, riconoscendo anche per i primi, pur previsti da specifiche e diverse disposizioni contrattuali, il diritto a percepire l'indennità sostitutiva, in caso di mancata fruizione, al pari delle ferie ordinarie.

3.1. Il quarto motivo, come ritenuto in fattispecie analoga dalla già citata Cass. n. 17689 del 2014, è inammissibile in quanto, seppur denunciando una violazione di norme di diritto, nella sostanza finisce con il censurare unicamente la valutazione compiuta dai giudici di merito delle risultanze di causa e sollecita una richiesta di controllo sulla motivazione che si risolverebbe in un’inammissibile duplicazione del giudizio di merito (cfr.anche Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. 10657/2010, Cass. 990802010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).

In effetti la Corte d’ appello ha ritenuto provato l'assunto del lavoratore sulla scorta del prospetto INAIL, evidenziando che non vi era ragione di ritenere non veritieri i dati numerici in essi indicati proprio in considerazione della non differenziazione tra congedi, permessi e ferie esistente in azienda. È appena il caso di notare che nel motivo si contesta l’efficacia probatoria dei detti cedolini solo in modo generico e, poi, si afferma che il legislatore avrebbe indicato specificamente il loro contenuto nel D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 20 e ss. ed al D.P.R. n. 359 del 1994, art. 2, laddove, invece, in tali norme non è detto alcunché a tale riguardo.

2.4. Anche il quinto motivo è inammissibile, perché sollecita una diversa valutazione del merito della controversia prospettando una diversa valutazione del materiale probatorio in atti. La Corte d’ appello ha, infatti, analiticamente illustrato le ragioni per le quali non poteva ritenersi dimostrata l'esistenza di detto uso aziendale. In particolare, ha negato che il dato fattuale della reiterazione del comportamento aziendale nel tempo sia stato accompagnato da uno specifico intento negoziale, non essendo stata prodotta alcuna documentazione in tal senso, mentre, al contrario, risulta l'esistenza di un nutrito contenzioso che ha portato la necessità di un accordo sindacale (cui l'A. non ha aderito) per porre fine alla suddetta conflittualità, previo pagamento di un importo forfettario da parte dell'azienda. Né tali argomentazioni sono utilmente contestate, considerato che la società ricorrente produce l'ordine di servizio numero 395 del 1991, atto unilaterale proveniente dal datore di lavoro e quindi inidoneo a dimostrare un accordo aziendale, nonché l'accordo sindacale del 6 aprile 2001, che è stato specificamente richiamato dalla Corte d'appello.

2.5. Il sesto motivo è infondato.

Anche a tale riguardo deve darsi continuità all’orientamento espresso da questa Corte nelle sentenze innanzi ricordate, ribadendosi che l'accordo del 1963 prevedeva una riduzione di due ore dell’orario di lavoro per le giornate considerate solennità civili e per le altre giornate semifestive. L'accordo del 1969 stabiliva che tali riduzioni di orario nelle giornate semifestive fossero sostituite con la previsione di 4 giornate annue di permesso retribuito.

L'ATAC ritiene nulli detti accordi perché in contrasto con la sopravvenuta legge n. 54/77 nella parte in cui prevedono la conversione della riduzione di orario, vietata dalla nuova norma, in permessi retribuiti. Ritiene, altresì, nulli per contrasto con la L. n 54/77 l'accordo interconfederale del 27 luglio 1978 e l'accordo del 1969, che prevedono due giornate aggiuntive a compensazione (oltre che delle festività nazionali e religiose) delle solennità civili soppresse, con conseguente violazione del divieto di consentire riduzioni dell'orario.

Ritiene, invece, questa Corte Suprema che la ratio della legge n. 54/77 fosse quella di garantire la continuità del servizio impedendo ai lavoratori degli uffici pubblici di entrare dopo o uscire prima dell'orario normale. Ne consegue che la nullità non potrebbe riguardare i permessi giornalieri di cui agli accordi che non sono di riduzione di orario e che, usufruiti nelle giornate consentite dal datore di lavoro, non pregiudicano la continuità del sevizio per l'intero orario.

Del pari infondato è l'assunto secondo cui due delle cinque giornate annue di permesso a compensazione delle festività soppresse sarebbero divenute indebite, stante il ripristino dell'Epifania e della festività dei S.S. Pietro e Paolo in base al d.P.R. n. 792/85, essendo venuto meno il presupposto obiettivo ed essenziale in base al quale erano previste delle giornate di ferie aggiuntive. Va, invece, ribadito che l'entrata in vigore della L. n. 54/77 non aveva comportato automaticamente l'illegittimità dei riposi sostitutivi delle festività soppresse; che la compensazione di festività soppresse non costituiva, inoltre, causa o, comunque, presupposto essenziale della concessione dei riposi aggiuntivi. Ciò è dimostrato dal fatto che l'azienda aveva continuato negli anni a computare i congedi in questione e a riconoscerli ai lavoratori e che questa Corte ha avuto modo di precisare che l'art. 1 delle cit. legge n. 54/77 (il quale ha disposto, al comma 1, che cessano di essere considerati festivi agli effetti civili i giorni delle cinque festività religiose ivi indicate, e, al comma 2, che cessano di essere considerati festivi i giorni 2 giugno e 4 novembre) ha un'efficacia abrogativa generale, nel senso della pura e semplice soppressione di dette festività, comprese quelle civili succitate, essendo in contrario irrilevante che di queste la stessa norma abbia conservato (ma, rispettivamente alla prima domenica di giugno e di novembre) la celebrazione; pertanto, la disciplina economico- retributiva dei due giorni predetti è (anch'essa) riservata alla contrattazione collettiva, da interpretare nel rispetto dei canoni ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c.(cfr. Cass. n. 17724/11; Cass. n. 7212/92).

In breve, è infondato l'assunto secondo cui l'entrata in vigore della legge n. 54/77 avrebbe comportato automaticamente la nullità dell'accordo aziendale del 7 marzo 1969, così come l'assunto secondo cui la reintroduzione di due delle festività soppresse da parte del d.P.R. n. 792/85 avrebbe fatto venir meno il presupposto del riconoscimento di due (dei cinque) giorni di permesso previsti dagli accordi interconfedera!i del 27 luglio 1969 e del 14 novembre

3. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, essendo la parte vittoriosa rimasta intimata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.