Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 gennaio 2016, n. 748

Accertamento fiscale - Maggior reddito relativo all'attività esercitata - Cartella di pagamento

 

Ritenuto in fatto

 

Nella controversia avente ad origine dall'impugnazione da parte di G.C. di avviso, con il quale era stato accertato, per l'anno 2001, un maggior reddito relativo all'attività esercitata di "fabbricazione di prodotti di panificio", e della conseguente cartella di pagamento, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia-Sezione distaccata di Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l'appello, proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la decisione di grado, con la seguente motivazione: "Nel merito l'appello è ai limiti dell'ammissibilità e va rigettato. Invero l’Agenzia, premessa la citazione di arresti di legittimità che occupano una facciata e mezzo dell'atto, si è limitata alla critica apodittica della sentenza, senza neanche soffermarsi sugli snodi della motivazione ed ha geneticamente richiamato gli allegati al p.v.c. Ne deriva la difficoltà del Collegio di comprendere e focalizzare i passaggi censurabili della pronuncia e quindi asseritamente meritevoli di riforma; in ogni caso, la sentenza è condivisibile sotto ogni profilo".

Avverso la sentenza ricorre l'Agenzia delle Entrate affidandosi ad unico motivo.

Il contribuente resiste con controricorso.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380-bis c.p.c. è stata fissata l'adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il contribuente ha depositato memoria.

 

Considerato in diritto

 

1. Con l'unico motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 36 del d.lgs. n. 546/1992 e 118 disp. Att. c.p.c. in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.

In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la sentenza impugnata, oltre ad essere priva dell'esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, contiene una motivazione in diritto estremamente succinta e, di per sola, sostanzialmente intellegibile. Il Giudice di appello, inoltre, aveva ritenuto condivisibile la sentenza di primo grado senza, però, specificarne i motivi e non consentendo di comprendere l’iter logico seguito, ignorando del tutto le circostanziate censure svolte dall'Amministrazione nell'atto di appello.

2. La censura è fondata alla luce del consolidato principio affermato da questa Corte secondo cui è "legittima la motivazione "per relationem" della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve, viceversa, essere cassata la sentenza d'appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all'affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame"(tra le altre Cass. n. 15483 del 11/06/2008). Principio, peraltro, di recente ribadito, anche con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c., dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali hanno statuito che la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Sez. U, sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e negli stessi termini Cass. ordinanza n. 21257 del 08/10/20).

3. La sentenza impugnata, per la estrema laconicità ed apoditticità delle argomentazioni svolte (come sopra integralmente trascritte) sia in punto di inammissibilità dell'appello che di condivisione della decisione di primo grado, reca una motivazione meramente apparente e, come tale, nulla.

4. Né le argomentazioni svolte dal contribuente in memoria appaiono, ad avviso del Collegio, idonee a confutare tale soluzione, dovendosi, peraltro, evidenziare l'inammissibilità dell'eccezione, ivi sollevata, di tardività dell'appello in quanto formulata in termini generici e, quindi, inidonei ad offrire alla Corte la rappresentazione del fatto processuale da conoscere ai fini dell'esercizio dei propri poteri officiosi. Se, infatti, non vi sono ragioni per discostarsi dal principio secondo cui l'inammissibilità dell'appello per deposito del relativo atto oltre il termine annuale di decadenza previsto dall'art. 327 cod. proc. civ., comma 1, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in sede di legittimità, e non è sanata dalla costituzione dell'appellato, in quanto la tardività dell'impugnazione implica il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (Cass. 2260/90, Cass. 4094/93, Cass. 2203/96, Cass. 4601/00, Cass. 12794/00, Cass. 13427/01, Cass., 4704/05), deve tuttavia considerarsi che la parte che lamenti la mancata rilevazione della tardività dell'appello da parte del giudice di merito e solleciti la Corte di cassazione ad effettuare essa, nell'esercizio dei propri poteri ufficiosi, detta rilevazione, non può demandare alla Corte una funzione genericamente esplorativa, volta a ripercorrere l'intero sviluppo delle attività procedimentali poste in essere dalle parti e dai giudici nel corso delle fasi di merito del processo, ma ha l'onere di indicare gli elementi di fatto sui quali richiede la verifica della Corte (così Cass. n. 10440/2013).

Nella specie, il controricorrente, nella propria memoria, nel rilevare che il ricorso in appello è comunque inammissibile perché proposto tardivamente, si è limitato ad allegare la data di deposito della sentenza impugnata e della notificazione dell’impugnazione senza offrire alcuna indicazione in ordine alle modalità di notifica del ricorso in appello e, in relazione a queste ultime, alla data di cui il ricorso in appello sia stato consegnato all’ufficiale giudiziario o, alternativamente, spedito a mezzo posta. La prospettazione della tardività dell’appello avanzata dal ricorrente è dunque priva dell’indicazione degli elementi di fatto in base alla cui verifica ex actis la Corte potrebbe rilevare di ufficio tale tardività e, pertanto, risulta inidonea ad attivare l’esercizio dei poteri officiosi di controllo della legalità del procedimento.

5. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia la quale provvederà anche al regolamento delle spese.

 

P.Q.M.

 

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia la quale provvederà anche al regolamento delle spese.