Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 04 gennaio 2016, n. 23

Tributi - Accertamento - Studi di settore - Presunzioni semplici - Limitazioni all’accertamento presuntivo art. 10, co. 4-bis della Legge n. 146/1998

 

Osserva

 

La CTR di Napoli ha accolto l'appello principale di "A. sas" e respinto l'appello incidentale dell'Agenzia -appelli proposti contro la sentenza n. 142/03/2012 della CTP di Napoli che aveva già parzialmente accolto il ricorso della parte contribuente- ed ha così annullato l'avviso di accertamento di genere presuntivo, relativo al periodo di imposta anno 2006, con cui era stato rideterminato il ricavo di impresa ai fini IRAP (di poi valorizzato anche ai fini dell'adozione degli avvisi di accertamenti nei confronti dei soci persone fisiche, per le imposte sui redditi ad essi attribuite in applicazione della regola di trasparenza), e l'avviso di accertamento con cui era stato rideterminato il fatturato ai fini IVA, recuperando a tassazione materia imponibile.

La predetta CTR -dopo avere dato atto che la stessa Agenzia, nella circolare n. 11/E del 2007 aveva interpretato il significato del comma 4-bis dell'art. 10 della legge n. 146/1998 nella formula introdotta con la legge finanziaria per il 2007, come inibizione all'accertamento presuntivo, in presenza di un determinato ammontare dei maggiori ricavi o compensi accertabili- assumeva che "del tutto in condivisibili sono da ritenersi i calcoli proposti, peraltro solo in questa sede di appello, dall'Ufficio Finanziario". L'appello incidentale dell'Agenzia era altresì privo di pregio, "risultando palese l'intento del primo giudice di apportare la riduzione al globale ammontare dei ricavi accertati, quand'anche le considerazioni estimative trovassero fondamento nella sola parte di essi riferiti all'invero improvviso ricarico, applicato al costo delle bevande esitate, sulla ristretta base di analisi evidenziata". Appariva perciò ultroneo l'esame di ogni altro motivo di opposizione, da ritenersi assorbito.

L'Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso - ai sensi dell'art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all'art. 376 cpc- può essere definito ai sensi dell'art. 375 cpc.

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell'art. 36 del D.Lgs. 546/1992 e dell'art. 132 n. 4 cpc nonché dell'art. 118 disp. att. cpc) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia adottato una pronuncia nulla perché dotata di una motivazione del tutto apparente, e cioè argomentata con mere formule di stile privo di concreto contenuto (alla luce degli argomenti con cui era sostanziato l'appello incidentale), senza che emergano le ragioni per le quali il giudicante aveva ritenuto di condividere l'appello principale e di disattendere quello incidentale.

Il motivo appare fondato e da condividersi, con assorbimento dei motivi residui.

Salvo trascrivere il brano della menzionata circolare afferente alla questione controversa in causa, e senza neppure dare conto della concreta consistenza del thema decidendum (questioni che la parte ricorrente ha adeguatamente delineato nel ricorso introduttivo di questo giudizio, così assolvendo al proprio onere di autosufficienza), il giudicante si è limitato a formule di mero stile improntate ad argomenti apodittici e inconcludenti, a tergo dei quali non è possibile intravvedere le ragioni per le quali ha ritenuto di adottare il convincimento espresso con il dispositivo della pronuncia.

Perciò, occorre fare qui applicazione della pregressa e costante giurisprudenza di codesta Corte secondo cui: "In materia di contenuto della sentenza, affinché sia integrato il vizio di "mancanza della motivazione" agli effetti di cui all'art. 132 n. 4, c.p.c., occorre che la motivazione manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione- ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del "decisum" (Cassazione civile, sez. III, 18 settembre 2009, n. 20112).

Poiché il principio si attaglia esattamente al caso di specie, altro non resta che concludere che la pronuncia impugnata merita cassazione, con conseguente rimessione al giudice del secondo grado, affinché rinnovi l'esame delle censure di appello, fornendo adeguata giustificazione delle ragioni del proprio convincimento.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, ritiene di non condividere la proposta del relatore, dovendosi considerare la motivazione della decisione impugnata comunque utile ad esprimere il senso compito delle ragioni per le quali il giudicante ha ritenuto di annullare il provvedimento impositivo, in accoglimento dell'appello principale e con il rigetto di quello incidentale. E tuttavia, occorre senz'altro condividere le ragioni proposte dalla parte ricorrente con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell'art. 10 della legge n. 146/1998), a mezzo del quale la predetta parte si duole del fatto che il giudice dell'appello abbia ritenuto non condivisibili i calcoli dall'Ufficio ed abbia perciò sostanzialmente- disatteso la censura della parte pubblica a riguardo della cosiddetta "clausola di salvaguardia" disciplinata dal ridetto art. 10, al comma 4 bis. Detta norma prevede infatti che:" Le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui all'articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non possono essere effettuate nei confronti dei contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell'adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello della congruità, ai fini dell'applicazione degli studi di settore di cui all'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti dagli specifici indicatori, di cui all'articolo 10-bis, comma 2, della presente legge, qualora l'ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati". Orbene, nella specie di causa il giudicante ha erroneamente ritenuto integrato il fattore ostativo all'accertamento fondato sulla presunzione di genere semplice per quanto le attività (ritenute) non dichiarate fossero di valore superiore al limite indicato nella norma, vuoi in cifra assoluta che in ragione percentuale, siccome emerge dalla autosufficiente ricostruzione dei dati di fatto offerta dalla parte ricorrente. Non resta che concludere che la modalità dell'accertamento in rettifica sia stata scelta in conformità alla previsione di legge e che il giudice dell'appello abbia perciò fatto erronea applicazione della disciplina dianzi richiamata, con la conseguenza ulteriore della necessità di restituire la lite al giudice di appello medesimo affinché rinnovi il proprio apprezzamento del gravame alla luce della corretta applicazione della disciplina richiamata; che il terzo motivo deve ritenersi assorbito dall'accoglimento del secondo; che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, assorbito il terzo. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Campania che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.