Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 dicembre 2015, n. 25707

Tributi - IRPEF - Plusvalenza da cessione di immobile - Determinazione del valore di cessione - Giudizio di stima - Valutazione del giudice tributario secondo prinicipi equitativi - Non configura una decisione della causa secondo la cosiddetta equità sostitutiva

 

Osserva

 

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Genova, con la quale -in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per IRPEF per l'anno 2008, con contestazione di maggior reddito da plusvalenza realizzata a mezzo della vendita, entro il quinquennio dall'acquisto, di una unità abitativa che il contribuente non aveva adibito ad abitazione principale - è stato parzialmente accolto l'appello proposto da S.F. avverso la sentenza della CTP di Savona n.17-05-2010 che aveva respinto il ricorso della parte contribuente, ed è stato perciò rideterminato in 60.000,00 euro l'ammontare di detta plusvalenza, rispetto all'importo di € 96.500,00 determinato dall'Ufficio.

La sentenza impugnata ha ritenuto di dover assumere "una decisione basata sui principi equitativi", anche in considerazione del fatto che "il valore accertato ai fini dell'imposta di registro non può automaticamente rappresentare la ripresa a tassazione per le imposte dirette"; del fatto che le risultanze di ricostruzioni bancarie non possano assurgere a presunzioni legali", nonché alla luce "delle quotazioni OMI con riferimento al periodo in cui si è perfezionato il contratto di compravendita".

L'Agenzia ha proposto ricorso affidandolo a cinque motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso - ai sensi dell'art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell'art. 375 cpc.

Ed infatti con il quinto motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art. 113 e 114 cpc, da esaminarsi previamente perché preliminare in senso logico) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante ha fondato le proprie determinazioni su un giudizio equitativo, nonostante manchi una norma di legge che riconosca al giudice tributario il potere di decidere secondo equità.

Il motivo di ricorso appare infondato e da disattendersi.

In altre consimili vicende codesta Corte ha già escluso che l'utilizzo da parte del giudice tributario dell'apprezzamento equitativo ai fini dell'espressione di un giudizio di stima possa costituire violazione di legge:"In tema di contenzioso tributario la valutazione del giudice tributario, (nella specie, relativa al valore di un terreno edificabile ai fini dell'imposta di registro), in quanto frutto di un giudizio estimativo, non è riconducibile ad una decisione della causa secondo la cosiddetta equità sostitutiva, che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo. In relazione ad essa non è, pertanto, ipotizzabile la violazione dell'art. 113, secondo comma, cod. proc. civ. e, rientrando il suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., la relativa pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della carenza od inadeguatezza della corrispondente motivazione" (Sez. 5, Sentenza n. 4442 del 24/02/2010, Sez. 5, Sentenza n. 24520 del 21/11/2005). Con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art. 67 e 68 del DPR n. 917/1986; dell'art. 38 del DPR n. 600/1973 e degli art. 2697 e 2729 cod civ) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia ridotto la maggiore plusvalenza accertata, alla luce delle considerazioni contenute in sentenza, così precludendo all'Ufficio di dimostrare che il valore accertato corrisponda a quanto effettivamente dichiarato e perciò eludendo gli elementi presuntivi derivanti dall'esito della procedura di accertamento in materia di registro e dalle verifiche bancarie. A parere della ricorrente, la CTR avrebbe dovuto "verificare se gli elementi probatori in atti, anche presuntivi, fossero sufficienti o meno a fornire la prova del fatto che l'immobile sia stato venduto al prezzo accertato". La riduzione equitativa della stima costituiva perciò "violazione delle norme in rubrica".

Il motivo appare inammissibilmente formulato, difettando la precisa identificazione della norma che si assume violata, nel mentre le indicazioni contenute in rubrica risultano consistere (nella loro combinata interazione) in una mera enunciazione della violazione invocata. Appare invece che la parte ricorrente - sotto le spoglie della violazione di legge- intenda chiedere alla Corte l'espressione di un giudizio sostitutivo, che rinnovi il potere di governo del materiale probatorio, riservato al giudice del merito e perciò inammissibilmente stimolato. Ben vero, il giudicante non ha fatto mostra di ignorare gli elementi che la parte ricorrente ha addotto come base per il raggiungimento del convincimento giudiziale ma - dando maggiore rilevanza ad altri contrastanti elementi di convincimento- ne ha ridotto la significatività ai fini della soluzione della lite. Senza che ciò possa costituire ragione di violazione delle norme dalla ricorrente vagamente invocate.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art. 115 e 2697 cod civ) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia fondato il proprio convincimento alla luce "delle quotazioni OMI", senza che la parte contribuente ne abbia mai fatto produzione in giudizio.

Il motivo appare infondato e da disattendersi.

Per quanto la parte ricorrente non precisi quale specifica norma tra quelle contenute nelle distinte disposizioni di legge menzionate il giudicante abbia violato, pare doversi evincere dal complessivo contesto del motivo (ed in specie dal fatto che la parte ricorrente lamenti che il giudicante non poteva "conoscere d'ufficio" fatti non documentati) che la parte ricorrente medesima denunci la violazione della regola secondo cui "il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti" o "i fatti non specificamente contestati", regola che però trova la sua deroga nel comma secondo dell'art. 115, in virtù del quale non è inibito al giudicante -senza bisogno di prova- "porre a fondamento delle decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza".

Non vi è ragione di escludere che le "quotazioni OMI" rientrino nel genere dei fatti ora menzionati, risultando dallo stesso sito web dell'Agenzia delle Entrate che dette quotazioni sono gratuitamente e liberamente consultabili, e peraltro non costituendo esse fonte tipica di prova (tanto meno documentale) ma semplice strumento di ausilio ed indirizzo per l'esercizio della potestà di valutazione estimativa, non avendo altra idoneità che quella di "condurre ad indicazioni di valori di larga massima", secondo la descrittiva fattane dalla stessa Agenzia.

Con il terzo ed il quarto motivo di impugnazione (centrati, l'uno sulla violazione degli art. 67 e 68 del DPR n. 917/1986, dell'art. 38 del DPR n. 600/1973, degli art. 2697 e 2729 cod civ, e l'altro sul vizio di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio", separatamente rubricati ma unitariamente sviluppati) la parte ricorrente si duole che la CTR abbia "omesso di esaminare e valutare il valore commerciale dell'immobile in questione... come emergente dalle quotazioni OMI, che sono state richiamate senza un effettivo e congruo scrutinio" e nonostante che l'Agenzia avesse evidenziato (nelle controdeduzioni in appello) che le predette quotazioni, per il primo semestre del 2006 e per il territorio in considerazione, oscillavano tra un minimo di € 2.430,00 ed un massimo di € 3.480,00.

I motivi appaiono inammissibilmente formulati o infondati. Da un canto, la parte ricorrente non argomenta alcunché in ordine alla violazione delle richiamate disposizioni di legge, che rimangono mera enunciazione, e ciò è autonoma ragione di inammissibilità del primo dei due motivi. D'altro canto, nel motivo centrato sul vizio motivazionale non si evidenzia alcun fatto di cui sia stato integralmente omesso l'esame (tanto che la stessa ricorrente assume che le quotazioni di cui si discute sono state dal giudicante "richiamate senza un effettivo e congruo scrutinio") e neppure si evidenzia quale decisività ai fini dell'esito della lite potrebbe avrebbe un più attento scrutinio del menzionato "fatto", al quale peraltro manifesto che il giudicante si richiama come generico parametro, alla stregua -appunto- della funzione istituzionale di dette quotazioni.

Non resta che concludere che il motivo in rassegna appare infondato e non condivisibile.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità e manifesta infondatezza.

Roma, 30 marzo 2015

Ritenuto inoltre

Che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato; che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.