Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 gennaio 2016, n. 968

Tributi - Contribuente iscritto all’AIRE e residente in Kenia - Reddito da pensione italiana - Tassazione agevolata in base alla Convenzione Italia-Kenia - Convenzione non ratificata - Recupero maggiori imposte - Esclusione sanzioni e interessi

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso ritualmente proposto innanzi alla CTP di Milano il contribuente A. A. impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria, rilevato che il contribuente, trasferitosi in Kenia dal marzo 1993 ed ivi residente da quella data e contestualmente iscritto all’AIRE, aveva indebitamente beneficiato di una ritenuta ad aliquota agevolata sui redditi di pensione, in applicazione di una Convenzione tra Italia e Kenia, senza tuttavia che questa fosse mai entrata in vigore, aveva proceduto a rettifica Irpef per l’anno 1999, applicando interessi moratori e sanzioni di legge.

La CTP di Milano accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo non dovuti interessi e sanzioni in considerazione della buona fede del contribuente.

La CTR, respinti l’appello in via principale dell’Agenzia e l’appello incidentale del contribuente, confermava la sentenza della CTP.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, l’Agenzia delle Entrate.

Il contribuente ha resistito con controricorso ed ha altresì proposto ricorso incidentale, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., cui l’Agenzia ha resistito, a sua volta, con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso principale ex art. 369 n. 4) c.p.c. per il mancato deposito di atti e documenti da parte dell’Agenzia sollevata nel controricorso del contribuente.

Il ricorso dell’Agenzia non richiama invero alcuno specifico documento, né risulta la mancata produzione di alcun documento rilevante ai fini della definizione della questione (applicabilità di sanzioni ed interessi al contribuente) oggetto del ricorso (Cass. Ss.Uu.6496/2015).

Ciò posto appare opportuno esaminare anzitutto, per ragioni di priorità logica, il ricorso incidentale del contribuente, che censura i capi della sentenza impugnata aventi ad oggetto gli stessi presupposti dell’accertamento, mentre l’Agenzia contesta unicamente il capo della sentenza avente ad oggetto la mancata applicazione di interessi e sanzioni.

Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 60 comma 1 Dpr 600/73 e 6 comma 1 L. 212/00 in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., deducendo l’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento in quanto, sebbene effettuata nel Comune di domicilio fiscale del contribuente, essa si era perfezionata in un luogo in cui il contribuente, residente in Kenia, non aveva eletto domicilio fiscale , né aveva abitazione, ufficio o azienda.

Il contribuente sostiene dunque che, ai sensi dell’art. 60 Dpr 600/73, la notifica dell’atto avrebbe dovuto effettuarsi, a pena d’inesistenza, mediante deposito dell’atto nella casa comunale ed affissione dell’avviso di deposito nell’Albo del Comune.

La censura non ha pregio.

Risulta infatti che la notificazione dell’avviso di accertamento sia stata effettuata presso il Comune ed all’indirizzo in cui si trovava il domicilio fiscale del contribuente.

Ora, il contribuente non contesta che il proprio domicilio fiscale non corrisponda all’indirizzo ove è stata effettuata la notifica né che il reddito sia stato prodotto nel Comune di Milano, limitandosi a rilevare di aver trasferito la propria residenza all’estero, di non avere eletto domicilio nel Comune di Milano e di non avere in detto Comune abitazione, ufficio o azienda.

Orbene una volta che la notifica sia stata effettuata nell’indirizzo indicato quale domicilio fiscale del contribuente, corrispondente, nel caso di specie, all’abitazione della figlia del medesimo, ancorché questi sia residente all’estero e regolarmente iscritto all’AIRE, il mancato rispetto delle forme previste dall’art. 60 lett e) Dpr 600/73, ed anzi dell’art. 142 c.p.c., come stabilito nella sentenza della Corte Costituzionale n. 366/2007, non configura un’ipotesi di inesistenza, ma, se del caso, di nullità della notificazione, sanata dalla tempestiva proposizione del ricorso da parte del contribuente.

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione degli artt. 60 Dpr 600/73 e 148 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.3) c.p.c., lamentando che la CTR abbia respinto l’eccezione di inesistenza della notifica per sottoscrizione illeggibile del messo notificatore, da equipararsi all’ipotesi di mancata sottoscrizione.

Il motivo non ha pregio.

La nullità di un atto non dipende dalla illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un pubblico ufficio, ma dall’impossibilità oggettiva di individuare l'identità del firmatario, senza che rilevi la soggettiva ignoranza di alcuni circa l'identità dell'autore dell'atto. Pertanto, nel caso di sottoscrizione illeggibile della relata di notificazione di un avviso di accertamento, spetta al contribuente, superando la presunzione che il sottoscrittore - qualificatosi nell'atto come titolare di un pubblico ufficio (nella fattispecie, messo comunale) - aveva il potere di apporre la firma, dimostrare la non autenticità di tale sottoscrizione o l'insussistenza della qualità indicata, con la conseguenza che, in assenza di una tale dimostrazione, va escluso il vizio di nullità (o di inesistenza) della notificazione (Cass. 16407/2003, 7838/2015).

Con il terzo motivo di ricorso il contribuente denunzia l’illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 36-bis Dpr 600/73, in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., lamentando che l’Amministrazione non abbia fatto ricorso alla procedura di cui all’art. 36 bis Dpr 600/73, pur trattandosi, nel caso di specie, di mero errore materiale.

La censura è infondata.

Si osserva infatti che la fattispecie in esame è esterna al perimetro di applicabilità dell’art. 36 bis Dpr 600/73 in quanto non si tratta di mero errore materiale del contribuente, ma di un vero e proprio errore in diritto , come ritenuto dalla CTR, relativo alla ritenuta vigenza della Convenzione Italia- Kenia che non era invece entrata in vigore.

Deve dunque escludersi l’applicabilità della disciplina dell’art. 36 bis Dpr 600/73, relativa alle sole ipotesi di meri errori materiali od errori di calcolo, direttamente desumibili dalla dichiarazione e quindi rilevabili all’esito di un controllo formale.

Con il quarto motivo di ricorso si denunzia nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 53 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 n.4) c.p.c., in relazione alla reiezione da parte della CTR del motivo di appello relativo alla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, in ordine alla mancata deducibilità di spese sanitarie, interessi passivi per mutui ipotecari, spese per l’assicurazione sulla vita e detrazione per il coniuge a carico.

La censura è infondata.

La CTR ha infatti ritenuto la genericità del motivo di appello e comunque l’infondatezza dello stesso, rilevando l’inidoneità della censura proposta.

Tale statuizione è conforme a diritto.

Ed invero, a fronte dell’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla CTP, secondo cui l’atto impositivo è adeguatamente motivato se risultano correttamente indicate le violazioni contestate ed i riferimenti normativi, l’appellante ha omesso di specificare le ragioni per le quali, nel caso di specie, il mero richiamo alle disposizioni normative, contenuto nell’avviso di accertamento, fosse insufficiente a porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni dalle quali derivava la pretesa fiscale con quel grado di determinatezza ed intellegibilità tale da consentirgli di valutare l’opportunità dell’impugnazione (Cass. 5645/14) e, conseguentemente, un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (Cass. 7056/14).

Passando al ricorso principale dell’Agenzia, con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 D.lgs. 472/97 in relazione all’art. 360 n.3) c.p.c., deducendo la carenza del presupposto per l’applicabilità di detta disposizione, non sussistendo l’oggettiva incertezza normativa.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 D.lgs. 472/97 e della L. 29/61 in relazione all’art. 360 n.3) c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver fatto discendere dalle condizioni di incertezza normativa di cui all’art. 6 d.lgs. 472/97 la mancata applicazione degli interessi moratori sulle maggiori imposte dovute ai sensi della L. 29/61.

Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. della sentenza della CTR, in relazione all’art. 360 n.4) c.p.c., per avere essa affermato l’inapplicabilità di sanzioni amministrative ed interessi moratori, sul presupposto di fatto dell’essersi il contribuente conformato ad indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria senza che tale circostanza sia mai stata dedotta dal contribuente medesimo.

Con il quarto motivo si denunzia contraddittoria motivazione su un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360 n.5) c.p.c., lamentando che la CTR abbia ritenuto l’inapplicabilità di sanzioni amministrative ed interessi moratori, sul presupposto che il contribuente si sia conformato ad indicazioni fomite dall’Amministrazione finanziaria, nonostante che questi abbia invece seguito le indicazioni fomite dall’Ambasciata d’Italia e dall’Inpdai.

Deve senz’altro rilevarsi, avuto riguardo alla questione cui si riferiscono tutti i motivi del ricorso dell’Agenzia, vale a dire l’irrogazione di sanzioni amministrative ed interessi derivanti dall’accertamento, la cessazione della materia del contendere in conseguenza del decesso del contribuente.

Ed invero il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 ha espressamente previsto all'art. 8 che l'obbligazione al pagamento della sanzione amministrativa per violazione di norme tributarie non si trasmette agli eredi, come del resto, anche prima dell’entrata in vigore detta norma, si affermava in forza dell’art. 7 L. 689/81, applicabile alla materia tributaria.

Da ciò discende la cessazione della materia del contendere sia in ordine alla sussistenza della responsabilità, che all'entità della sanzione applicata e la dichiarazione di tale cessazione può essere effettuata anche dalla Corte di cassazione, dinanzi alla quale la documentazione dell'avvenuto decesso può essere depositata ai sensi dell'art. 372 c.p.c. (Cass. 22199/2010).

La cessazione della materia del contendere assorbe la questione del c.d. "giudicato esterno" sollevata su tale capo della sentenza impugnata dal contribuente.

Considerate le ragioni della decisione, va disposta l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Dichiara cessata la materia del contendere sul ricorso principale.

Respinge il ricorso incidentale.