Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 dicembre 2015, n. 25011

Tributi - Imposta di successione - Liquidazione dell’imposta

 

Svolgimento del processo

 

In morte di G.V., l'agenzia delle entrate, ufficio di Milano, notificava all'erede testamentario, A.D. V. B., e allegatario, D.P. V. B., un avviso di liquidazione dell'imposta principale di successione in sostituzione di altro avviso previamente annullato in sede giurisdizionale per vizio di forma.

L'atto veniva impugnato sul rilievo della nullità della relativa notificazione, con consequenziale decadenza dell'amministrazione dalla potestà impositiva.

Tale rilievo, disatteso dall’adita commissione tributaria provinciale, veniva condiviso dalla commissione tributaria regionale della Lombardia.

All'esito dell'annullamento del primo avviso, A.D. V. B. e D.P. V. B. avevano peraltro proposto una domanda di rimborso di quanto pagato a titolo di acconto sull'imposta principale di successione, e impugnato il silenzio-rifiuto.

Nella causa sul rimborso, l'adita commissione tributaria provinciale di Milano rigettava i ricorsi in quanto era stato giustappunto emesso, nel frattempo, il nuovo avviso di liquidazione dell'imposta di successione, nel quale l'ufficio aveva detratto gli importi già versati in acconto sulla base dell' avviso annullato.

Ancora una volta la commissione tributaria regionale accoglieva invece l'appello dei contribuenti.

Entrambe le decisioni, impugnate dall'amministrazione finanziaria, venivano cassate da questa corte con rinvio: quella relativa alla lite sul rimborso (la n. 110-15- 2005) era cassata dalla sentenza n. 3335-08 per vizio di motivazione; quella relativa alla lite sul secondo avviso di liquidazione (la n. 63-08-2005) era cassata dalla sentenza n. 3828-09 affinché fosse individuata la concreta attività notificatoria compiuta ai fini specifici e definito, di conseguenza, l'effetto giuridico di tale attività.

Riassunti i giudizi, la commissione tributaria regionale della Lombardia ha nuovamente deciso, con separate sentenze, le due liti, entrambe in senso favorevole ai contribuenti.

Le sentenze (rispettivamente distinte dai nn. 46-1-2010 e 67-7-2011) sono state nuovamente impugnate dall'amministrazione con separati ricorsi per cassazione. In entrambi i giudizi si sono costituiti gli intimati, resistendo e depositando infine anche una memoria.

 

Motivi della decisione

 

I. - Reputa la corte di riunire innanzi tutto i ricorsi, stante la evidente connessione tra le cause.

Invero l'istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 cod. proc. civ., essendo volto a garantire l'economia e il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova pacifica applicazione anche in sede di legittimità (v. per tutte Sez. 1^ n. 22631-11; Sez. 5^ n. 6936-11).

II. - E' opportuno muovere dal ricorso avverso la sentenza n. 67-7-2011, che riguarda la causa pregiudiziale relativa alla debenza dell'imposta principale di successione.

La questione attiene alla regolarità o meno della notifica del secondo avviso di liquidazione.

Alla commissione tributaria regionale era stato demandato, dalla sentenza di questa corte n. 3828-09, il compito di individuare la concreta attività notificatoria compiuta e di definire, poi, gli effetti giuridici di tale attività, quanto al ripetuto secondo avviso di liquidazione notificato ai contribuenti in esito all'avvenuto annullamento del primo per vizio di forma.

A ciò la commissione avrebbe dovuto intendere "in base a quanto (..) logicamente evincibile, anche per effetto dell'utilizzazione delle operazioni prestampate, dal complessivo contenuto della relata di notifica stilata dal messo incaricato, tenuto conto della qualità e/o della funzione specifica dichiarata a detto messo da colui che [aveva] ricevuto gli atti (..) impugnati".

A fronte di tale chiarissimo compito, il giudice di rinvio, nuovamente accogliendo l'appello dei contribuenti avverso la decisione di primo grado, ha confermato che la notifica dell'avviso era affetta da nullità.

Ha motivato sostenendo che (i) la notifica dell'avviso era stata effettuata al portiere dello stabile, così come era emerso dalla sottoscrizione apposta in calce alla relata e dall'inciso caratterizzante codesta ("a mani del custode autorizzato al ritiro delle notifiche tale dichiaratosi"); che (ii) l'inciso equivaleva a dire "portiere dello stabile" e che (iii) era stato provato, del resto; che il sottoscrittore (tale I.S.) aveva appunto in corso un rapporto di lavoro di portierato rispetto allo stabile in cui l'atto avrebbe dovuto essere recapitato, sicché l'utilizzazione del rigo del modulo di notifica, riservato all'ipotesi di consegna nella casa di abitazione, ufficio o azienda, doveva essere ascritto a mero errore materiale; che (iv) la successiva attestazione contenuta negli avvisi spediti ai contribuenti a mezzo raccomandata ai sensi dell'art. 139, 4° comma, cod. proc. civ., secondo cui la notifica era stata fatta in questo modo per irreperibilità del destinatario, non poteva servire a integrare la relazione di notifica, perché gli avvisi erano stati sottoscritti non dal messo, ma dal direttore dell'ufficio impositore, cosa che peraltro doveva costituire ulteriore motivo di nullità della notificazione; che (v) in ogni caso il fatto che il portiere si fosse qualificato come "custode autorizzato al ritiro notifiche" non consentiva di convertire la notificazione in base alla modalità di cui all'art. 139, 2° comma, di cui invero non potevano considerarsi esistenti i presupposti.

Il giudice del rinvio ha dunque così confermato che l'amministrazione, nulla essendo stata la notifica dell' atto tributario, e posta l'operatività della relativa sanatoria solo ex nunc per effetto della proposizione dei rispettivi ricorsi dei contribuenti in data 31-10- 2002 e in data 3-12-2002, era decaduta dalla pretesa impositiva ai sensi dell'art. 27, 2° comma, del d.lgs. n. 346-90, attesa la presentazione della dichiarazione di successione in data 15-10-1999.

III. - L'amministrazione, nel ricorso avverso la citata sentenza n. 67-7-2011, articola due motivi.

Col primo deduce omessa e contraddittoria motivazione su fatti controversi decisivi; nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, n. 4, cod. proc. civ. e violazione e falsa applicazione dell'art. 139 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, stesso codice.

Assume che nella relata il consegnatario si era dichiarato "custode autorizzato al ritiro notifiche" sicché la notificazione da questi ricevuta doveva considerarsi perfezionata ai sensi dell'art. 139, 2° comma, e non ai sensi dell'art. 139, 4° comma, cod. proc. civ. Lamenta a tal riguardo che la commissione tributaria si sia sottratta all'onere di puntuale accertamento che invece le era stato indicato nella sentenza di cassazione, e che il messo aveva infine dato comunque notizia ai destinatari dell'avvenuta notifica, a mezzo di raccomandata evidenziante il riscontro della "irreperibilità del destinatario".

Col secondo motivo l'amministrazione subordinatamente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 160 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere la commissione errato nel negare alla proposizione tempestiva del ricorso del contribuente la capacità di sanare in ogni caso ex tunc l'asserita invalidità del procedimento notificatorio.

IV. - E' fondato il primo motivo del suddetto ricorso, e tanto assorbe la questione sollevata col secondo.

Al fine di superare il contrario fuorviante rilievo di parte resistente, occorre premettere che la sentenza impugnata si incentra su un'unica ratio, gravitante

sull'affermazione di nullità della notificazione dell'avviso di liquidazione siccome eseguita a mani del portiere senza correlata osservanza degli incombenti di cui all'art. 139, 4° comma, cod. proc. civ.

Invero la considerazione circa la presunta ulteriore nullità che sarebbe discesa dalla avvenuta asserita sottoscrizione degli avvisi inerenti la raccomandata informativa da parte del direttore dell'ufficio impositore, anziché da parte del messo, è tutta interna al profilo pregiudiziale circa il fatto di doversi la notificazione reputare eseguita ai sensi dell'art. 139, 4° comma. Sicché cade anch'essa de plano ove, invece, ciò non debba ritenersi.

Ora, si apprende dal ricorso e dalla memoria (ed è in ogni caso del tutto pacifico già in base alla sentenza e alle difese di parte resistente) che la relata in questione era stata compilata nello spazio prestampato afferente la consegna "nella casa di abitazione, ufficio o azienda".

La consegna era stata poi attestata come avvenuta a tale I.S. "in qualità di custode autorizzato al ritiro notifiche tale dichiaratosi".

Ciò fermo stante, deve essere puntualizzato che la relata di notifica costituisce un atto pubblico, sicché le attestazioni di essa, inerenti sia alle attività che l'ufficiale notificante certifica di avere eseguito, sia alle dichiarazioni da lui ricevute (nei limiti ovviamente del loro contenuto estrinseco, a prescindere cioè dalla veridicità dei fatti dichiarati), sono assistite da fede pubblica privilegiata ex art. 2700 cod. civ.

Naturalmente, a fronte di tale valore probatorio della relata, può essere invece sempre contestata la veridicità del contenuto sostanziale delle dichiarazioni ricevute dal pubblico ufficiale notificante.

Ma la verità intrinseca di tali dichiarazioni comunque si presume, nel senso che suppone in chi la contesta l'assolvimento dell'onere della prova della loro intrinseca inesattezza, sebbene con tutti i mezzi consentiti e senza ricorso, quindi, in tale specifica prospettiva, alla querela di falso (cfr. Sez. 5^ n. 21817-12).

V. - Nel caso di specie il giudice del rinvio non ha considerato, e anzi ha apertamente violato, simile criterio di giudizio, avendo affermato in base a circostanze del tutto insufficienti (quando non manifestamente irrilevanti) che la dichiarazione raccolta dall'ufficiale notificante circa la posizione del consegnatario fosse da interpretare come sinonimo di avvenuta consegna al portiere: da un lato, per l'equivalenza gergale dell'espressione rinvenuta in relata ("custode autorizzato al ritiro notifiche tale dichiaratosi"), che secondo la commissione equivarrebbe a "portiere dello stabile", e, dall'altro, perché il consegnatario aveva in corso, in effetti, un rapporto di portierato con lo stabile in cui la notifica era stata eseguita.

Ma è di intuitiva evidenza che la prima considerazione è apodittica, mentre la seconda è basata su un dato irrilevante giuridicamente (e v. infatti conf. Sez. lav. n. 239-07, n. 9793-15).

Può osservarsi che, ove la notificazione di un atto sia avvenuta a persona a diversa dal destinatario, non è necessario indicare in relata la qualifica di chi riceve in consegna l'atto.

Ciò che unicamente interessa è che il consegnatario si dichiari incaricato di riceverlo, giacché tale dichiarazione fa presumere esistente una condizione di rapporti personali o fiduciari in base alla quale è più che verosimile (e comunque altrettanto presumibile) che l'atto ricevuto sarà dal consegnatario portato a conoscenza del destinatario della notifica.

Nelle condizioni date, quindi, era di nessuna rilevanza il legame lavoristico che in concreto intercorreva tra il consegnatario e lo stabile di via (...).

Quel che rilevava era invece la circostanza che nella relata fosse stata attestata la dichiarazione del consegnatario di essere stato "autorizzato al ritiro delle notifiche", in quanto la detta sola dichiarazione, implicando un distinto specifico rapporto fiduciario col destinatario della notificazione, era di ostacolo a ravvisare notificato l'atto semplicemente a mani del portiere.

Occorreva semmai fornire la prova della non veridicità sostanziale (intrinseca) della dichiarazione detta.

Ma ciò supponeva giustappunto una rigorosa prova da fornirsi da parte del destinatario, in difetto della quale la disciplina della notificazione dovevasi rinvenire nell'art. 139, 2° comma, cod. proc. civ.

Il giudice di rinvio ha reso dunque una decisione del tutto errata nel presupposto giuridico, oltre che motivata in modo evasivo e lacunoso.

Consegue che la sentenza n. 67-7-2011 va cassata con ulteriore rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, affinché essa si uniformi al principio di diritto esposto provvedendo agli accertamenti necessari a decidere l'appello anche nei profili assorbiti.

VI. - L'esito del giudizio dianzi reso si riflette sul ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 46-1-2010, riguardante la controversia sul rimborso di quanto pagato dalla contribuente a titolo di acconto sull’imposta principale, essendo stata questa ulteriore controversia incardinata sul presupposto dell'avvenuto annullamento dell'afferente (primo) avviso di liquidazione.

La commissione tributaria regionale, in questo caso, con la sentenza emessa in sede di rinvio, ha accolto l'appello dei V.B. osservando che i due avvisi di liquidazione, pur avendo presentato lo stesso numero identificativo, dovevano ritenersi atti distinti, senza possibilità di considerare il secondo sostitutivo del primo, visto che il primo era stato già dichiarato nullo dal competente giudice tributario; e che non potevano considerarsi esistenti i requisiti oggettivi per compensare il credito vantato dai contribuenti col loro debito verso l'erario, conseguente al secondo avviso di liquidazione, posto che a seguito dell'emissione di quest'ultimo nessun credito potevasi affermare sorto, avendo i contribuenti ottenuto un provvedimento giudiziale sospensivo della riscossione.

L'amministrazione, nel ricorso avverso codesta sentenza, articola due motivi, rispettivamente denunzianti (i) violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 42 del d.lgs. n. 346-90, nonché degli artt. 47 e 68 del d.lgs. n. 546-92 e (ii) omessa motivazione su fatto controverso decisivo.

Nel complesso l'amministrazione ribadisce che al primo avviso di liquidazione dell'imposta sulla dichiarazione di successione, annullato in sede giurisdizionale per vizi formali, era conseguito il secondo avviso emendato dai vizi suddetti e distinto dallo stesso numero identificativo, nel quale erano state conteggiate e liquidate le somme dovute e già versate in acconto dai medesimi contribuenti. Donde nessun versamento indebito d'imposta poteva ritenersi esistente al fine di dar titolo al rimborso.

Giustappunto in tale contesto, la ricorrente denunzia che l'ordinanza di sospensione allusa dalla commissione tributaria regionale era stata assorbita dalla sentenza di merito n. 23-11-04 della commissione tributaria provinciale di Milano, confermativa della pretesa erariale (seppur con minima riduzione); che la decisione di primo grado era stata - essa pure riformata - in appello in senso favorevole ai contribuenti; e che però anche la sentenza d'appello era stata infine cassata dalla Corte di cassazione in base alla richiamata sentenza n. 3828-09, con conseguente ulteriore pendenza del giudizio di rinvio appena sopra esaminato.

Pertanto il secondo avviso di liquidazione, avendo già conteggiato in detrazione l'acconto versato dai contribuenti al medesimo titolo, dovevasi considerare efficace al fine di validamente determinare la pretesa impositiva, in modo tale da nuocere in sé al diritto al rimborso vantato in conseguenza dell'annullamento del primo atto tributario. E in ogni caso sull'intero profilo problematico la commissione tributaria regionale di nuovo aveva reso una decisione difforme senza adeguata motivazione in ordine al perché era da affermare l'esistenza di due avvisi di liquidazione distinti e separati, anziché l'uno sostitutivo dell'altro.

VII. - Anche il ricorso avverso la sentenza n. 46-1-2010, i cui motivi possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, è fondato.

Pacifico il contesto in cui la vicenda si dipana, punto decisivo della lite atteneva all'unicità o meno della pretesa impositiva nonostante la successione di due avvisi di liquidazione, giacché il secondo di questi avvisi era detto dall'amministrazione sostituire il primo in quanto previamente annullato in sede giurisdizionale per vizi di forma.

Poiché nel secondo avviso era stata conteggiata in detrazione la somma già versata in acconto dai contribuenti (è ovviamente errato parlare di compensazione), la questione - peraltro in sé semplicissima - atteneva al rapporto tra i due atti e all'effettività della avvenuta detrazione, perché è ovvio che, in tal caso, nessun diritto al rimborso potevasi considerare sussistente.

Ebbene la commissione tributaria, nuovamente motivando in modo superficiale ed evasivo, si è diffusa in una considerazione inconferente ("i due avvisi, pur presentando lo stesso numero, sono da ritenersi due atti distinti (..) anche perché al momento dell'emissione del secondo il primo avviso era già stato dichiarato nullo dalla Ctp"), onde affermare, in modo altrettanto superficiale e apodittico, che era "illegittimo (..) considerare l'acconto versato sul primo avviso di liquidazione come acconto già versato sul secondo (..)".

In tal modo la commissione ha dato mostra di non aver capito affatto quella che era la questione di merito, non essendo rilevante la qualificazione di "acconto" in rapporto al secondo avviso, quanto piuttosto il fatto - mero - se il primo pagamento (questo sì in acconto) fosse stato tenuto presente nella reiterazione dell'unica pretesa impositiva, e se quindi quell'acconto fosse stato in effetti detratto dal debito d'imposta in occasione dell'avviso emesso in funzione sostitutiva di quello originario.

A tal riguardo, di nessuna rilevanza era la questione dell'avvenuta sospensione cautelare dell'efficacia esecutiva del secondo avviso, una volta che anche questo era stato impugnato. Anche a voler prescindere da quanto osservato in fatto dall'amministrazione ricorrente, è di solare evidenza che la sospensione dell'efficacia esecutiva - in quanto misura cautelare - inibiva solo la facoltà di riscossione coattiva, non la funzione ricognitiva in ordine all'esistenza del credito erariale nettizzato quanto al pagamento dell' acconto.

A ogni modo resta il fatto che la questione involgente il credito erariale vantato in forza del secondo avviso è tuttora sub iudice, stante l'esito, favorevole all'amministrazione, del ricorso relativo alla sentenza n. 67-7-2011 e stante la correlata necessità di un nuovo giudizio di merito.

Anche in rapporto all'impugnata sentenza n. 46-1-2010 valgono allora le medesime considerazioni che avevano portato Sez. 5^ n. 3335-08 a cassare la precedente.

Anche in questo caso, invero, la commissione tributaria è incorsa nel vizio di motivazione e in una palese falsa applicazione delle norme di diritto all'inizio evocate, in quanto con espressioni assertorie ed evasive non è stata data contezza di un logico percorso decisionale coerente col problema posto dalla regiudicanda.

A fronte di una decisione di primo grado di tutt'altro segno, andavano evidenziate le ragioni alla cui stregua doversi riconoscere il diritto al rimborso a fronte di un secondo avviso di liquidazione nel quale si deduceva - fin dall'inizio - essersi tenuto conto dei versamenti già effettuati, inequivoca espressione di un potere impositivo idoneo a legittimare la pretesa fiscale.

Con l'aggiunta che la pendenza del giudizio direttamente incentrato sulla presunta invalidità del secondo avviso non poteva consentiva alla commissione di prescinderne quanto ai riflessi sulla pretesa di rimborso dell'imposta di successione versata in acconto.

Consegue che anche la sentenza n. 46-1-2010 va cassata con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, per nuovo esame.

Il giudice di rinvio avrà cura di pronunciare sulle spese dei giudizi svoltisi in questa sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, così provvede:

- accoglie il primo motivo del ricorso avverso la sentenza n. 67-7-2011, assorbito il secondo;

- accoglie il ricorso avverso la sentenza n. 46-1-2010;

cassa entrambe le sentenze in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.