Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 gennaio 2016, n. 703

Lavoro - Indennità di funzione - Illegittimità - Nullità parziale del contratto ex art. 1419 c.c.

 

Svolgimento del processo

 

1. Il ricorrente conveniva in giudizio C.-Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A. esponendo di essere stato dipendente della predetta società in qualità di funzionario; che gli accordi aziendali avevano suddiviso la categoria dei funzionari dapprima in tre gradi (contratto 8/6/1993) e poi in cinque gradi (contratto 24/4/1997); che tale suddivisione o scala classificatoria era illegittima perché non basata sul contenuto delle mansioni o gerarchia di funzioni ma solo su differenze di retribuzione, in relazione al diverso importo dell'indennità di funzione. Rilevava l'illegittimità di tale regolamentazione per contrarietà al disposto degli artt. 2103 c.c. e 96 disp att. c.c., i quali postulano una corrispondenza biunivoca di mansioni e qualifiche, nonché per contrarietà alla contrattazione collettiva nazionale (art. 3 c. 3 e 18 CCNL 16/6/1995) e a qualsiasi criterio razionale. Tanto premesso, il ricorrente chiedeva, essendo stato inquadrato nel grado minimo, di avere diritto, in conseguenza della declaratoria di nullità della clausola illegittima, che gli venisse attribuita l'indennità di funzione prevista per il grado massimo o, in subordine per il grado medio di funzionario, con condanna della convenuta al pagamento delle relative differenze (di stipendio, di trattamento di fine rapporto, di incentivo all'esodo, di prestazioni di previdenza integrativa aziendale, oltre che di contribuzione previdenziale).

3. Il giudice di primo grado, ritenuta la nullità della clausola relativa alla graduazione per contrarietà a norma imperativa (individuata nel principio di necessaria correlazione tra mansioni, qualifica e corrispondente trattamento retributivo enucleabili dall'art. 96 disp. att. e dall'art. 2103 c.c.), riteneva criterio correttivo utile quello della determinazione dell'importo intermedio previsto dalle parti collettive aziendali nell'ambito del ventaglio della graduazione.

4. A seguito di impugnazione di C.-Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A. la Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 14/10/2010, richiamata la disciplina della nullità parziale del contratto ex art. 1419 c.c., sulla scorta della quale l'ex dipendente rivendicava le spettanze collegate al grado massimo della scala, osservava che, in mancanza di essenzialità della clausola colpita da nullità, doveva ritenersi operante il principio di conservazione del contratto, con inserimento di diritto di clausole ex art. 1339 c.c. In applicazione di questi principi riteneva che l'unico importo della indennità di funzione che poteva essere, preteso da tutti i funzionari in forza della clausola depurata dalla graduazione era quello più basso, non ravvisandosi norme che impongano l'adozione di un valore specifico nell'ambito del ventaglio previsto dalle parti. Rilevava che l'attribuzione di importi dell’indennità di funzione superiori al minimo era da qualificare, per la parte eccedente, come riconoscimento di un superminimo a discrezione del datore di lavoro. In riforma della sentenza di primo grado rigettava, pertanto, la domanda.

5. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore con unico articolato motivo, illustrato mediante memorie. La C.-Cassa di Risparmio Ascoli Piceno S.p.A. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con l'unico motivo il ricorrente deduce falsa applicazione dell'art. 1419 c.c. e dell'art. 2077 c.c., contraddittorietà della motivazione. Rileva che se la nullità riguarda l'articolazione in cinque qualifiche, nulla autorizza a dire che l'unica qualifica esistente sia quella per la quale l'accordo illegittimo ipotizza il valore retributivo più basso, così come è erroneo sul piano logico l'assunto secondo il quale gli altri quattro valori costituiscono espressione del potere datoriale di concedere superminimi individuali o collettivi.

2. Va preliminarmente rilevato che il ricorso deve reputarsi improcedibile ai sensi dell'art. 369 n. 4 c.p.c., in ragione della mancata produzione integrale del contratto collettivo della cui nullità si discute, produzione indispensabile ai fini della valutazione in ordine a detta nullità e alle sue conseguenze in punto di sostituzione delle clausole nulle.

3. Si evidenzia, in ogni caso, che la sentenza della Corte territoriale risulta, per un verso, rispettosa della disciplina attinente alla nullità parziale del contratto, poiché in essa si indica un criterio obiettivo per la sostituzione delle clausole dichiarate nulle; per altro verso, non contrastante con il disposto dell'art. 2077 c.c., poiché, travolta dalla nullità la clausola contrattuale, alla medesima non può attribuirsi alcuna efficacia alla stregua della citata disposizione.

4. Per quanto attiene, poi, ai rilievi attinenti a presunti vizi motivazionali riguardo alla scelta del "grado" assegnabile, si evidenza che gli stessi investono sostanzialmente valutazioni di merito sottratte al sindacato di legittimità, posto che il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità (dall'art. 360 n. 5 c.p.c.) - non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, revisione che si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, estranea alla funzione attribuita dall'ordinamento al giudice di legittimità (v. Sez. L, Sentenza n. 3161 del 05/03/2002, Rv. 552824, Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014, Rv. 629382). Nessuna rilevanza in termini di decisività possono assumere, infine, i profili di censura attinenti alla qualificazione come superminimi a discrezione del datore di lavoro degli importi superiori eventualmente corrisposti per indennità di funzione, profili che investono argomentazioni eccedenti il nucleo motivazionale essenziale della decisione ed estranee alla ratio decidendi che sostiene la medesima.

4. Per tutte le ragioni indicate il ricorso va rigettato. L'esito alterno delle fasi processuali giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese.