Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 gennaio 2016, n. 967

Tributi - Accertamento - Costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti - Conoscibilità della fittizietà delle operazioni - Onere di prova a carico dell’ufficio - Elementi indiziari caratterizzati da gravità, precisione e concordanza

 

Ritenuto in fatto

 

1. L’Agenzia delle entrate, a conclusione del pvc redatto il 31.07.07 da funzionari dello stesso Ufficio e di quello redatto il 22.06.07 dalla G. di F., notificava alla società V. SRL l’avviso di accertamento n. RCB030701756, con il quale si determinavano imposte IRES di €.675.057,00, IRAP di €.94.288,00 ed IVA di €.258.072,00 per l’anno 2004.

In particolare venivano recuperati a tassazione componenti positivi di reddito non contabilizzati, costi non inerenti e costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, questi ultimi per €.1.924.999,00: il tutto connesso all’acquisto di autovetture di provenienza comunitaria da talune società italiane, qualificate come società interposte o cartiere, con l’effetto di ottenere i beni ad un prezzo competitivo e di usufruire di un’IVA detraibile sulle fatture ricevute.

2. Il ricorso proposto dalla contribuente veniva accolto in primo e secondo grado.

3. Con sentenza n. 273/01/10, depositata il 27.05.2010 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio dopo aver ricordato il principio secondo il quale l’Ufficio deve dimostrare che le operazioni sono soggettivamente inesistenti ed il contribuente deve dare prova di non aver avuto consapevolezza della rilevata falsità, concludeva affermando che a carico della società V. non erano emersi fatti che potevano far presumere il suo coinvolgimento o, comunque, la conoscenza dell’attività illecita svolta dalle società fornitrici e che gli indizi utilizzati dall’Ufficio, considerati singolarmente e nel loro complesso, non possedevano i prescritti caratteri di gravità, precisione e concordanza.

In particolare il secondo giudice affermava che le società fornitrici della V., e cioè le società C.M.A. SRL e la O.B.S. SRL, erano risultate coinvolte in una truffa ai fini IVA, nell’ambito di una "frode carosello"; tuttavia non riteneva sufficienti gli indizi proposti dall’Ufficio per sostenere la consapevolezza da parte della società V. che gli acquisti effettuati da queste fornitrici fossero riconducibili ad attività criminose; rilevava in particolare che la V. aveva documentato che gli acquisti in questione erano avvenuti a prezzi in linea con i relativi valori commerciali e che l’Ufficio non aveva provato il proprio assunto; che la qualificazione della C.M.A. come "cartiera" era stata smentita dalle testimonianze rese durante il procedimento penale a carico di M.V., che avevano confermato l’esistenza della sede legale e di autoveicoli nel piazzale.

4. La Agenzia ricorre per cassazione su tre motivi (che portano numerazione parzialmente errata); la contribuente replica con controricorso. In data 30.11.2015 il difensore costituito della V. SRL ha depositato istanza di rinvio così motivata "in conseguenza dell’intervento operatorio subito il 27.10. u.s., di cui alla allegata certificazione, il presente difensore è impossibilitato a presenziare all’udienza per legittimo impedimento".

 

Considerato in diritto

 

1.1. Preliminarmente va esaminata la richiesta di rinvio avanzata dal difensore.

1.2. Ricorda la Corte che, secondo consolidati principi, nel giudizio di cassazione, la comunicazione fatta dall'unico difensore di essere impossibilitato a presenziare all’udienza per legittimo impedimento deve essere accompagnata da idonea certificazione medica, altrimenti, mancando la prova del legittimo impedimento, il rinvio dell'udienza di cui all'art. 379 cod. proc. civ. non sarebbe giustificato (cfr. Cass. n. 24787/2010).

Inoltre l’'istanza di rinvio dell'udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell'art. 115 disp. att. cod. proc. civ., deve fare riferimento all'impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà generalmente consentita dall'art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 e tale da rendere riconducibile all'esercizio professionale del sostituito l'attività processuale svolta dal sostituto), venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all'organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell'udienza, (cfr. Cass. Ord. SS.UU. n.4773/2012; Cass. n. 22094/2014).

1.3. Orbene, sulla scorta di tali principi l’istanza va respinta.

Osserva la Corte che la documentazione medica versata in atti non attesta la impossibilità attuale a presenziare all’udienza. Invero l’unica prognosi, di quaranta giorni, si rinviene nella "relazione di dimissione ortopedica e fisiatrica", emessa in data 28.10.2015 a seguito di intervento chirurgico, e risulta oramai decorsa ed i successivi certificati del 04.11.2015 e del 23.11.2015, non contengono ulteriori prognosi. In particolare l’ultimo certificato, datato 23.11.2015, riferisce "rottura tendine di Achille sinistro in trattamento - si richiede visita specialistica ortopedica tra tre settimane", limitandosi a riportare la diagnosi ed a prescrivere la visita di controllo, senza attestare che la infermità sia temporaneamente invalidante e senza pronunciare una prognosi.

L’istanza inoltre non contiene alcun riferimento all'impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega.

2.1. Primo motivo - Motivazione insufficiente in ordine alla indebita contabilizzazione di costi per operazioni soggettivamente inesistenti (art. 360, comma 1, n.5, cpc) poiché, a parere della ricorrente la CTR non ha esaminato tutti i fatti, numerosi e decisivi, posti dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento e riportati nell’atto impositivo trascritto in ricorso, sia in relazione alle operazioni concluse con la C.M.A., sia alle operazioni concluse con la O.B.S., e diretti a comprovare la consapevolezza da parte della contribuente della esistenza di una frode.

2.2. Secondo motivo - Motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine in merito ai due unici fatti presi in esame dalla CTR per contestare la fondatezza del rilievo relativo alle operazioni soggettivamente inesistenti (art. 360, comma 1, n.3, cpc).

A parere della ricorrente la CTR, in ordine al ricarico irrisorio praticato dalle cessionarie, ha affermato che i prezzi praticati erano in linea con quelli di mercato senza spiegare su quale documentazione si sia fondata tale conclusione e senza tenere conto del fatto che l’Ufficio aveva riscontrato che la C.M.A. addirittura vendeva le auto sottocosto; inoltre la CTR nell’escludere la natura di "cartiera" della C.M.A., non ha considerato che l’Ufficio aveva fondato l’accertamento sulla circostanza che la società verificata trattava direttamente con i fornitori comunitari, per cui il fatto che la C.M.A. - soggetto interposto - fosse o meno una "cartiera" non elideva la fittizietà dell’operazione.

2.3. I due motivi sono connessi e possono essere trattati congiuntamente; sono fondati e vanno accolti.

2.4.1. Osserva la Corte che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed IRPEG, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all'Ufficio fornire la prova che l'operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/ committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un ‘operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (cfr. Cass. sent. n. 428/2015, n. 28683/2015, n.12802/2011, ).

2.4.2. Sul punto la Corte europea ha più volte ribadito che se - tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall'emittente della fattura, o comunque a monte dell'operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione - tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull'onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che - secondo la Corte di Lussemburgo - spetta al giudice del rinvio verificare (C. Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).

2.4.3. Di recente la Corte europea ha ulteriormente approfondito tali temi ed ha affermato che "Le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977,  in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare." (Corte Giust. 22.10.2015, C-277/14).

2.4.4. Ciò premesso, non può revocarsi in dubbio che l’Amministrazione possa fornire la prova anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l'IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d), e mediante elementi indiziari (cfr. Cass. 21953/07; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; 27718/13; 20059/2014; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C- 285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11).

2.4.5. Sulla scorta della pronuncia C-277/14, questa Corte di recente ha considerato che in alcuni casi "l'onere probatorio dell'amministrazione finisce con l'appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l'emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'IVA, o che disponga dei relativi documenti" (Cass. n. 24490/2015), rimarcando che tuttavia, continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario/committente a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l'esistenza appunto di irregolarità o di evasione; indizi, che devono essere allegati e provati dall'amministrazione in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi (tra varie, Cass. n. 20059/2014, n. 15044/2014).

2.4.6. Sotto questo aspetto, in via esemplificativa, possono essere valorizzati nel quadro probatorio, anche indiziario, che deve essere fornito dall'Amministrazione anche in merito alla presumibile assenza di buona fede del cessionario o committente, la circostanza che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione (cfr. Cass. n.5912/2010, Corte giust. 13 febbraio 2014, causa C-18/13), l'immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente) - a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell'attività economica e ad una non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (cfr. Cass, n.6229/2013, n.24426/2013, n.25778/2014); la instaurazione di rapporti diretti tra il cedente/prestatore effettivo interponente ed il cessionario/committente: si tratta infatti di utili elementi sintomatici potenzialmente capaci di consentire al cessionario o committente di rendersi conto o, almeno, di sospettare l'esistenza di irregolarità o di evasione.

In tal caso, sarà - di conseguenza - il contribuente a dover provare, in applicazione di principi ordinari sull'onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell'IVA versata (Cass. 6229/13).

2.4.7. In questo contesto, le censure si rivelano fondate.

2.4.8. Invero il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l'atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto censurabile in cassazione solo per vizi attinenti alla congruità ed alla coerenza logica della motivazione, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l'atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l'esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza, e ciò la CTR laziale non ha fatto poiché la disamina degli elementi indiziari offerti dall’Amministrazione risulta ampiamente carente.

2.4.9. Nel caso in esame, avendo riguardo alla prima censura, la CTR ha omesso di considerare molti degli elementi prospettati dall’Amministrazione e cioè, tra l’altro: che la C.M.A. acquistava autovetture provenienti da operatori comunitari, ma dall’esame della contabilità non risultavano le relative fatture di acquisto; che i pagamenti effettuati da V. erano eseguiti con bonifici che indicavano come causale "proposta di acquisto" ed erano precedenti alla consegna delle autovetture ed alla emissione delle fatture da parte della C.M.A.; che erano state rinvenute nella contabilità della V. quattro fatture per attività di ricerca sul mercato spagnolo delle autovetture poi acquistate tramite terzi interposti; che la C.M.A. vendeva costantemente le auto sottocosto; che il legale rapp. p.t. della O.B.S. era un prestanome ed aveva patteggiato la pena, che la sede della O.B.S. era presso il commercialista, che la attività della O.B.S. si era limitata ad un breve arco temporale; che V.M., rappresentante della V. SRL, aveva sempre intrattenuto rapporti direttamente con l’operatore spagnolo.

2.4.10. Con riferimento alla seconda censura, la CTR ha affermato che i valori di cessione degli autoveicoli dalla C.M.A. e dalla O.B.S. alla V. - inferiori ai prezzi di acquisto- erano in linea con i prezzi di mercato, senza illustrare le ragioni di tale assertiva conclusione ed ha escluso la natura di "cartiera " della C.M.A. senza considerare che tale natura era stata attribuita dall’Ufficio alla O.B.S. e non alla C.M.A. e che l’Ufficio aveva  evidenziato degli elementi sulla scorta dei quali riteneva di poter provare che i rapporti commerciali erano intercorsi direttamente tra i fornitori stranieri e la V., sui quali non ha svolto valutazione alcuna.

2.5. La sentenza impugnata palesa una evidente mancanza di sufficienza motivazionale su quanto evidenziato nei primi due motivi e va pertanto cassata.

3.1. Terzo motivo (erroneamente numerato come quarto) - Violazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 36 del DLGS n. 546/1992, dell’art. 112 cpc e dell’art. 277 cpc, richiamati dall’art. 1 del DLGS n.546/1992 (art. 360, comma 1, n.4, cpc).

La ricorrente denuncia la sentenza per aver omesso di pronunciarsi sui motivi di appello relativi agli altri due autonomi rilievi operati dall'Ufficio, per componenti positivi di reddito non contabilizzati per €.27.753,00 conseguenti a fatture ricevute dalla ditta "A. & G. di S.N.", e per componenti negativi di reddito non deducibili relativamente alle fatture emesse dalla società L.I. LLC per prestazioni di ricerche di mercato.

3.2. Il motivo è fondato in quanto la pronuncia sul punto è omessa.

4.1. Conclusivamente, il ricorso va accolto sui tre motivi; la sentenza impugnata va cassata e va rinviata alla CTR del Lazio per il riesame alla luce dei principi prima espressi e per la puntuale motivazione sugli elementi costituenti il compendio probatorio esposto dall’Amministrazione finanziaria, sulle risultanze istruttorie complessive e sugli elementi a discarico offerti dalla ricorrente originaria, oltre che per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il ricorso sui tre motivi;

- cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in altra composizione per il riesame e per la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.