Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 gennaio 2016, n. 485

Lavoro - Inquadramento - Differenze retributive - Svolgimento di mansioni superiori

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 1768/11, decidendo sull’impugnazione proposta da Di C. R. nei confronti del Ministero del lavoro, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Brindisi, n. 632 del 2007, accoglieva l’impugnazione e condannava il Ministero al pagamento a favore dalla lavoratrice della somma complessiva di euro 14.042,96, oltre interessi legali come per legge.

2. La Di C. aveva adito il Tribunale per sentir dichiarare l’illegittimità dell’inserimento, in fase di prima applicazione del CCNL 1998-2001, degli addetti alla vigilanza (ex VI livello) nell’area B3, sulla scorta della relativa tabella B, e in subordine la condanna del Ministero del lavoro al pagamento delle differenze retributive tra la posizione B3 - nella quale la Di C., già addetta alla vigilanza, era stata inquadrata a seguito dell’accorpamento disposto dal CCNL comparto Ministeri 1998-2001 - e quella C2, o in subordine Cl, in ragione dell’espletamento di mansioni superiori.

2. Il Tribunale rigettava le domande.

3. La Corte d’Appello riconosce il diritto alla corresponsione delle differenze retributive con riguardo alla posizione economica Cl.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado appello ricorre il Ministero del lavoro e politiche sociali, prospettando un motivo di impugnazione.

5. Resiste la lavoratrice con controricorso e ricorso incidentale, articolato in quattro motivi.

6. La Di C. ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

 

Motivi della decisione

 

1. Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi, in quanto proposti avverso la medesima sentenza della Corte d’Appello.

1.1. Con l’unico motivo di ricorso il Ministero ha dedotto violazione e falsa applicazione delle disposizioni della contrattazione collettiva ed in particolare degli artt. 13, commi 4 e 5, 15 e 16 del CCNL comparto Ministeri 1998-2001; violazione degli artt. 3/q e 10, lettera B, del CCNL integrativo del Ministero del lavoro del 14 ottobre 2000; erronea applicazione degli artt. 45, c. 2, e 52, del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, n.3, c.p.c.

Assume il ricorrente che la lavoratrice correttamente è stata inquadrata in B3, livello al quale corrisponde l’attività svolta, per cui non potevano essere riconosciute differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori.

1.1. Il motivo non è fondato.

Occorre ricordare che questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 16038 del 2010, cui adde Cass., n. 4273 del 2011, ha affermato che "in tema di pubblico impiego privatizzato, la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva nel settore pubblico, che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato. Ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, art. 45 non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo".

Le S.U., nell’enunciare il principio, hanno ritenuto la validità della collocazione in area B posizione economica 3 del personale già inquadrato nella soppressa 6A qualifica funzionale, conformemente alle previsioni della tabella di corrispondenza del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Ministeri per il triennio 1998/2001.

La Corte di Appello di Lecce, si è attenuta a tale principio ritenendo corretto l’inquadramento in B3, e, quindi, nel vagliare la ulteriore domanda relativa allo svolgimento delle mansioni superiori ai fini del riconoscimento delle differenze retributive, ha esaminata la disciplina del CCNL e della contrattazione integrativa nel quadro del disposto di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, ritenendo sussistente lo svolgimento continuativo e sistematico di mansioni ispettive riconducibili alla posizione economica Cl, superiore rispetto a quella nella quale era inquadrata e retribuita la C..

1.2. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Con il ricorso incidentale sono dedotti i seguenti motivi di impugnazione.

2.1. Violazione della normativa contrattuale, all. A CCNL 1998-2001, scheda 10, area funzionale C, posizione economica C2. Erronea applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c..

La ricorrente richiama le declaratorie contrattuali relative alla area funzionale C, di cui al CCNL comparto Ministeri 1998-2001, contestando che le mansioni ispettive accertate fossero riconducibili alla posizione Cl, come affermato dalla Corte d’Appello, atteso che si riferiscono alla stessa "attività istruttorie che non abbiano rilevanza esterna", mentre la Di C. compiva, in particolare, autonomamente accertamenti, redazione e sottoscrizione verbali.

2.2. Omesso apprezzamento dei documenti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c..

La ricorrente richiama la documentazione in atti che avrebbe dovuto indurre a ritenere lo svolgimento di attività ispettiva di cui all’area C, posizione C2.

2.3. Vizio di motivazione di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.., con riguardo alle risultanze processuali che in relazione alle declaratorie contrattuali, sostanziavano l’ascrivibilità all’area C, posizione economica C2, dell’attività svolta dalla C..

2.4. I primi tre motivi del ricorso incidentale devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

Gli stessi non sono fondati, in ragione delle disposizioni contrattuali relative alle aree e profili economici che vengono in rilievo e dell’accertamento di merito effettuato in relazione alle stesse, con riguardo alla posizione della Di C., dalla Corte d’Appello.

Occorre premettere che nell’area B3 è inquadrato il "lavoratore che, nei diversi settori di competenza, elabora dati e situazioni complesse anche utilizzando strumentazioni informatiche, rilascia copie, estratti e certificati, esplica attività di segreteria in commissioni, attività di istruttoria sulla base di procedure predefinite", mentre nei contenuti professionali CI rientra il "lavoratore che può coordinare o dirigere unità senza rilevanza esterna nei diversi settori di competenza provvedendo agli adempimenti previsti nell’ambito di normative generali, emana direttive ed istruzioni specifiche per il raggiungimento degli obiettivi assegnati", e nei contenuti professionali C2 rientrano i "lavoratori che dirigono o coordinano unità organiche anche di rilevanza esterna, la cui responsabilità non è riservata a dirigenti, garantendo lo svolgimento dell’attività di competenza, ovvero che svolgono attività ispettive, di valutazione, di controllo, di programmazione e di revisione o, ancora, che effettuano studi ed analisi, svolgono attività di ricerca, studio e consulenza".

Tenuto conto che nell’interpretazione del contratto collettivo, è necessario procedere, ai sensi dell’art. 1363 cc, al coordinamento delle varie clausole contrattuali, anche quando l’interpretazione possa essere compiuta sulla base del senso letterale delle parole, senza residui di incertezza, poiché l’espressione "senso letterale delle parole" deve intendersi come riferita all’intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale e non già limitata ad una parte soltanto, qual è ima singola clausola del contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e confrontare fra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato, tenendo altresì conto del comportamento, anche successivo, delle parti (Cass., n. 19779 del 2014), il criterio differenziale tra CI e C2 non va rintracciato nell’autonomia operativa, ma nella capacità decisionale in ordine agli obiettivi, cui si riconnette un più elevato livello di responsabilità, e nel compito di programmare T attività ispettiva.

Le deduzioni contenute nel ricorso incidentale, anche per il tramite del richiamo di documentazione in atti, che-fondano su una interpretazione delle declaratorie contrattuali che non può essere condivisa per le argomentazioni sopra esposte, fanno sì riferimento ad atti di natura ispettiva e non meramente accertativa, aventi rilevanza esterna, ma non all’assenza di una programmazione dell’attività ispettiva svolta dalla C. da parte di un soggetto diverso, in quanto detta programmazione sarebbe stata rimessa alla stessa Di C., compito che, qualora circostanziato, avrebbe consentito di vagliare la riconducibilità in C2 dell’attività della suddetta lavoratrice.

3. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta violazione degli art. 420, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c. Omessa motivazione.

3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non riproduce i capitoli di prova della cui mancata ammissione si duole. Qualora venga denunziata, in sede di legittimità, la mancata ammissione di un mezzo di prova da parte del giudice di merito - il quale peraltro non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente la richiesta di mezzi istruttori avanzata dalle parti qualora la superfluità degli stessi possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata - è necessario che vengano fomite, da parte del ricorrente, specifiche indicazioni in ordine alle circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo - che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere effettuato sulla sola base delle deduzioni contenute in tale atto, senza che alla genericità e lacunosità delle stesse possa sopperirsi con indagini integrative e con elementi ricavati "aliunde" - sulla decisività della prova medesima, decisività che deve essere tale da far ritenere, in base ad un giudizio di certezza e non di mera probabilità, che dette circostanze, se dimostrate, avrebbero comportato una diversa decisione (Cass., n. 2563 del 2003).

4. La reciproca soccombenza induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.