Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 dicembre 2015, n. 25899

Tributi - IVA - Detrazione - Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti - Prova di buone fede a carico del committente - Fornitore privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione - Presunzione di malafede del committente - Esclusione delle detrazione per l’IVA versata

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza in data 21-3-2014, ha respinto l'appello dell'agenzia delle entrate avverso la decisione con la quale la commissione tributaria provinciale di Roma aveva annullato, su ricorso di SD M., un avviso di accertamento relativo all'anno 2006, basato sul coinvolgimento della società in una frode "carosello".

L' accertamento aveva recuperato a tassazione, ai fini dell'Iva, somme indebitamente detratte a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti di compravendita di autovetture e, ai fini dell'Ires e dell'Irap, rideterminato di conseguenza, in via induttiva, attesa l'inattendibilità del bilancio, il reddito d'impresa.

La commissione tributaria ha motivato la decisione affermando che le irregolarità attinenti a una delle fornitrici (E.S.C. s.r.l.) erano state al momento escluse da altre sentenze tributarie e che, quand'anche l'assunto dell'ufficio avesse trovato futuro riconoscimento in altre fasi giurisdizionali, si sarebbero dovute configurare solo evasioni fiscali da parte delle fornitrici, fermo che la presunzione di connivenza della SD M. non ne sarebbe stata incisa in quanto fondata su mera ipotesi non assistita da elementi obiettivi gravi e concordanti. Ha poi aggiunto che la consegna delle autovetture agli acquirenti finali, senza la materiale presa visione dei beni da parte di SD M., non poteva concretizzare una presunzione di connivenza in frode carosello, quanto semmai l'esatto contrario.

Avverso la sentenza d'appello l'agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L'intimata resiste con controricorso e successiva memoria.

 

Motivi della decisione

 

I. - Col primo motivo l'amministrazione denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ., per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto non contestata la regolarità dei pagamenti verso le società asserite "cartiere".

Col secondo motivo denunzia invece la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 od. civ., avendo la commissione genericamente mentovato l'avvenuta esclusione delle irregolarità delle operazioni commerciali a mezzo di altre sentenze per gli anni 2005 e 2007, senza indicarle specificamente e, soprattutto, senza verificare se si fosse trattato di sentenze passate in giudicato; e in tal modo ha dunque erroneamente ritenuto di esser vincolata da quelle precedenti decisioni.

Col terzo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dei principi indicati nelle sentenze della corte di giust. 12-1-2006 (cause C-354/03, 355/03 e 484/03) e 6-2006 (cause C-439-04 e 440-04), la ricorrente censura la sentenza per essersi limitata a genericamente negare il valore probatorio degli elementi indicati dall'ufficio, senza osservanza del percorso logico che si imponeva a fronte di operazioni risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione dalla società "cartiera", in rapporto alla quale spettava alla cessionaria dimostrare in base a circostanze diverse dal dato di mera regolarità della documentazione contabile, la legittimità e correttezza delle eseguite detrazioni d'imposta.

Infine col quarto motivo l'amministrazione deduce l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, posto che i fatti storici, addotti a fondamento della pretesa fiscale, non erano stati dalla commissione tributaria considerati affatto.

II. - E' fondato il terzo motivo, il cui esame assorbe tutte le questioni residue.

Oggetto della controversia instaurata sull' avviso di accertamento conseguente a verbale di constatazione della guardia di finanza era, da un lato, la indebita detrazione dell'Iva da parte di SD M. in relazione a fatture emesse da società "cartiere" e, dall'altro, la rideterminazione in via induttiva del reddito d'impresa essendo di conseguenza inattendibile il bilancio.

La natura di mere "cartiere" delle emittenti le fatture - per quel che risulta dalla trascrizione degli avvisi di accertamento - era stata a sua volta desunta da riscontrate loro carenze di tipo strutturale, dal sistematico omesso versamento dell'Iva e finanche da dichiarazioni del legale rappresentante di una di esse (A.P. s.r.l.).

L'impugnata sentenza, avendo la contribuente negato ogni coinvolgimento nella frode, ha respinto l'appello dell'agenzia delle entrate perché i rapporti con le società erano stati già ritenute, per distinte annualità, regolari da altre sentenze tributarie, e perché "la presunzione di connivenza" della società era comunque "una presunzione fondata su mere ipotesi, senza essere assistita da quegli elementi obiettivi gravi e concordanti richiesti dalla Corte di cassazione".

Ha affermato che vi era stata la consegna delle autovetture agli acquirenti finali senza presa di visione da parte di SD M., ma ha ritenuto che neppure questo fatto potesse concretizzare la "presunzione di connivenza", quanto piuttosto il suo contrario.

III. - Così decidendo tuttavia la commissione tributaria ha travisato e sostanzialmente eluso il problema giuridico che la controversia poneva, incorrendo in una falsa applicazione delle norme all'inizio citate.

Va ancora una volta ribadito che, ove si assuma che a monte delle operazioni commerciali vi sia stata una frode del tipo di quella indicata, è irrilevante notare che le operazioni siano avvenute secondo un andamento apparentemente "regolare".

Ciò non assume fondamento liberatorio, in quanto il problema di sposta sugli indici rivelatori della frode e sul conseguente diniego di detrazione dell'Iva per consapevolezza del cessionario.

La ripartizione dell'onere e l'oggetto della prova si atteggiano, poi, in senso ben diverso da quanto dalla commissione tributaria semplicisticamente ritenuto.

Il tema della frode carosello attuata mediante utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti impone all'amministrazione di provare la frode del cedente e la mera connivenza (non già la partecipazione) del cessionario. E questa connivenza può essere desunta anche da presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), le quali possono derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al ruolo di "cartiera" del cedente, incombendo poi sul cessionario, a fronte di siffatte dimostrazioni, la prova di elementi di segno contrario.

Invero nell'ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto che ha emesso fattura e percepito l’Iva in rivalsa, rileva la prova che la prestazione non è stata effettivamente svolta dal fatturante, per esempio perché - come nella specie si sosteneva nell'avviso di contestazione de relato all'accertamento della guardia di finanza - sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione.

Un tale elemento - se provato - è di per sé sintomatico dell'assenza di buona fede del cessionario, poiché l'immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore fatturante - cessionario o committente) induce ragionevolmente a escluderne l'ignoranza incolpevole circa l'avvenuto versamento dell'Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all'obbligo del pagamento dell'imposta; con l'effetto che, in tal caso, è il contribuente tenuto a provare di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell'Iva versata (cfr., ex aliis, Sez. 5^ n. 6229-13, n. 24426-13, n. 15044-14, n. 22005-14; da ultimo Sez. 5 n. 10929-15 e 10930-15).

IV. - La sentenza impugnata appare dissonante dai citati principi, che invero non sono stati osservati.

Essa va dunque cassata con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, per nuovo esame.

Il giudice di rinvio si uniformerà ai principi di diritto sopra esposti, ponendo in essere l'accertamento a quelli pertinente.

Egli provvederà inoltre sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale del Lazio.