Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 gennaio 2016, n. 79

Professionista - Medico - Attività libero professionale intra moenia - Trattenute operate dalla ASL a titolo di IRAP - Illegittimità - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza 25.6.2010, la corte d'appello dell'Aquila, in riforma di sentenza del tribunale di Lanciano, ha dichiarato l'illegittimità delle trattenute operate dalla ASL a titolo di IRAP nei confronti del lavoratore indicato in epigrafe, in servizio quale medico ospedaliero e svolgente attività libero professionale intra moenia (ALPI), ed ha condannato la ASL alla restituzione delle somme relative.

In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che il reddito inerente l'ALPI è assimilabile al reddito da lavoro dipendente, e che il soggetto passivo dell'IRAP è solo la ASL la quale, non potendo sopportare costi per l'ALPI, avrebbe dovuto determinare - tramite il suo direttore generale- le tariffe del servizio e così traslare gli oneri dell'imposta sui pazienti e non sui medici.

Avverso tale sentenza ricorre la ASL con tre motivi; resiste il medico con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si deduce (ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.) vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere escluso che fosse a carico dei medici la traslazione sui pazienti dell'onere economico relativo all'IRAP.

Con il secondo motivo di ricorso motivo si deduce (ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione dell'atto aziendale 30.5.02 e del contratto decentrato 17.3.2003 che lo ha poi recepito, in relazione agli articoli 1362 ss. c.c., per aver trascurato che tali atti privati imponevano ai medici il computo dell'IRAP e l'attribuzione della stessa a carico dei soggetti che richiedevano la prestazione.

Con il terzo motivo si deduce (ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.) vizio di motivazione della sentenza impugnata per aver trascurato il concorso colposo del medico nella produzione del danno ex art. 1227 c.c.

I tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati.

In primo luogo, va rilevato che soggetto passivo dell'imposta in discorso è pacificamente la ASL; peraltro, è incontroverso che l'ALPI è attività rientrante nello schema generale del lavoro subordinato.

In secondo luogo, occorre considerare che, se anche il contratto collettivo decentrato prevede che l'onere del pagamento dell'imposta debba gravare sui pazienti, le tariffe del servizio reso sono nella disponibilità della ASL e non dei medici. Infatti, l'art. 6 del regolamento ALPI prevede il potere del Direttore generale di (ri)determinare le tariffe sulla base delle voci di costo, mentre non è in potere dei medici di modificare le tariffe.

Ne deriva che i medici non potevano in alcun modo trasferire sui pazienti l'IRAP (altrimenti avrebbero violato le tariffe, alla cui applicazione erano invece tenuti). Per altro verso, l'onorario del medico è concordato e non è modificabile unilateralmente dalle parti (e l'atto aziendale, richiamato nel secondo motivo di ricorso, con il quale si invitavano i medici a tener conto degli oneri fiscali, in difetto di modificazione aziendale delle tariffe, non potrebbe che integrare una rimodulazione in pejus degli onorari dei medici).

Il motivo sul punto, ove si lamenta la violazione dell'atto aziendale e del contratto decentrato che lo ha recepito, è in parte inammissibile, in parte infondato. E' inammissibile posto che la stessa ASL rileva che si tratta di atti di diritto privato, come tali estranei al sindacato della Corte, che non può avere ad oggetto la violazione o la falsa interpretazione delle disposizioni in esse contenute, ma al più delle disposizioni (nella specie neppure invocate in modo specifico in relazione ai singoli criteri violati) del codice civile in tema di interpretazione dei contratti e degli atti unilaterali.

E' comunque infondato, atteso che, quanto all'art. 1362 c.c., esso in tanto può considerarsi violato in quanto il giudice di merito abbia omesso di esaminare il senso letterale delle espressioni adoperate nel testo negoziale o abbia trascurato il comportamento delle parti anche successivo alla stipulazione, aspetti questi nella specie non ricorrenti posto che dalle disposizioni richiamate non si ricava l'onere ed il potere dei medici di modificare le tariffe del servizio nei confronti dei pazienti. Nella situazione descritta, la comunicazione ai medici dell'esistenza di costi ulteriori non preventivati (nella specie riconducibili all'IRAP) implicava la necessità di modificare le tariffe, ma non importava anche l'onere dei medici di comprimere i propri onorari professionali; né essi avevano il potere di incidere sulle tariffe.

Resta infine esclusa la possibilità giuridica di trasferire la qualità di sostituto di imposta dalla ASL ai medici, essendo questi come detto estranei al rapporto tributario di che trattasi, essendo meri subordinati del sostituto di imposta IRAP.

In tema, questa Corte (Sez. L, Sentenza n. 20917 del 2013; Sez. L, Sentenza n. 8533 del 2012) ha già ritenuto che l'onere dell'IRAP era a carico esclusivo dell'azienda che poteva solo trasferire sui pazienti il relativo onere previo adeguamento delle tariffe, essendo per converso escluso che la disciplina del contratto aziendale potesse configurare oneri a carico dei medici in tema di adeguamento delle tariffe con aumento del valore corrispondente all'aliquota IRAP dovuta dall'azienda. Né può dirsi violato il canone ermeneutico dell'art. 1363 c.c. in relazione al comportamento, anche successivo, delle parti sol perché nel successivo accordo integrativo aziendale dell'area dirigenza medica del 2007 è stata espressamente pattuita la suddetta traslazione: si tratta di una anfibologia perché, nel succedersi delle fonti collettive, una specificazione non presente in quelle precedenti può essere intesa tanto come mera interpretazione autentica quanto come innovazione rispetto al precedente assetto negoziale.

In terzo luogo, l'inconfigurabilità di oneri in capo ai medici impedisce di ravvisare una colpa degli stessi in relazione al mancato aumento delle tariffe: anche il terzo motivo di ricorso è conseguentemente infondato.

Per tutto quanto detto il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, con distrazione in favore del procuratore del contro ricorrente che ha dichiarato di essere antistatario.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in € 3.000 per compensi ed € 100,00 per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%, con distrazione.