Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE TORINO - Sentenza 18 dicembre 2015, n. 1416

Tributi - Accertamento - Verifiche cd. "a tavolino" - Garanzie ex art. 12 comma 7, legge 212/2000 - Mancata rispetto del termine dilatorio e del principio di contraddittorio endoprocedimentale - Mancata emissione di pvc - Nullità dell’accertamento

 

Svolgimento del giudizio e motivi della decisione.

 

Con avviso di accertamento n. T7J01N303931 per l'anno 2008 emesso nei confronti del sig. F. B. D. l'Agenzia delle Entrate - Dir.Prov. di Al - recuperava a tassazione per il 2008 componenti negativi di reddito in relazione a otto rilievi riferita alle contabilizzazioni esaminate.

L'atto veniva ritualmente impugnato e ai motivi di doglianza replicava in termini puntuali l'Ufficio.

Con sentenza n. 82/05/15 dep. il 18.03.2015 la Ctp di Alessandria respingeva il ricorso compensando le spese di giudizio.

Appella il contribuente per censurare il pronunciamento di prime cure in quanto carente di motivazione e denuncia: la sopravvenuta illegittimità della nomina a "dirigente incaricato" del soggetto che avrebbe, a suo dire, sottoscritto avviso di accertamento e controdeduzioni; richiama le eccezioni avanzate nel primo grado di giudizio in ordine ai rilievi di cui è stato destinatario; sostiene la violazione dell'art. 12 comma 7, legge 212/2000; rileva il mancato rispetto del divieto di doppia imposizione; sottolinea l’inassolto onere della prova nonché la illegittimità del carico sanzionatorio.

Nel costituirsi l'Agenzia eccepisce l'inammissibilità dell'appello per mancanza dei motivi specifici di impugnazione e contraddittorietà tra petitum e causa pretendi. Respinge poi, argomentando ampiamente, il preteso difetto di sottoscrizione degli atti e replica alle ulteriori doglianza anche riproponendo quanto già sostenuto avanti alla Ctp.

In ordine alle pregiudiziali di inammissibilità avanzate dall'Ufficio il Collegio ritiene di esprimersi negativamente. Ciò in quanto l'appello pur risultando viziato da scarsissima ortodossia muove una indubbia critica al deliberato di prime cure la cui motivazione viene censurata mixando in più parti gli elementi dell'accertamento e le valutazioni del giudicante. E ciò è sufficiente, giusta l'indirizzo meno formalistico sul punto (Cass. 2507/2009, 1454/2009, 23608/2008, 1224/2007, 687/2007), a rendere validamente introdotto il giudizio di impugnazione ("..... i motivi d'appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall'intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni" ed è "sufficiente una descrizione anche sommaria, purché chiara e intelligibile, delle ragioni di doglianza della parte appellante la quale consenta al giudice adito di comprendere esattamente le censure mosse nel confronti della decisione gravata").

Ciò posto si rende necessario l'esame della censura che il contribuente ha formulato con riferimento alla violazione dell'art. 12 comma 7, legge 212/2000 costituendo anch'essa una pregiudiziale alla trattazione del merito.

Il tema riguardante le garanzie per il contribuente, e specificamente quelle di cui all'art. 12, comma 7, della legge n. 212/00 (a norma del quale l'Ufficio non può emettere l'avviso di accertamento prima che siano decorsi 60 giorni dalla notifica del pvc), nel caso di verifiche c.d. a tavolino presenta aspetti che non consentono di condividere la categoricità dell'Ufficio nell'escludere il dovere di emissione del processo verbale di constatazione. In proposto la giurisprudenza di merito si è in più occasioni espressa per l'obbligo in questione da parte dell'Amministrazione riconoscendo la nullità degli avvisi di accertamento emessi senza preventiva effettuazione dell'adempimento di cui trattasi (Ctr Trieste n. 92/01/15 del 3.03.2015, Ctp La Spezia n. 81/2/2/15 del 30.01.2015, Ctr Milano n. 3467/14 e n. 103/13, Ctr Torino 13/12) e da ultimo la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 527/2015 del 14.01.2015 in base ad argomentazioni che fanno propendere per l'applicazione analogica della norma di cui trattasi anche alle verifiche "a tavolino" e per la conseguente annullabilità degli avvisi di accertamento non preceduti da pvc.. Al di là degli argomenti significativi rappresentati in tale direzione - fra cui spicca il richiamo alla giurisprudenza comunitaria (sentenza 18.12.2008, in causa C-349/07 e 3.7.2014, in causa C—129/13) la cui applicazione ai soli tributi armonizzati, vertendosi in materia di diritti normativamente fondati sugli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, si manifesterebbe poco ragionevole e viziata da sospetta incostituzionalità in quanto determinante il regime delle garanzie procedimentali in relazione della natura (armonizzata o meno) del tributo oggetto di accertamento - non può sfuggire, circostanza non evidenziata nell'ordinanza di remissione alle Sezioni Unite, come la questione di cui qui ne occupa ha per un verso un "fondamento" antico e per l'altro si interseca con le nuove norme in materia di ravvedimento operoso.

Sotto il primo aspetto vale ricordare l'art. 24 della legge 4/1929, sulla cui vigenza non può sussistere dubbio stante il richiamo dello stesso effettuato dalla legge di stabilità (L. n. 190/2014), per il quale (senza distinzione in relazione al modo in cui le operazioni di verifica si svolgono) "Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale", riguardo al secondo merita tenere in conto che la citata legge di stabilità ha inserito al comma 1 dell'art. 13 del dlgs n. 472/97 la lettera b- quater per stabilire la riduzione delle sanzioni "ad un quarto del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni....avviene dopo la contestazione della violazione ai sensi dell'art. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, salvo che la violazione non rientri tra quelle indicate negli articoli 6, comma 3, o 11, comma 5, dei decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471". Giusta l'ulteriore disposto dalla citata legge il contribuente ha, in caso di constatazione, la possibilità di regolarizzare i soli rilievi che ritiene fondati o comunque poco difendibili e attendere, per gli altri, l'esito dell'azione di accertamento e dell'eventuale contenzioso che ne dovesse conseguire.

Quanto sopra rende quindi ancora più necessario, per il principio di eguaglianza, che il pvc venga rilasciato anche a seguito di verifiche fatte "a tavolino" perché altrimenti i contribuenti sottoposti a tali verifiche (modalità rimessa peraltro alla discrezione dell'Ufficio) subirebbero un diverso (e ingiustificato) trattamento rispetto a quelli verificati in azienda, oltre che per il mancato obbligo del termine dilatorio dei 60 giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento, anche per l'impossibilità di regolarizzare tramite il ravvedimento operoso le violazioni che l'Ufficio intende contestare.

Le suesposte considerazioni rendono fondata la doglianza del contribuente destituendo di validità l'iniziativa fiscale.

La peculiarità della materia trattata, in ordine alla quale devesi registrare mancanza di uniformità giurisprudenziale, è motivo di compensazione delle spese di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie l’appello.

Spese compensate.