Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TREVISO - Ordinanza 18 febbraio 2015

Reati e pene - Omesso versamento IVA - Sanzione penale - Violazione del principio del "ne bis in idem", a fronte della previsione per la medesima condotta anche della sanzione amministrativa - Art. 10-ter, del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74

 

Premessa

Con decreto di giudizio a seguito di opposizione al decreto penale di condanna, emesso in data 4/02/2014, il G.I.P. del Tribunale di Treviso citava a giudizio ll'imputato in epigrafe indicato per rispondere del reato di cui all'art. 10-ter in relazione all'art. 10-bis D.L.vo n. 74/2000, perché: "...nella sua veste di legale rappresentante della ditta "B. Trasporti s.r.l.", non versava l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale Modello Unico per l'anno d'imposta 2009 per un ammontare pari ad € 128.889,00 entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo".

In sede dibattimentale, all'udienza del 13/06/2014, nella fase degli atti preliminari, il difensore dell'imputato sollevava questione di legittimità costituzionale (in relazione agli artt. 77 2° comma e/o 117 1° comma Cost.) e di disapplicazione dell'art. 10-ter D.L.vo n. 74/2000 per contrasto con l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, per i motivi illustrati in memoria.

Evidenziava, in sintesi, la difesa che:

1) La norma in questione, introdotta con l'art. 35 comma VII della Legge 4/07/2006 (c.d. decreto Bersani-Visco), mancava di qualsiasi indicazione circa i presupposti di necessità ed urgenza legittimanti la decretazione ex art. 77 Cost., sostenendo che "...la Corte costituzionale ha affermato che l'esistenza dei requisiti della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza può essere oggetto di scrutinio di costituzionalità, negando efficacia sanante alla legge di conversione e ricostruendo il difetto della straordinaria necessità ed urgenza quale vizio formale, come tale trasmissibile alla legge parlamentare...";

2) La norma in questione contrasta inoltre con l'art. 117 1° comma Cost. (vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario), in quanto l'art. 4 del protocollo n. 7 alla convenzione intitolato "ne bis in idem", vieta che si possa essere perseguiti o condannati penalmente dalla giurisdizione dello stesso stato per un'infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge e alla procedura penale di tale Stato; sotto tale profilo, dunque, verrebbe violato il suddetto principio del "ne bis in idem" in quanto la sanzione (apparentemente) amministrativa prevista dall'art. 13 D.lgs n. 471/1997 (che pur a seguito della normativa penale introdotta, punisce la medesima omissione dei versamenti IVA con sanzioni pecuniarie, non essendo stata abrogata) ha in realtà natura penale;

3) La norma contrasta inoltre con l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea la quale statuisce il "diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato", sostenendo che le sanzioni tributarie previste dalla normativa italiana abbiano in realtà carattere penale, secondo i criteri stabiliti dalla Corte di Giustizia Europea (qualificazione giuridica formale dell'illecito compiuta dal diritto interno, natura oggettiva dell'illecito, natura della sanzione prevista e suo grado di severità, come delineati dalla giurisprudenza europea).

In merito alla sollevata eccezione, il Pubblico Ministero si rimetteva alla decisione del Giudice.

La normativa oggetto del ricorso

A norma dell'art. 10-ter del D.Lgs n. 74 del 2000, inserito con l'art. 35 comma VII del D.L. del 4 luglio del 2006, convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto del 2006, la sanzione prevista dall'art. 10-bis per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l'imposta sul valore aggiunto, dovuto in base alla dichiarazione annuale, entro il termine del versamento del conto relativo al periodo di imposta successivo. L'omesso versamento dell'IVA è anche sanzionato in via amministrativa dal D.Lgs n. 471/97, art. 13 1° comma, che assoggetta ad una sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato chiunque non esegue, in tutto in parte alle prescritte scadenze periodiche, i versamenti dei debiti IVA.

Sotto il profilo normativo e giuridico, quindi le fattispecie di cui agli art. 10-bis e 10-ter D.Lgs n. 74/2000 hanno la medesima oggettività giuridica e rispondono ai medesimi requisiti, relativi all'integrazione della fattispecie di reato sotto il profilo soggettivo ed oggettivo.

La Corte di Cassazione si è già occupata, con una pronuncia a Sezioni Unite, sulla questione sollevata in questa sede in ordine alla "sovrapposizione sanzionatoria" tra normativa penale ed amministrativa, relativamente alla fattispecie di reato prevista dall'art. 10-bis L. 74/2000 (come detto del tutto assimilabile a quella di cui all'art. 10-ter), statuendo che: "Il reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000), che si consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad euro cinquantamila delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale, non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con l'art. 13, comma primo, d.lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso versamento periodico delle ritenute alla data delle singole scadenze mensili, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni." (1)

Con tale pronuncia, la Suprema Corte, ha sostenuto che: "a) con l'introduzione dell'art. 10-bis nel d.lgs. 74 del 2000 non si è formalmente determinata la sostituzione di un regime sanzionatorio ad un altro, ma si è aggiunta, alla generale previsione delle fattispecie di illecito amministrativo di cui al comma 1 dell'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (rimasto in vigore), comprendenti l'omesso versamento, alle previste scadenze mensili, delle ritenute alla fonte, la previsione di una specifica fattispecie penale, ruotante sì nell'ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a presupposti fattuali e temporali nuovi e diversi. In questo caso, quindi, non si pone un problema di successione di norme sanzionatorie, bensì una questione di eventuale concorso apparente di norme (penale ed amministrativa), ed è una questione che, evidentemente, non riguarda solo l'anno 2004 ma anche gli anni successivi; b) detto concorso è regolato dal principio di specialità, quale previsto in generale nell'art. 9, comma 1, legge 24 novembre 1981, n. 689 (cfr. Sez. 6, n. 11395 del 01/10/1993, Bellone, Rv; 196065) - secondo il quale "Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale" -, e che trova specifica espressione, nella materia in esame, nell'art. 19, comma 1, d.lgs. 74 del 2000, secondo il quale "Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II [precisamente dedicato ai "delitti"] e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale". c) per stabilire se nel caso in esame si è in presenza di un concorso apparente o effettivo di norme, si tratta, dunque, di verificare se le norme sanzionatorie in questione riguardino o meno lo "stesso fatto"."

La Suprema Corte, a quest'ultimo quesito, fornisce una risposta negativa con questi ragionamenti: "... Entrambi gli illeciti in esame, invero, sono illeciti omissivi propri, integrati dal mero mancato al compimento di un'azione dovuta. Gli elementi costitutivi dell'illecito omissivo (di mera condotta) sono: a) i presupposti, cioè la situazione tipica da cui sorge l'obbligo di agire; b) la condotta omissiva (non facere quod debetur); c) il termine, esplicito o implicito, alla cui scadenza l'inadempimento dell'obbligo assume rilevanza e si consuma l'illecito. Nell'illecito amministrativo di cui al comma 1 dell'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, il presupposto è costituito dalla erogazione di somme comportanti l'obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte (artt. 23 ss. d.P.R. n. 600 del 1973) e di versamento della stessa all'Erario con le modalità stabilite (art. 3 d.P.R. n. 602 del 1973), la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento della ritenuta mensile e il termine per l'adempimento è fissato al giorno quindici (poi passato al sedici) del mese successivo a quello di effettuazione della ritenuta (art. 8 d.P.R. n. 602 del 1973). Nell'illecito penale di cui all'art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il presupposto è costituito sia dalla erogazione di somme comportanti l'obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte (artt. 23 ss. d.P.R. n. 600 del 1973) e di versamento delle stesse all'Erario con le modalità stabilite (art. 3 d.P.R. n. 602 del 1973), sia dal rilascio al soggetto sostituito di una certificazione attestante l'ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate nell'anno precedente (v. art. 4, commi 6-ter e 6-quater, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322); la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento, per un ammontare superiore a Euro cinquantamila, delle ritenute complessivamente operate nell'anno di imposta e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti; il termine per l'adempimento è individuato in quello previsto (in riferimento all'epoca dei fatti, 30 settembre ovvero 31 ottobre, a seconda dell'utilizzo del Modello 770 semplificato o - come avvenuto nel caso di specie - del Modello 770 ordinario: art. 4 d.P.R. n. 332 del 1998) per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all'anno precedente...".

La Cassazione, pertanto, pur riconoscendo che le fattispecie "convergono" sia in parte dei presupposti (erogazione di somme comportanti l'obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte e di versamento delle stesse all'Erario con le modalità stabilite) che soprattutto nella condotta (omissione di uno o più dei versamenti mensili dovuti), afferma sostanzialmente che gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti essenziali, costituite: 1) dal requisito della "certificazione" delle ritenute, richiesto per il solo illecito penale; 2) dalla soglia minima dell'omissione, richiesta per il solo illecito penale; 3) dal termine di riferimento per l'assunzione di rilevanza dell'omissione, fissato, per l'illecito amministrativo, al giorno quindici (poi passato al sedici) del mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute, e coincidente, per l'illecito penale, con quello previsto per la presentazione (entro le date del 30 settembre ovvero del 31 ottobre) della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa al precedente periodo d'imposta.

La Suprema Corte ricostruisce, pertanto, il rapporto fra i due illeciti in termini, non di specialità, ma piuttosto di "progressione": la fattispecie penale - secondo l'indirizzo di politica criminale adottato in generale dal d.lgs. 74 del 2000 (su cui v. in particolare Corte cost. sent. n. 49 del 2002) - costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest'ultima (senza almeno una violazione del termine mensile non si possono evidentemente determinare i presupposti del reato), la arricchisce di elementi essenziali (certificazione, soglia, termine allungato) che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità (che, ove operante, comporterebbe ovviamente l'applicazione del solo illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti comportamentali che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell'illecito amministrativo.

Le Sezioni Unite concludono, quindi, nel senso che la presenza della previsione dell'illecito amministrativo di cui al comma 1 dell'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e la consumazione in concreto di esso, non sono di ostacolo all'applicazione, in riferimento allo stesso periodo d'imposta e nella ricorrenza di tutti gli specifici presupposti, della statuizione relativa all'illecito penale di cui all'art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

La circostanza che in tal modo un fatto integrante uno o più illeciti minori (omissione di uno o più versamenti di ritenute nel termine mensile per un ammontare complessivamente superiore a Euro cinquantamila) assurga, in punto di fatto, a presupposto dell'illecito maggiore, richiedente a sua volta ulteriori requisiti e caratterizzato da un diverso tempo di realizzazione, argomentano i Giudici della Suprema Corte, non appare motivo sufficiente per escludere la concorrente applicazione di entrambi gli illeciti; secondo la Corte: "...la conclusione così assunta in ordine al rapporto sussistente, in via generale, fra le disposizioni in discorso non si pone in contrasto ne con l'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU; ne con l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sanciscono il principio del ne bis in idem in materia penale. Anzitutto, invero, nella specie, come si è visto, non si può parlare di identità del fatto; in ogni caso, poi, il principio suddetto si riferisce solo ai procedimenti penali e non può, quindi, riguardare l'ipotesi dell'applicazione congiunta di sanzione penale e sanzione amministrativa tributaria (in tal senso, espressamente, Corte di giustizia UE., 26/02/2013, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson)".

Tali principi sono stati ribaditi in una ulteriore pronuncia della Cassazione più recente (Sez. 3, Sentenza n. 20266 del 08/04/2014), ove si afferma che: "...Non va trascurato che la stessa Corte di Giustizia UE era in recente passato intervenuta a chiarire la portata del principio del ne bis in idem di cui all'art. 4, protocollo n. 7 della Cedu e 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea quando applicato a procedimenti penali con il responso "Frasson" C-617-10 del 26 febbraio 2013. E' stato affermato in tale occasione che l'azione penale nei confronti di un contribuente accusato di frode finanziaria aggravata può essere accompagnata anche da sanzioni fiscali.

E' possibile, infatti, per la Corte di Strasburgo, in linea di principio, che esistano sovrattasse e sanzioni penali se queste afferiscono a fattispecie di diritto diverse. Gli Stati membri, dunque, possono legittimamente ritenere che un cittadino sia assoggettabile, per lo stesso caso, a sanzioni fiscali e penali, con l'unico limite (ai fini della rivalutazione della eventuale natura penale delle sanzioni tributarie): a) di dover considerare la qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale; b) di dover valutare la natura dell'illecito e il grado di severità della sanzione. Le sanzioni tributarie, nel caso de quo - a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di Strasburgo per quelle ben più severe irrogate dalla CONSOB nell'invocato caso Grande Stevens c. Italia - reggono a tale vaglio. Ciò, coerentemente con il recente dictum delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con cui si è precisato che il reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, che si consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad Euro cinquantamila delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale, non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con il d.lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso versamento periodico delle ritenute alla data delle singole scadenze mensili, con la conseguenza che al trasgressore devono essere applicate entrambe le sanzioni (Sez. Unite n. 37425 del 28.3.2013, Favellato, rv. 255759). Va peraltro rilevato che il nostro ordinamento nazionale, al d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 19, 20 e 21, disciplina in maniera chiara i rapporti tra il sistema sanzionatorio amministrativo e tra i procedimenti penale e tributario. La medesima normativa prende espressamente in considerazione i rapporti tra pagamento del debito tributario e reato di natura tributaria prevedendo all'art. 13, la speciale circostanza attenuante per cui le pene previste per i delitti ivi contemplati sono diminuite fino alla metà, e non si applicano le pene accessorie indicate nell'art. 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie. La norma precisa, al secondo comma, che a tale fine, il pagamento deve riguardare anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all'imputato a norma dell'art. 19, comma 1, e al terzo che della diminuzione di pena prevista dal comma 1 non si tiene conto ai fini della sostituzione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53. Si tratta dell'unico beneficio, ancorato ad un dato temporale ben delimitato (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado), che può determinare in sede penale il pagamento del debito tributario, ivi comprese le sanzioni amministrative. 3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che sia fondata la violazione di legge, con riferimento al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, lamentata dal PG ricorrente. Con l'entrata in vigore del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - come si ricorderà - venne abolita ogni sanzione penale per l'omesso versamento delle ritenute, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza dell'epoca (sez. 3, n. 3714 del 21.11.2000, Piacente, rv. 218183; sez. 3, n. 39178 del 5.10.2001, Romagnoli, rv. 220360). Con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, (Legge finanziaria per l'anno 2005), tuttavia, il legislatore inserì nell'impianto normativo del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (contenente la disciplina dei reati in materia di imposte dirette ed IVA), l'art. 10-bis dal titolo "Omesso versamento di ritenute certificate", che così recita: "1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta". Con l'introduzione di tale norma, dunque, venne ripristinata una sanzione penale in relazione al mancato versamento delle ritenute entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, purché fosse raggiunta una certa soglia di omissione (Euro 50.000) e si trattasse di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha più volte affermato il principio, poi ribadito dalla Sezioni Unite, che, mentre molte delle condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo del d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, che pertanto è punito a titolo di dolo generico (così, in ultimo, Sei Unite n. 37425 del 28.3.2013, Favellato, rv. 255759). Per la commissione del reato, basta, in altri termini, la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, con la precisazione che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia dei cinquantamila Euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo è insita, in genere, nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi. Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il sostituto d'imposta effettua tali erogazioni, deriva, quindi, a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute all'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.

Nella sentenza delle SS.UU. Favellato si ricorda anche che l'introduzione della norma di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, ha esteso l'esigenza di organizzazione dei propri pagamenti all'Erario da parte del sostituto d'imposta su scala annuale. Non può, dunque - secondo l'interpretazione delle SS.UU. che è condivisa da questo Collegio - essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, fino al 2005) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta." (2)

 

Motivi della decisione

 

Proprio da questi ultimi ragionamenti sembra necessario muoversi per ulteriori considerazioni in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata in questa sede.

Tutte le pronunce della Suprema Corte in merito al principio del c.d. "ne bis in idem" convergono sul concetto per cui il divieto di un secondo giudizio (e quindi di una seconda "sanzione") sussiste quando vi sia "identità del fatto":

1) "... Ai fini della preclusione connessa al principio "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona..." (3) ;

2) "... Per medesimo fatto, ai fini dell'applicazione del principio del "ne bis in idem" di cui all'art. 649 cod. proc. pen., deve intendersi identità degli elementi costitutivi del reato, e cioè di condotta, evento e nesso causale, considerati non solo nella loro dimensione storico-naturalistica ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente più disposizioni di legge..." (4) ;

3) "... Poiché all'unicità di un determinato fatto storico può far riscontro una pluralità di eventi giuridici (come si verifica nell'ipotesi di concorso formale di reati), il giudicato formatosi con riguardo ad uno di tali eventi non impedisce l'esercizio dell'azione penale in relazione ad un altro (inteso sempre in senso giuridico) pur scaturito da un'unica condotta ..."(5).

Il principio del "ne bis in idem", dunque, si muove sul binomio: "medesimo fatto storico (identità del fatto) - diverso reato"; è evidente che, per quanto interessa in questa sede, per "diverso reato" non potrà intendersi semplicemente "diversa disposizione di legge", ma deve farsi riferimento ai diversi elementi costitutivi delle fattispecie (condotta, evento, elemento soggettivo, bene giuridico protetto dalla norma); si giustifica così, ad esempio, che: "...In applicazione di tale principio, la Corte ha rigettato il ricorso con il quale l'imputato, quale agente di cambio, era stato già condannato per il reato di bancarotta fraudolenta - consistita, fra l'altro, nella sottrazione di titoli e denaro della clientela - e poi sottoposto a nuovo procedimento penale per il reato di appropriazione indebita in danno di un cliente..." (6) ; in questo caso, come è evidente, ad identità di condotta ed elemento soggettivo, facevano riscontro un diverso evento ed un diverso bene giuridico protetto dalla norma.

Nel caso che interessa in questa sede, tuttavia, vanno presi in considerazione anche i principi stabiliti in materia di "ne bis in idem" anche dalla Corte di Giustizia Europea che, come visto, ha affermato in più occasioni che: "... a) ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri: la qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, la natura dell'illecito e, infine, la natura e il grado di severità della sanzione; b) spetta al giudice nazionale "verificare" la natura penale o meno della sanzione e conseguentemente, "valutare", alla luce dei criteri di cui sopra, se occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standard nazionali, circostanza che potrebbe eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti standard, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive...".

La pronuncia sopra richiamata della Cassazione a Sezioni Unite (che come detto, riguardava l'analogo reato di cui all'art. 10-bis D.L.vo n. 74/2000, ma gli elementi costituitivi della fattispecie sono i medesimi del successivo art. 10-ter in esame in questa sede), ammetteva il concorso tra sanzioni amministrative e penali - "ignorando" il principio di specialità - sulla base del ragionamento per cui il rapporto tra i due illeciti non è di specialità, "... ma piuttosto di "progressione": la fattispecie penale - secondo l'indirizzo di politica criminale adottato in generale dal d.lgs. 74 del 2000 (su cui v. in particolare Corte cost., sent. n. 49 del 2002) - costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest'ultima (senza almeno una violazione del termine mensile non si possono evidentemente determinare i presupposti del reato), la arricchisce di elementi essenziali (certificazione, soglia, termine allungato) che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità (che, ove operante, comporterebbe ovviamente l'applicazione del solo illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti comportamentali che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell'illecito amministrativo...".

A ben vedere, tuttavia, tale ragionamento ignora del tutto proprio il "fatto storico" connesso alla commissione dell'illecito, sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo: il soggetto agente che omette consapevolmente di volta in volta i versamenti fiscali mensili (nel caso di specie i tributi IVA) integra già - con la medesima condotta - sia l'illecito amministrativo, sia un "frazione" di quello penale; una volta raggiunta la c.d. "soglia di punibilità" per l'integrazione della fattispecie penale, non si pone in un diverso rapporto di consapevolezza con l'illecito commesso, in quanto non ha fatto altro che porre in essere le medesime condotte che hanno già integrato una serie di illeciti amministrativi e a quel punto integrano anche l'illecito penale; la "diversità" del fatto, a quel punto, andrebbe riconosciuta solo ove si verificasse un "quid pluris" necessario, a parere di questo Giudice, per configurare la natura dell'illecito; e tale quid pluris non può che essere costituito dall'elemento soggettivo del reato, che nel caso di specie non potrà essere più identificato con il mero dolo generico della consapevolezza dell'omissione (e delle varie omissioni periodiche), ma dovrà essere costituito dal dolo specifico dell'evasione delle imposte, sulla quale è incentrata tutta la ratio della Legge n. 74/2000 (ad eccezione proprio degli artt. 10-bis e 10-ter, secondo la prevalente interpretazione della Suprema Corte) e che costituisce davvero l'unico elemento distintivo fra un illecito penalmente rilevante ed un illecito amministrativo.

In altre parole, per poter distinguere - secondo i dettami sopra riportati statuiti dalla Corte di Giustizia Europea - tra illecito penale ed illecito tributario ed "evitare" la doppia sanzione per la medesima condotta (cioè per il medesimo fatto) è necessario, a parere di questo Giudice, che venga individuato in tale condotta un elemento costitutivo "tipico" della sanzione penale, cioè appunto il dolo, che nel caso di specie tuttavia non potrà più essere costituito dalla mera consapevolezza delle intervenute omissioni contributive (peraltro il più delle volte, nella realtà ed in concreto, caratterizzate da oggettiva mancanza di liquidità dell'obbligato), ma dovrà essere costituito dalla specifica intenzione, consapevolezza e volontà di evadere l'imposta dovuta (appunto, dolo specifico); solo tale elemento, di fatto, appare distinguere la sanzione tributaria da quella penale, sotto il profilo del "ne bis in idem" richiesto dai principi stabiliti dalla Corte di Giustizia Europea.

Poiché tuttavia, come detto, la prevalente giurisprudenza della Suprema Corte individua tuttora negli illeciti di cui agli artt. 10-bis e 10-ter D.L.vo n. 74/2000 fattispecie "a dolo generico" e non tiene invece in considerazione il fatto che tutto l'impianto della normativa (per ciò che concerne le sanzioni penali) è proprio incentrato sul "fine di evadere le imposte" (richiesto ad esempio dagli artt. 2-3-4-5-8-10 ed 11, cioè in pratica tutte le altre fattispecie penali) e non tiene nemmeno in considerazione il fatto che le norme di cui agli artt. 10-bis e 10-ter sono state introdotte successivamente, senza l'esplicita previsione del dolo specifico, facendo sì che, come illustrato più sopra e per i motivi suddetti, non si vengono in alcun modo a distinguere dagli illeciti di natura tributaria previsti per le medesime violazioni e condotte, ecco che tali norme appaiono confliggere con i principi costituzionali e, nello specifico, con il divieto del "ne bis in idem" statuito dagli artt. 4 protocollo n. 7 CEDU e 50 CDFUE e, di conseguenza, con l'art. 117 1° comma della Costituzione.

Per tali motivi deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata in questa sede dalla difesa di B. Franco in relazione all'art. 10-ter D.L.vo n. 74/2000 per violazione dell'art. 117 1° comma Cost.

(1) (Sez. U, Sentenza n. 37425 del 28 marzo 2013 Ud. (dep. 12 settembre 2013) Rv. 255759.

(2) (Sez. 3, Sentenza n. 20266 dell'8 aprile 2014 Ud. (dep. 15 maggio 2014) Rv. 259190.

(3) Sez. U, Sentenza n. 34655 del 28 giugno 2005 Cc. (dep. 28 settembre 2005) Rv. 231799

(4) Sez. 6, Sentenza n. 459 dell'8 novembre 1996 Ud. (dep. 24 gennaio 1997) Rv. 207729

(5) Sez. 2, Sentenza n. 10472 del 4 marzo 1997 Ud. (dep. 19 novembre 1997) Rv. 209022

(6) Sez. 2, Sentenza n. 10472 del 4 marzo 1997 Ud. (dep. 19 novembre 1997) Rv. 209022

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 123 Cost. e 23 Legge 11 marzo 1953 n. 87;

Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10-ter D.L.vo n. 74/2000 per violazione dell'art. 117 1° comma Cost., nei termini e per le ragioni di cui in motivazione;

Sospende il procedimento in corso e dispone, a cura della Cancelleria, la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato;

Dispone, altresì, l'immediata trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale assieme agli atti del giudizio, con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 30 dicembre 2015, n. 52