Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 dicembre 2015, n. 25558

Contratti a termine - Dipendenti postali - Personale non dirigente - CCNL dell'11 gennaio 2001 - Ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale collettiva

 

Fatto

 

Con sentenza del 22.12.2009, la Corte d'appello di Roma rigettava l'appello proposto da (...) avverso la sentenza con cui il locale Tribunale aveva disatteso la querela nullitatis da lei proposta nei confronti del contratto a termine stipulato con la s.p.a. P.I. dal 1° febbraio al 30 aprile 2002, ritenendo che la vicenda concretamente occorsa tra le parti dovesse ritenersi assoggettata alla disciplina di cui al combinato disposto dell’art. 23, I. n. 56/1987, e dell'art. 25 CCL 11.1.2001, e non invece del d.lgs. n. 368/2001.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice, affidandolo a due motivi. Resiste con controricorso la s.p.a. P.I.

 

Diritto

 

Con il primo e secondo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente in ragione del tenore delle censure svolte, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. e dell’art. 11, d.lgs. n. 368/2001, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere la Corte territoriale ritenuto giustificata la stipulazione a termine in forza dell'art. 23, I. n. 56/1987, e del CCL 11.1.2001: ad avviso della ricorrente, infatti, l'art. 74 del CCL ult. cit. prevedeva quale data di propria scadenza il 31.12.2001 e giammai avrebbe potuto consentire l'apposizione del termine ad un contratto stipulato con effetti dal febbraio all’aprile 2002, il quale, pertanto, dovrebbe ricadere per intero nella disciplina di cui agli artt. 1 ss., d.lgs. n. 368/2001.

Va anzitutto disatteso il rilievo d'inammissibilità della censura, sollevato dalla società resistente per non essere mai stata prospettata nei precedenti gradi di merito la questione relativa alla data di scadenza del CCL cit.-

Posto in linea generale che nel giudizio di cassazione sono senz'altro proponibili tutte le questioni rilevabili d'ufficio e, pur nell’ambito del thema decidendum oggetto dei precedenti gradi di merito, anche nuovi profili di diritto che siano da ritenersi compresi nel dibattito, salvo che mettano capo a nuovi accertamenti di fatto (cfr. fra le tante Cass. nn. 14848 del 2000, 9097 del 2002), deve rilevarsi che, nel sistema delineato dall'art. 11, d.lgs. n. 368/2001, che - oltre alla "continuazione degli effetti", fino alla scadenza, dei contratti Individuali conclusi in attuazione della normativa previgente - prevede "in via transitoria e salve diverse intese" anche il "mantenimento" dell’efficacia delle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati ai sensi dell'art. 23, I. n. 56/1987, "fino alla data di scadenza" dei contratti collettivi stessi, la questione della cessazione degli effetti di un contratto collettivo nazionale di lavoro, che sia abilitato a dettare la normativa derogatoria sulle stipulazioni a termine ex art. 23, I. n. 56/1987, cit., costituisce questione (non già di fatto, bensì) di diritto, risolvendosi nella questione dell'individuazione del momento di entrata in vigore del decreto legislativo n. 368/2001, e conseguentemente può essere dedotta in sede di legittimità ogni qualvolta l'applicazione al rapporto controverso del decreto legislativo ult. cit. abbia formato oggetto di questione dibattuta nei precedenti gradi di merito.

Sotto questo profilo, del tutto irrilevante deve ritenersi la circostanza che quello qui in questione non è un contratto collettivo di lavoro "nazionale" (la violazione delle cui clausole sarebbe peraltro direttamente censurabile in cassazione ex art. 360, n. 3, c.p.c., nel testo risultante dalla modifica apportata dall'art. 2, d.lgs. n. 40/2006), bensì un contratto stipulato a livello aziendale: una volta riconosciuto che l'art. 23, I. n. 56/1987, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, non richiede che il contratto collettivo debba essere nazionale né compie alcuna selezione con riferimento alla parte datoriale, che può essere pertanto anche una singola azienda (cfr. Cass. n. 15455 del 2012 e, più di recente, Cass. n. 27 del 2014), anche sulla verifica della perdurante efficacia di tali contratti deve ammettersi un sindacato di legittimità che non sia limitato al vaglio della correttezza e dell'adeguatezza della motivazione posta a base dell’interpretazione adottata dal giudice del merito (come in generale ritenuto per i contratti collettivi aziendali: cfr. tra le tante Cass. n. 2923 del 1985), salvo compromettere il fine di assicurare ai potenziali interessati - per quanto possibile e per quanto non influenzato dalle insopprimibili peculiarità di ciascuna fattispecie - una reale parità di trattamento con riguardo alla disciplina legale applicabile.

Del resto, anche con riguardo all'interpretazione dei contratti collettivi stipulati dalle OO.SS. con aziende di rilievo nazionale questa Corte ha da tempo avvertito l'esigenza di pervenire a soluzioni ermeneutiche uniformi, stante la loro riferibilità ad una serie indeterminata di destinatari e il loro carattere sostanzialmente normativo, che li rende inassimilabili a qualsivoglia contratto o accordo concluso tra privati (cfr. Cass. nn, 8297 del 2007 e 25139 del 2010). E se ciò è vero in generale, lo è massime allorché il legislatore rimetta alla durata (rectius, alla scadenza) di tali contratti l'individuazione del momento di entrata in vigore di una norma di legge, rischiandosi altrimenti di vulnerare il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, comma 1°, Cost. - Trattandosi di questione di particolare importanza ex art. 384 c.p.c., va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: "in tema di contratti a termine e nell'ambito del sistema delineato dall'art. 11, d.lgs. n. 368/2001, che prevede in via transitoria il mantenimento dell'efficacia delle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati ai sensi dell'art. 23, I. n. 56/1987, fino alla data di scadenza dei contratti collettivi stessi, costituisce questione di diritto anche la questione della cessazione degli effetti di un contratto collettivo di lavoro aziendale che - come quello stipulato tra le OO.SS. e la s.p.a. P.I. in data 11.1.2001 - sia abilitato a dettare la normativa derogatoria sulle stipulazioni a termine ex art. 23, I. n. 56/1987; conseguentemente la questione è rilevabile anche d'ufficio dal giudice e può essere dedotta per la prima volta anche in sede di legittimità allorché l'applicazione al rapporto controverso del d.lgs. n. 368/2001 abbia formato oggetto di questione dibattuta nei precedenti gradi di merito, fermo restando il potere-dovere della Corte di cassazione di verificare direttamente il contenuto delle clausole negoziali concernenti la durata del contratto, al fine di assicurare a tutti i potenziali interessati una reale parità di trattamento in ordine alla disciplina legale applicabile".

Si spiega alla luce di questo principio il fatto che, allorché è stata chiamata a pronunciarsi sul termine finale di durata del CCL 11.1.2001, questa Corte, lungi dal limitarsi a verificare la congruità dell'interpretazione adottata dal giudice del merito, ha proceduto direttamente a ricostruire il significato delle clausole contrattuali, pervenendo alla conclusione secondo cui, quale "data di scadenza" del contratto collettivo cit., deve ritenersi quella "chiaramente e formalmente fissata dalle parti collettive" nell'art. 74, comma 1, e negando per contro plausibilità alla tesi datoriale secondo cui l'art. 2 del medesimo contratto - che fissa una durata quadriennale per la parte normativa e biennale per quella economica - doveva essere riferito alla data di stipulazione (11.1.2001) e non piuttosto al periodo di riferimento del contratto collettivo stesso, ossia al quadriennio 1998-2001 (cfr. Cass. n. 16424 del 2010). E poiché tale soluzione deve ormai ritenersi "diritto vivente", siccome risultante da una sequenza continua di pronunzie conformi (cfr. da ult. Cass. n. 20441 del 2015), i contratti a termine stipulati con la società resistente successivamente alla data del 31.12.2001 - come quello per cui è causa - non possono più rientrare nella disciplina transitoria prevista dall'art. 11, d.lgs. n. 368/2001, siccome erroneamente ritenuto dalla Corte di merito, ma debbono interamente assoggettarsi al nuovo regime normativo di cui agli artt. 1 ss., d.lgs. n. 368/2001.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e rinviata per nuovo esame alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: "l'art. 74, comma 1, CCL 11 gennaio 2001 per il personale non dirigente di P.I. s.p.a., stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell'accordo, onde i contratti a termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria prevista dall'art. 11, d.lgs. n. 368/2001, e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo di cui agli artt. 1 ss., d.lgs. n. 368/2001".

Il giudice designato provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.