Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 gennaio 2016, n. 81

Previdenza - Dipendenti ministeriali - Trattamento pensionistico - Indennità di amministrazione - Computo

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'appello di Venezia, in riforma della sentenza del Tribunale di Venezia, ha rigettato la domanda di L.M. ed altri, dipendenti del Ministero della Giustizia, volta ad ottenere l'inclusione dell'indennità di amministrazione nella cosiddetta quota A al fine del trattamento pensionistico nonché nell'indennità di fine servizio.

La Corte ha rilevato che la natura retributiva dell'indennità non era sufficiente a farla rientrare nella base contributiva ai fini del computo dell'indennità di buonuscita dovendosi fare riferimento esclusivamente al dato formale ed alla menzione del compenso nell'elencazione tassativa contenuta nella norma (art. 3 e 38 DPR n. 1032/1973) e che analoghe considerazioni dovevano essere fatte per il trattamento pensionistico in quanto l'art. 43 DPR n 1092/1973 faceva riferimento all'ultimo stipendio percepito integrato dagli assegni o indennità pensionabili tassativamente specificati.

Ha riferito, inoltre, che il DLGS n. 503/1992, art. 13, aveva stabilito che le pensioni decorrenti dall'1/1/93 erano liquidate su due quote, la prima quota A da determinarsi sulla base della precedente disciplina del settore, e la seconda quota B da calcolarsi in base alle nuove norme con la conseguenza che la base pensionabile dall'1/1/96 a seguito della riforma ex L. n 335/1995, era venuta ad arricchirsi delle voci accessorie; che la legge di riforma aveva stabilito che per gli assunti anteriormente all'1/1/96 la nuova base pensionabile poteva essere considerata solo ai fini del calcolo della quota B. La Corte ha quindi riferito che per la quota A vigeva il principio di tassatività di cui all'art. 43 dpr n. 1092 /1973; che l'indennità di amministrazione era stata istituita come componente accessoria della retribuzione senza alcun diverso inquadramento da parte della contrattazione successiva e che tale disciplina non aveva inciso su quella di cui all'art. 43 dpr n. 1092/1973 e che, pertanto, in accoglimento dell'appello del Ministero, la domanda dei ricorrenti doveva essere rigettata.

Avverso la sentenza ricorrono i lavoratori con due motivi. Resiste il Ministero. Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 3, 38 e 43 DPR n. 1092/1973, vizio di motivazione. Osservano che l'indennità di amministrazione doveva essere considerata quale elemento generale e costante della retribuzione e in quanto tale rientrante nella base pensionabile e parte integrante della retribuzione imponibile ai fini contributivi e della base di calcolo dell'indennità di quiescenza.

Con il secondo motivo denunciano violazione degli artt. 3, 38 43 DPR n. 1092/1973, come integrati dagli artt. 24, commi 1, e 45, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, art. 17, comma 11, del CCNL comparto ministeri nonché vizio di motivazione.

Deducono che la Corte non aveva valutato che la pretesa dei lavoratori trovava fondamento nel CCNL da cui si ricavava che l'indennità di amministrazione aveva carattere di generalità e continuità e pertanto rientrante nella base di calcolo della quota A e quindi della buonuscita.

I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati.

Con il ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1092 del 1973, artt. 3, 38 e 43. Sostengono in particolare i ricorrenti che la contrattazione collettiva per il comparto ministeri aveva istituito l'indennità di amministrazione quale compenso annuo, fisso e di natura retributiva, definendola con carattere di generalità e continuità. Anche l'indennità di amministrazione era quindi soggetta a ritenuta previdenziale. Pertanto - sostengono i ricorrenti - l'indennità in questione doveva essere considerata come elemento generale costante della retribuzione e, in quanto tale, rientrante nella nozione di base pensionabile, nonché parte integrante della retribuzione imponibile ai fini contributivi e della base di calcolo dell'indennità di quiescenza.

Questa Corte (cfr Cass. SSUU n. 5759/2012, 6326/2012) ha pronunciato il seguente principio di diritto cui questo Collegio intende uniformarsi: "In materia di trattamento di quiescenza nel pubblico impiego, l'indennità di amministrazione, istituita quale componente accessoria della retribuzione dall'art. 34 del c.c.n.l. del computo Ministeri per il quadriennio 1994/1997, va computata, ai fini del calcolo della pensione, nella cosiddetta "quota B", parzialmente pensionabile ex art. 13, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 503 del 1992, e non nella cosiddetta "quota A", interamente pensionabile ex art. 13, comma 1, lett. a), per quest'ultima vigendo il principio di tassatività legale delle componenti della base pensionabile, sancito dall'art. 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come sostituito dall'art. 15 della legge n. 177 del 1976, e non rilevando l'estensione della base pensionabile alle voci retributive accessorie ex art. 2 della legge n. 335 del 1995, poiché espressamente limitata alla "quota B"; attesa l'esistenza di un analogo principio di tassatività delle componenti retributive della base di calcolo dell'indennità di buonuscita, ai sensi degli artt. 3 e 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, l'indennità di amministrazione non concorre neppure alla determinazione di detta indennità".

Si è affermato infatti "che il D.Lgs. n. 503 del 1992, recante norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori pubblici e privati, ha previsto all'art. 13 il nuovo sistema di calcolo della pensione il cui importo, a far tempo dal 1 gennaio 1993, deve essere determinato dalla somma della quota di pensione corrispondente all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993 - c.d. quota A - da calcolare secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta (art. 13, comma 1, lett. a), e della quota di pensione - c.d. quota B - corrispondente all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993 (art. 13, comma 1, lett. b) da calcolare secondo le disposizioni introdotte dal D.Lgs. stesso.

Pur in questo innovato contesto normativo la cd. quota A di pensione è rimasta disciplinata dal D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 43 (recante le norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nel testo sostituito dalla L. 29 aprile 1976, n. 177, art. 15, che, dopo aver tassativamente indicato quali emolumenti vanno inseriti nel calcolo della pensione, prevede all'ultimo comma che agli stessi fini, nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabili, possono essere considerati se la relativa disposizione di legge non ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile".

Inoltre la richiamata giurisprudenza di questa Corte ha rilevato con riferimento all'indennità di buonuscita che "In simmetria con l'art. 43 cit., il D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 3 (recante norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato) prevede che, per la determinazione della base contributiva, ai fini del computo della indennità di buonuscita, si considera l'ultimo stipendio o l'ultima paga o retribuzione integralmente percepiti; la stessa norma vale per gli assegni che concorrono a formare la base contributiva. L'art. 38 dello stesso testo normativo disciplina la base contributiva utile ai fini dei trattamenti di previdenza e della indennità in questione, individuando le specifiche voci stipendiali da prendere in considerazione a questi fini" e che "In sostanza, l'individuazione delle voci stipendiali utili ai fini del computo della indennità di buonuscita, risponde al principio di tassatività stabilito dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38 e dal D.P.R. n. 1092, art. 43, che esclude che indennità non comprese nella previsione normativa possano essere considerate a questi fini".

Le SSU citate hanno poi rilevato che "successivamente, la L. 8 agosto 1995, n. 335, di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, allo scopo di armonizzare i diversi ordinamenti pensionistici, ha introdotto una nozione di pensionabilità analoga a quella vigente nell'assicurazione generale obbligatoria gestito dall'INPS. Secondo tale disposizione, a far tempo dal l gennaio 1996 tutti gli emolumenti corrisposti al lavoratore, ad eccezione di quelli tassativamente indicati nella L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, sia che attengano al c.d. trattamento fondamentale che a quello accessorio, concorrono a formare la base contributiva e, quindi, correlativamente, per effetto della riforma introdotta, quella pensionabile.

A seguito di tale legge di riforma la base pensionabile è venuta ad arricchirsi delle voci accessorie della retribuzione, con decorrenza dal 1 gennaio 1996, includendo tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro (art. 2, comma 9). Ma - come ha correttamente rilevato la Corte d'appello - nel determinare gli effetti nel tempo della nuova disciplina, la legge di riforma ha stabilito che per gli assunti anteriormente al 1 gennaio 1996 la nuova base pensionabile, come ampliata dall'art. 2 comma 9, può essere considerata solo ai fini del calcolo della suddetta quota B (cit. L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 11). Invece per la quota A opera il principio della tassatività stabilito dal cit. D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 43, secondo cui sono esclusi dalla base pensionabile gli emolumenti di natura non stipendiale, a meno che la legge istitutiva non ne preveda espressamente la pensionabilità".

Nella specie, riguardante l'indennità di amministrazione istituita con il CCNL del comparto Ministeri per il quadriennio 1994 - 1997, all'art. 34, come componente accessoria della retribuzione, trova non di meno applicazione il D.P.R. n. 1092 del 1972, art. 43, atteso che tale norma non è stata derogata dalla regolazione contrattuale del pubblico impiego, in quanto essa non ha inciso sul regime dei trattamenti pensionistici, che continuano a essere determinati e riconosciuti in base alla previsione della legge (cfr. D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 24 e 45).

Né, con riferimento al secondo motivo, è censurabile quanto affermato dalla Corte territoriale secondo cui l'art. 34 istitutivo dell'indennità di amministrazione come componente accessoria della retribuzione senza alcun diverso inquadramento da parte della contrattazione successiva non aveva inciso su quella di cui all'art. 43 dpr n. 1092/1973 e del resto non può non condividersi quanto affermato dall'istituto previdenziale che in via interpretativa non può sostenersi che i CCNL abbiano modificato la natura dell'indennità di amministrazione né che tale normativa avrebbe potuto incidere sulla normativa pensionistica. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna dei ricorrenti a pagare le spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare le spese processuali liquidate in € 4.000,00 per compensi professionali oltre spese prenotata a debito.