Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 gennaio 2016, n. 989

Contratto di lavoro subordinato - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo - Trasferimento di azienda - Riduzione dei costi - Soppressione della posizione lavorativa

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso ex art. 414 cp.c, M.C. deduceva di aver lavorato per la D. s.p.a. (già D. s.r.l. e D. Civab s.r.l.), dal 1.10.2001, dapprima mediante la sottoscrizione di un contratto di agenzia e successivamente, dal 9.12.2010, con un contratto di lavoro subordinato e di essere stato licenziato in data 16.11.2011 per giustificato motivo oggettivo, nell'ambito di una procedura di trasferimento di azienda.

Il C. deduceva la nullità, l’inefficacia e/o l'illegittimità del licenziamento intimatogli con conseguente reintegra nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno commisurato al pagamento di tutte le mensilità maturate dal licenziamento sino alla reintegra nel posto di lavoro.

Si costituiva la società resistendo alla domanda, che veniva accolta con sentenza 23.4.12 dal Tribunale di La Spezia, rilevando che il preteso trasferimento di azienda non costituiva di per sé valida ragione di licenziamento.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società, rilevando che l'art. 2112 c.c. consentiva comunque alla cedente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo; resisteva il C.

Con sentenza depositata il 15-24 dicembre 2012, la Corte d'appello di Genova rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a quattro motivi.

Resiste il C. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo e secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt 2112 e 2697 cc., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).

Lamenta che la sentenza impugnata aveva incentrato la propria decisione su mere presunzioni connesse alla vicinanza del licenziamento all'operazione di fusione societaria, qualificabile come trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. Lamenta che la Corte di merito, violando la citata norma codicistica (che pure consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte della cedente), non esaminò se il licenziamento del C. era oggettivamente giustificato a prescindere dal trasferimento aziendale (fusione), opinando semplicemente in ordine alla prossimità del licenziamento con la detta fusione, inferendone erroneamente l'imputazione del licenziamento al detto trasferimento.

I motivi, da esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono inammissibili per richiedere sostanzialmente alla Corte un nuovo apprezzamento dei fatti.

Deve al riguardo in primo luogo rilevarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione dei giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis, Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

E'evidente che nella specie si lamenta un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, e dunque di una censura per vizio di motivazione. Deve poi rimarcarsi che nella specie trova applicazione, ratione temporis, il novellato n. 5 del comma 1 dell'art. 360 c.p.c che ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, specificamente indicato, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori non integra invece di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente deve al riguardo indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso" (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881). Tale chiara indicazione non sussiste nella specie.

I motivi sono comunque infondati posto che la sentenza impugnata ha rilevato che: a) la lettera di licenziamento del 16.11.2011 era stata motivata dalla necessità di razionalizzare la struttura anche attraverso la riduzione di costi che nella specie si traduceva nella soppressione della posizione lavorativa del C. (la ricorrente deduce che interessò molte altre unità ma nulla documenta al riguardo); che dunque, b) il licenziamento era avvenuto per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle sottese alla fusione per incorporazione di tutte le società D. nella sola D. Srl; che inoltre, c) anche nella comunicazione inviata alle oo.ss. ex art. 47 L. 428/1990 si faceva riferimento alla necessità di semplificare i processi societari, amministrativi e finanziari, e dunque alle stesse motivazioni di cui alla lettera di licenziamento, argomentando peraltro dalla data di cancellazione dal registro delle imprese della D. Civab, avvenuta il 15.12.2011, mentre la fusione divenne efficace a decorrere dal 31.12.2011, ritenendo pertanto che gli scopi e le motivazioni della fusione dovevano essere ben presenti ai vertici di D. Civab s.r.l. già al momento del licenziamento e coincidevano con la motivazione dello stesso. La sentenza impugnata ha dunque accertato l'insussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale, essendo il recesso stato intimato sostanzialmente in ragione del trasferimento di azienda effettuato. Trattasi di accertamenti congruamente motivati, giuridicamente corretti ed immuni da vizi logici, non adeguatamente censurati (e del resto neppure censurabili in base al nuovo testo del n. 5 dell'art. 360 c.p.c.) dalla ricorrente.

2. - Con il terzo e quarto motivo la società lamenta la violazione del costante orientamento giurisprudenziale in materia di licenziamento e trasferimento d'azienda ex art. 2112 c.c., anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata dettata dall'art. 24 Cost.

Lamenta che l'art. 2112, quarto comma, cod. civ., nel disporre che il trasferimento non può essere di per sé ragione giustificativa di licenziamento, aggiunge che l'alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale; ne consegue che il trasferimento di azienda non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che questo abbia fondamento nella struttura aziendale, e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo (Cass. n.15495\2008). Si duole che il mancato approfondimento dell'istruttoria aveva preduso di accertare che il licenziamento in questione era motivato da ragioni obiettive diverse da quelle connesse al trasferimento d'azienda, violando così il diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Anche tali motivi, che per la loro connessione possono congiuntamente esaminarsi, sono infondati, per le medesime ragioni esposte sub 1) e cioè per avere la Corte di merito adeguatamente motivato arca !Insussistenza nella specie di un effettivo giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale, essendo piuttosto quest'ultimo stato intimato a causa del trasferimento d'azienda, e dunque illegittimamente. Il motivo è per il resto inammissibile, non essendo stato chiarito il contenuto dei capitoli di prova di cui sarebbe stata chiesta l'ammissione, in contrasto col principio di autosufficienza del ricorso (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915; Cass. ord. 16.3.12 n. 4220; Cass. 9.4.13 n. 8569).

3. - Il ricorso deve dunque rigettarsi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 100,00 per esborsi, € 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.